giovedì 31 dicembre 2020

Non può durare ancora per molto

Grazie a una segnalazione in rete ho letto Sotto il culo della rana, di Tibor Fischer.

Si tratta di un libro causticamente ironico che narra dell'Ungheria comunista.

"Non può durare ancora per molto", si illudono i personaggi, mentre si immergono in una realtà alienata, totalitaria, in cui l'unica forma di difesa è l'ironia. O la fuga.

Il libro è godibile, anche se lascia il sospetto che la situazione descritta sia troppo esasperata per essere verosimile. L'autore è apertamente anticomunista, e si vede. ALcune scene, penso in particolare a quelle campagnole, ricordano moltissimo Guareschi.

Il libro intrattiene, in alcune parti commuove. La parte migliore secondo me è la descrizione dell'innamoramento del protagonista, che riesce a essere realistica e romantica allo stesso tempo, non rinunciando a una vena ironica.
Oltre a ciò, ho potuto approfondire alcuni passaggi della storia ungherese che non conoscevo, come la transizione verso un modello a partito unico, che è durata qualche anno.
Altri elementi meriteranno un approfondimento futuro, come gli accenni al campo di lavoro di Racsk, su cui si trova poco anche in rete.
Anche la vicenda della rivolta del 1956 è descritta senza eroismi, in modo grottesco seppure tragico.

Riflettendo più ampiamente, mi pare che alcune delle esperienze grottesche vissute dai protagonisti ungheresi ricordino alcune situazioni paradossali di un certo fascismo alla Starace.
Mi chiedo se anche in Ungheria ci sia una corrente che sostiene che "si stava meglio quando si stava peggio".
Mi pare che però i risultati elettorali in tutto l'Est europa dei partiti comunisti siano ben inferiori rispetto ai nostalgici italiani del MSI nell'immediato dopoguerra.

Forse perché il fascismo è nato su un humus fertile, mentre il comunismo è stato imposto da fuori, con Jalta, in società che non lo hanno metabolizzato per nulla.

domenica 27 dicembre 2020

Regole azzeccate

Zone rosse, arancio, gialle, giorni rossi, feste dai parenti...

Cerchiamo di sistematizzare.

Ci sono quattro tipi di libertà di movimento:

1) libertà di muoversi per i fatti propri (giro col cane, passeggiata, escursione, a zonzo in auto senza meta...)
2) libertà di recarsi in una casa privata
3) libertà di recarsi in un luogo pubblico (negozio, chiesa, teatro, ufficio...)
4) libertà di recarsi sul luogo di lavoro

Il punto 4 è stato normato ad hoc, secondo lo stato di necessità e i bisogni dell'economia.

Il punto 3 è stato normato secondo i casi singoli, con protocolli specifici, chiusure eccetera che riguardano il luogo di destinazione. Ottimo, non discuto i singoli protocolli, sottolineo che si è agito sulla destinazione.

Restano i punti 1 e 2. Il punto 1 è a rischio pandemico basso o nullo, il 2 decisamente più elevato.

Con due punti, ci sono quattro possibili approcci:

A) vietare sia 1 che 2. Zona rossa dura, non si esce di casa senza necessità. Contro: è una misura draconiana, sicuramente eccessiva. Pro: è sicuramente efficace, è più facile da controllare (sei fuori di casa? ti controllo), è chiara.

B) libertà di movimento sia per 1 che per 2, limitandosi a raccomandazioni sulla 2. Pro: la più liberale, non impone regole impossibili da controllare (che incentivano i furbi e a lungo termine minano il rapporto tra cittadini e autorità). Contro: le raccomandazioni forse servono ma non bastano, è un rischio sanitario.

C) libertà di movimento per i fatti propri, divieto di spostamento verso le case altrui (al più con deroghe fino a due persone, come effettivamente scelto). Pro: mantiene chiara la priorità sanitaria, rende legali le cose non pericolose e illegali o quasi quelle pericolose, quindi ha senso. Contro: è pesantuccia (ma qui dipende dalle eccezioni), è difficilmente controllabile, lascia possibilità ai furbetti (specie con le eccezioni per le visite in casa).

D) divieto di movimento per i fatti propri, libertà di spostamento verso le case altrui (al più con qualche limite, tipo due persone). Pro: c'è poca gente in giro? non credo molta meno che con la scelta C, la maggioranza degli spostamenti - specie in questa stagione - sono verso le case, quindi sono scettico. Altro? Contro: regola sanitariamente assurda, è difficilmente controllabile, lascia possibilità ai furbetti (specie con le eccezioni per le visite in casa). I contro della C, con in più il fatto di non avere senso.

Cosa hanno scelto i nostri ineffabili legislatori?

Per fortuna la maggioranza della popolazione è prudente.

Anche gli allarmi su shopping e struscio di 15-20 giorni fa si sono rivelati eccessivi, confido che anche Natale andrà benino.

Addendum: c'è anche la regola che permette a chi abita in Comuni sotto i 5000 abitanti di spostarsi fino a 30km di distanza. Riflettendo su questa cosa, mi pare che ci sia una contraddizione. L'eccezione è stata introdotta per non penalizzare troppo gli abitanti nelle visite, parrebbe, visto il riferimento alla popolazione e non alla dimensione del Comune. Chi abita in Comuni piccoli - leggi: poco popolosi - ha meno servizi e può visitare meno persone. Quindi li lasciamo uscire, introducendo però un permesso di distanza - come se il problema fosse di "spazio vitale", e non più di persone. Tant'è vero che gli vietiamo di spostarsi nei posti più popolati e con più servizi, ovvero i capoluoghi. Mah.

lunedì 21 dicembre 2020

Enzo Bearzot, 26 settembre 1927 - 21 dicembre 2010
Dieci anni che allena in Paradiso.

giovedì 17 dicembre 2020

Dieci anni da FLI

Leggo questo interessante pezzo su Futuro e Libertà.

Pezzo onesto, con cui concordo: fu una operazione idealmente meritoria, portata avanti con pochi mezzi e molti errori tattici. Ai tempi la seguii con simpatia, dedicai a FLI alcuni dei primi post su questo blog, allora ospitato su un'altra piattaforma.
Mi fa piacere che Granata abbia la stessa opinione che espressi io a suo tempo: Fini avrebbe dovuto dimettersi subito.

Un giorno bisognerà riflettere con piglio storico sulla mutazione del centrodestra italiano, sulle colpe berlusconiane al riguardo, sulla durata di questa desertificazione. Ora siamo appesi a Carfagna e Giorgetti, che auspicano cose buone e giuste, ma il sospetto è che non ci sia più nessuno ad ascoltarli.

Vox clamantis in deserto, per stare al periodo.


martedì 15 dicembre 2020

Verdi, l'eccezione italiana

Segnalo una bella riflessione sulla parabola dell'ambientalismo politico italiano.

In effetti l’Italia, senza alcun partito verde, è un’eccezione nel panorama europeo. La cosa stupisce anche perché tutti i movimenti di un certo successo che sono nati negli ultimi anni fuori dal Parlamento (prima il M5S, poi le sardine e i Fridays for Future) hanno una certa attenzione per la componente ecologista.

Come mai questa non si traduca in una presenza politica è una bella domanda. Il classico “Piazze piene, urne vuote”.
Mancanza di leader connotati principalmente come verdi?
Concorrenza di partiti nella stessa area (PD, M5S) che non hanno l'ambientalismo come punto fondante ma che raccolgono le stesse persone che vanno in piazza?
Irrilevanza delle istanze verdi all'atto della scelta di voto (vado in piazza, ma quando voto penso ad altro che all'ecologia)?
Fenomeni di “moda”, fatti di poche persone convinte e di molti “turisti delle piazze”?

Riporto alcune citazioni dall'articolo che trovo interessanti.

«I Verdi hanno confuso gli applausi in assemblea con i voti. In Veneto i cittadini li hanno usati per specifiche lotte, senza mettere in discussione i loro modelli di vita, come gli operai che votano Lega ma sono iscritti alla Cgil». E perché, Bettin? «Perché si sono sempre sentiti grilli parlanti, depositari della verità e in quanto tali esentati dal faticoso lavoro di convincere le persone. Bravi a costruire un messaggio, incapaci di creare le relazioni per radicarlo».

C’è stata un’obiettiva difficoltà a rappresentare l’ambientalismo come un discorso di sviluppo, di progresso, di benessere. In Italia si sono lasciati imprigionare da un modello economico di rinunce. È un problema di tutti gli ambientalisti, ma i nostri non lo hanno mai superato [...] l’ambientalismo sarà una vera forza di cambiamento quando il modello che propone sarà socialmente desiderabile.

Il fatto che in Italia i verdi siano visti come i "no tutto" e "come le angurie, verdi fuori e rossi dentro" è storicamente vero (anche se c'è da dire che quasi ovunque i verdi sono catalogati a sinistra, non solo in Italia).

Non avevo invece mai pensato al fatto che possano soffrire della sindrome del “maestrino”, del depositario della verità, di quello con il dito puntato. Questa è un’altra problematica che condividono con la sinistra, con quella parte che si ritiene depositaria di un “bene comune”, di “giustizia”.
In un tempo di individualismo spinto, è sempre meno accettato il fatto che qualcuno possa dare indicazioni “etiche” per il bene di tutti. Lo vediamo anche nell’insofferenza ai DPCM per la pandemia.
E’ un problema che anche la Chiesa ha avuto con il ’68 e giù di lì: si rifugge la presenza di un’auctoritas che indichi il bene, e man mano questo tracima nel rifiutare che qualcun altro ci dica cosa dobbiamo fare, il valore più importante diventa la libertà, intesa come libertà di fare quel che si vuole.
Forse è un elemento dello slittamento a destra della società.

Con la chiesa sappiamo come è andata a finire: ha perso man mano influenza e importanza.

La sinistra ha incanalato questa “anarchia” nella sfera sessuale, ma è in difficoltà sugli altri livelli.

Vedremo come andrà con i verdi.

venerdì 11 dicembre 2020

Notte prima degli esami 1982

Un altro necrologio, stavolta inaspettato.

Ero troppo piccolo, nel 1982. Bambinetto di quattro anni.

Ma ho dei flash chiarissimi della sera della finale. La televisione accesa in cucina, io che ogni volta che Martellini diceva "gol!" sgambetto dai miei genitori a dire loro "abbiamo fatto gol!!!"

I miei genitori non sono mai stati appassionati di calcio. Erano nella mia cameretta, sulla scrivania, a studiare.
Mio padre aveva cominciato a lavorare da ragazzino, in cantiere, e poi da grande aveva ripreso le scuole serali, medie e poi geometra. Di giorno in cantiere, la sera a scuola, tanto di cappello.
Nel 1978, bocciato in quinta, decide di lasciar perdere. Mia madre se lo lavorò ai fianchi, e dopo quattro anni lo convinse a riprovare.

L'orale della maturità era fissato per il 12 luglio 1982, un lunedì. Quella domenica sera stavano sui libri a ripassare.

Ripasso inutile... il giorno dopo erano tutti in aula con lo spumante.

Mio padre diceva sempre: "Io ho preso il diploma grazie a Paolo Rossi". Proprio lui, che di calcio si interessava poco o nulla.

Paolo, tu non l'hai mai saputo, ma tra i tuoi meriti c'è anche un geometra in più!

P.S. mi sono accorto che questa cosa l'avevo già scritta 10 anni fa, qui, alla morte di Bearzot. Corsi e ricorsi.

domenica 6 dicembre 2020

Un embrione è un bambino?

Nell'ultimo post parlavo di divorzio.

Questo mi ha fatto prendere in mano una serie di appunti che mettevo giù da un po' sull'altra grande questione portata negli anni '70, l'aborto.

Un embrione è un bambino?

Tanti dibattiti di bioetica ruotano attorno a questo concetto, a questo dilemma. Tante posizioni su aborto, sperimentazione, discendono dalla risposta a questa domanda.

Probabilmente le posizioni sono tante, e purtroppo non credo che una risposta sola sia accettabile senza che chi non è d'accordo la senta come imposta. Non credo che esista una risposta "scientifica" condivisa. Infatti tutte le legislazioni del mondo si barcamenano con compromessi politici al riguardo.

Metto giù alcune note, più che altro come appunti per fissare il pensiero.

Anzitutto credo che dobbiamo dirci che la domanda non è neutra. Dietro ci sono interessi di parte, si pensa alle conseguenze. La prima cosa a cui dobbiamo stare attenti è l'ordine dei fattori: cerco la risposta a questa domanda, e poi dalla risposta che mi sono dato faccio discendere le mie posizioni su aborto e bioetica, oppure ho le mie posizioni su aborto e bioetica, e cerco la risposta alla domanda che le giustifica meglio?

Questa è una tentazione forte, perché sappiamo che una certa risposta giustifica cose che possono venire "comode" a noi adulti già nati e cresciuti, che potremmo essere sensibili all'interesse di poter fare queste cose senza preoccuparci di chi è più debole. La tentazione di barare c'è. Naturalmente non vuol dire che chiunque ha un certo tipo di risposta bari in ogni caso, eh.

Cercherò quindi di sgombrare il campo dal discorso di pancia "uccidiamo i bambini in pancia alla mamma".
Quello che ho sempre pensato io è che non riesco a trovare una motivazione valida perché un embrione sia diverso da un bambino più di quanto un bambino sia diverso da un adulto o da un vecchio.
Non trovo la soluzione di continuità. Di un embrione concepito naturalmente ho la ragionevole certezza che crescerà e nascerà e invecchierà finché non succederà qualcosa di sanitario (mancato impianto, aborto spontaneo, malattia) o artificiale (IVG, incidente in auto). Una cosa senza soluzione di continuità fino alla morte della persona.

mercoledì 2 dicembre 2020

Cinquant'anni di divorzi

Cadono in questi giorni i conquant'anni dall'introduzione in Italia del divorzio.

Questa legge, anche per via dei referendum che ne seguirono, è solitamente accoppiata a quella sull'aborto. A me pare che parliamo di due situazioni profondamente diverse: l'aborto lede i diritti di una persona terza. Un matrimonio è un accordo tra persone adulte, quindi ho sempre trovato giusto che ne sia possibile la risoluzione a determinate condizioni, un po' come si fa con i contratti, che pure sono tecnicamente un'altra cosa. Ok, possono esserci di mezzo i figli, ne parlerò; però non sono i figli quelli sposati.

Detto questo, oggi la situazione è molto cambiata rispetto al 1970: non c'è più solo il matrimonio, la convivenza è ampiamente sdoganata. Oggi abbiamo almeno cinque tipi di relazione che hanno qualche effetto giuridico, a livello crescente di vincolo:

  • relazione stabile anche senza convivenza fissa (è di qualche settimana fa la notizia di una sentenza secondo cui basta questa per far togliere gli alimenti)
  • convivenza (riconosciuta per effetti legali in molte sentenze su eredità, visite ai parenti in ospedale, riconsociuta "affetto stabile" a fini lockdown)
  • unione civile
  • matrimonio in separazione dei beni
  • matrimonio in comunione dei beni

Di fronte a questa situazione, in cui c'è un'ampia possibilità di scelta, viene a mancare proprio il matrimonio indissolubile (civile, ovviamente). Metto giù alcune riflessioni, che sono più che altro domande.

La stabilità della relazione è una prerogativa meritevole di "tutela", di "premio"? Sappiamo per esempio che alcuni divorzi portano difficoltà per i figli. Ha senso che chi sceglie una forma di vincolo più stabile abbia qualche "vantaggio" (che ne so, sgravi)? Magari soprattutto quando i figli sono piccoli, e poi a scendere quando diventano grandi?

Se rispondiamo di sì alla prima domanda, avrebbe senso richiedere l'introduzione di una forma di matrimonio indissolubile, in aggiunta alle altre?

Oppure avrebbe senso un "vincolo a tempo" (tipo: ci impegnamo a non divorziare per 10 anni), con questi eventuali "premi", e solubile da un giudice a fronte di determinati casi (per esempio la violenza domestica)? Tipo un impegno a non divorziare per motivi "caratteriali" finché i figli sono piccoli?

Ma anche se invece ritenessimo che la stabilità non è un valore meritevole di tutela, per esempio perché rischia di scoraggiare con una motivazione economica il superamento di situazioni familiari incresciose, può essere che il riconoscimento pubblico di un legame indissolubile sia comunque valido.

Siamo infatti in un periodo in cui si moltiplicano le richieste di riconoscimento pubblico per la propria relazione, anche di tipo molto diverso (dal poliamore alla relazione con l'animale da compagnia).
Per "riconoscimento pubblico" non voglio dire che c'è il matrimonio con il proprio gatto; intendo dei provvedimenti legali o giuridici che riconoscono l'importanza di certi legami e ne traggono conseguenze in termini di diritti o obbligazioni, come successe storicamente con le relazioni omosessuali.
Lo Utah ha depenalizzato la poligamia, per esempio.
Per quanto riguarda gli animali, una recente legge permette di seppellirli con il padrone: è una legge che riconosce l'importanza di un legame e ha un effetto su un atto pubblico come la sepoltura. Ci sono inoltre sentenze che stabiliscono il diritto a vedere il proprio animale, e leggi che tutelano il "sentimento per gli animali".

Sono quindi molti i tipi di relazione per cui ci si attiva a favore di un riconoscimento pubblico. Anche il matrimonio indissolubile potrebbe quindi rientrare in questo discorso, anche solo per il fatto che qualcuno possa desiderare un riconoscimento pubblico di un impegno privato all'indissolubilità (in fondo tutte le forme di unione sono il riconoscimento pubblico di un impegno privato)?

lunedì 30 novembre 2020

I, Tonya vs. Joker vs. Richard Jewell

Sono reduce dalla visione di Tonya, o I, Tonya nella verisone originale, disponibile su RaiPlay.

Il film merita senz'altro la visione, ha alcune trovate molto belle e si posiziona in bilico tra la commedia nera, la cronaca e la denuncia.

Il film prende un punto debole - il fatto che tutti conoscono la storia e sanno com'è andata a finire - e lo trasforma in un punto di forza, trasformandosi a tratti in un mockumentary e evitando le lungaggini (Nancy Kerrigan per esempio non viene nemmeno presentata).
Anche alcuni momenti in cui si rompe la quarta parete sono azzeccati, e aiutano a smorzare la tensione in un paio di momenti più carichi.

Il film mi ha ricordato due film successivi, di cui ho già parlato: Joker e Richard Jewell.

La prima parte del film descrive uno spaccato di quell'America dei sommersi che si vede bene anche in Joker. Anzi, è una rappresentazione più credibile perché "vera".

La seconda parte, quella che riguarda "l'incidente", non può non ricordare Richard Jewell per via del protagonista, l'attore Paul Walter Hauser, lo stesso che in I, Tonya impersona Shawn. In entrambi i casi si tratta di due personaggi stralunati, che vivono in un mondo tutto loro, con la passione per le forze dell'ordine e un certo complottismo. Anzi, il paragone tra i due film può far pensare a quanto sia sottile il confine tra un eroe e un folle.

Proprio questa seconda metà del film è a mio parere troppo giustificatoria nei confronti di Tonya Harding. Mi rendo conto che il film è fatto per il publico americano, che considera la Harding il male incarnato, e quindi per épater le bourgeois si tenta di far empatizzare con lei, di dipingerla come completamente incolpevole. Anche se magari non è andata così.

Però così viene a mancare la "scelta", il fatto che il sommerso si trasformi in violento, scelta che faceva riflettere in Joker, e che - di nuovo - stavolta è una scelta reale. E' la vittima che sceglie di trasformarsi in carnefice. Capisco che non è l'obiettivo del film, ma mantenere un profilo di ambiguità sarebbe stata una bella mossa.

giovedì 26 novembre 2020

In morte di un 10

E niente.

Io su Maradona non sono obiettivo.

Ero bambino e juventino negli anni '80.

Quando sei bambino non c'è la razionalità, c'è solo il tifo. Acritico. Se sei adulto, puoi vedere la grandezza di qualche giocatore, di Ronaldo per esempio, anche se è interista. Da bambino no.
E allora Platini è bravissimo, Maradona fa schifo.

Lo apprezzai nel 1994, quella storia di comeback. In un mondo orfano di Michael Jordan, quell'estate stavamo tutti aspettando il suo ritorno. Invece ci dovemmo "accontentare" di quello di Diego. La sensazione tangibile che solo lui potesse trascinare una squadra più forte di quelle del 1986 e 1990, ma fragile. Sensazione corroborata dalla brutta eliminazione senza di lui.

Ma non posso cancellare l'uomo, le scelte sbagliate, sciagurate. Non le dipendenze, no: le scelte. L'arroganza, i figli non riconosciuti.

E allora lascio la parola a uno molto più equilibrato di me, Leo Turrini.

RIP.

giovedì 12 novembre 2020

Déjà vu

Ho una sensazione di déjà vu.

Il 9 marzo avemmo il lockdown sugli spostamenti non essenziali in dieci province, esteso poi due giorni dopo a tutta Italia. Erano liberi lo sport da soli e l'attività motoria senza limiti di spazio (a differenza di adesso).
Bar e ristoranti chiusero il 12, con molti negozi, ma elettronica (quindi Unieuro e simili), ferramenta, idraulica ( quindi Brico e simili), lavanderie, profumerie restarono aperte anche allora. C'era - come c'è ora - un allegato al DPCM con la lista di attività aperte. Adesso è un po' più lungo (comprende anche Decathlon e parrucchieri, tra l'altro), ma non così più lungo.

A marzo le scuole di ogni ordine e grado chiusero, adesso chiudono "solo" dalla seconda media in su. Questa è la grande differenza. Ma per il resto (parliamo di provvedimenti riguardanti la "zona rossa") le similitudini sono tante: divieto di uscire di casa se non per lavoro, necessità o salute; obbligo di autocertificazione; divieto di visita parenti; divieto di fare la spesa in altro comune.

A marzo la cosa proseguì con altre restrizioni: dal 23 chiusero le attività non essenziali, a seconda dei codici Ateco (e quindi chiusero anche i negozi che erano rimasti aperti) e ci fu la stretta sulla "corsetta" solo nei pressi di casa.

E anche adesso si vocifera di un lockdown "duro".

Però ci sono delle differenze.

lunedì 9 novembre 2020

Polvere

Ho ascoltato Polvere, il podcast di Chiara Lalli e Cecilia Sala sul caso Marta Russo.

Interessante, molto. E' chiaro che è un'inchiesta "a tesi", ma questo non inficia la qualità del lavoro di raccolta delle informazioni, né la validità della tesi, soprattutto perché conferma quello che da anni, da molte parti, si sente raccontare e osservare su quel processo.

Forse l'unica cosa che non si sottolinea abbastanza è che il fatto del "delitto perfetto", che pure io ricordavo essere il movente mediaticamente accettato, è stato alla fine escluso anche dai giudici, portando a una sentenza tutto sommato "mite".

Non ricordavo la politicizzazione della cosa, a quel tempo.

Spaventa parecchio il fatto che in Italia, se hai la sfortuna di non avere alibi, possano succedere certe cose. Mi chiedo se i metodi di raccolta delle testimonianze possano essere stabilmente quelli descritti nel podcast.

Un plauso, comunque, al magistrato che si è lasciato intervistare e ha dato la sua versione.

mercoledì 4 novembre 2020

Ci risiamo

E così ci risiamo. Siamo di nuovo in lockdown. Alcuni appunti sparsi al riguardo.

- Di buono c'è che stavolta hanno evitato il nonsenso dei primi 15 giorni di marzo, quando volevano contemporaneamente a) scuole chiuse, b) genitori al lavoro e c) lasciamo isolati i nonni. Stavolta hanno evitato la a) fino a un'età ragionevole, in DAD ci sono ragazzi dai 12 anni in su.

- Di cattivo c'è il divieto a uscire di casa. Io capisco le limitazioni agli spostamenti, sicuramente tra regioni, magari anche tra comuni diversi in zona rossa. Ma l'autocertificazione per uscire di casa quella no, mi pare inutilmente vessatoria. Dove vai se non hai un posto dove andare? Già ora in regime di coprifuoco non si vede in giro nessuno. In più è inverno, mica aprile, c'è già meno gente in giro. In più sappiamo che in ogni caso all'aperto il rischio è minore. Almeno per gli sposamenti all'interno del proprio comune potevano risparmiarcela, l'autocertificazione. Che se non sbaglio è un unicum italiano.
Invece la logica è stata opposta: tra una cosa e l'altra restano aperti molti negozi, ma si chiede di non uscire. Non me l'aspettavo.

- Non capisco proprio la cosa delle chiese aperte e funzioni religiose permesse pure in zona rossa. Rilevo che è l'opposto di marzo-maggio, quando le messe furono le prime chiuse e le ultime riaperte. Non capisco questo cambio di rotta. Ok, non ci sono casi di focolai correlati, ci sono le norme sui distanziamenti, ma questo vale per un sacco di attività (musei?). La CEI era stata bella remissiva, a marzo, e adesso c'è pure Bassetti in terapia intensiva. Mi viene il dubbio che qualcuno in qualche avvocatura abbia segnalato che intervenire sul culto non è proprio pacifico che sia legittimo, visto che è una cosa che riguarda un trattato internazionale. Oppure è per garantire qualche funerale, che in effetti è una misura minima di civiltà che è mancata a tantissimi.

- Interessante la possibilità prevista dal DPCM di applicare a specifici territori classificazioni di rischio diverse dalla regione di appartenenza. Sarebbe buona cosa se si facesse (Napoli e Caserta meriterebbero un "rosso", Bergamo un "giallo"). Ma dubito fortemente che sarà così.

- Alcuni contatti in cassa al supermercato mi dicono che già oggi c'è gente che ha fatto quasi 1000€ di spesa, ho già sentito più d'uno che domani si darà all'accaparramento. Ecco, queste cose non me le spiego. Irrazionalità a manetta.

- Stavolta ci chiudono in casa ma abbiamo i circenses: il calcio va avanti!

- Comunque voglio vedere quanto durerà, questo fatto del monitoraggio dei dati, dei 21 parametri scientifici, dell'attribuzione automatica delle regioni nelle fasce di rischio. Su queste attribuzioni ci sarà una polemica politica continua. E sì che sarebbe la strada teoricamente corretta, anzi bisognava implementarla almeno un mese fa. Se si fosse fatto prima, le regioni avrebbero visto arrivare le restrizioni.

venerdì 30 ottobre 2020

Destra, sinistra, orologio, lancette

Ho letto questo intervento di G. Orsina sulle abusate caratteristiche di destra e sinistra.

Ci sono molti spunti interessanti. Non tutto è condivisibile, in particolare mi pare una versione argomentata ed edulcorata di un meccanismo piuttosto trito per cui le colpe della destra sono, sotto sotto, colpe della sinistra, perché la sinistra è così, cosà, non è abbastanza cosò e cosù.

Stavolta la "colpa" della sinistra sarebbe quella di avere ottenuto l'egemonia delle élite culturali. C'è dl vero, e spesso mi sono chiesto anche io come mai non ci sia un destra "colta", una élite di destra, come mai i personaggi della cultura, dello spettacolo, i professori eccetera siano in massima parte di sinistra.

Detto che questo, secondo me, è più che altro una colpa della destra, in termini di incapacità di elaborare una posizione alternatva, trovo interessante questo passaggio:

La divisione verticale fra destra e sinistra si è girata di novanta gradi in senso orario e si è sovrapposta a quella orizzontale fra élite e popolo: un’élite prevalentemente progressista (o almeno: che si autodefinisce tale) da un lato, con poco popolo; e un imponente pezzo di popolo istintivamente di destra dall’altro, non guidato né educato da alcuna élite. Se una democrazia liberale ben funzionante prevede che élite alternative competano per il consenso popolare, come ci ha insegnato Schumpeter, allora la nostra democrazia odierna di funzionante ha ben poco.

lunedì 26 ottobre 2020

Il Giro più strano

Il tempo ci dirà quanto valeva questo Giro d'Italia.
Quanti in top 5 faranno ancora risultati simili?
Tao Geoghegan Hart potrà competere per un altro grande giro, o è una seconda linea, un Landa, un Wout Poels che ha pescato il jolly come Hesjedal a suo tempo?
Hindley avrà altre occasioni, magari in un giro senza crono come (assurdamente) si tende a fare oggi, o sarà uno da maglia azzurra/a pois?
Almeida può crescere, e sperare, o è troppo scarso in salita e ha già avuto la sua occasione per un podio? Magari è un Rui Costa, uno da corse di una settimana?

La mia sensazione è che ci sia poca "ciccia", però staremo a vedere. Comunque da giovedì almeno ci siamo divertiti parecchio, vista la pochezza delle squadre era tutto un uno contro uno (infatti ha vinto quello che aveva un Dennis a fare il trattore).

Confermo un pensiero che avevo fin dall'inizio sul percorso: il disegno delle tappe di montagna era insufficiente, fortuna che è rimasto lo Stelvio. Roccaraso e Madonna di Campiglio erano disegnate "al contrario", con le salite difficili all'inizio, quindi avevano dei difetti in sé, ma se Campiglio fosse arrivata dopo lo Stelvio avrebbe fatto i bei danni comunque. Idem la tappa di San Daniele. Tappe così vanno messe in ordine decrescente di difficoltà, non crescente. Il livello basso ha poi fatto sì che anche un Sestriere facesse danni, e le singole tappe sono state anche divertenti (Camigliatello Silano e Tortoreto soprattutto), ma il percorso era concepito male.
Comunque complimenti a Vegni e a tutti quanti per aver portato il Giro alla fine.

Considerazione più generale: Almeida, Tao, Sivakov, anche Hindley, non sarebbe meglio se fossero distribuiti su più squadre diverse, invece che emergere solo per gli infortuni dei capitani? Ci vorrebbe un salary cap...

Altra osservazione: la classifica dei grandi giri ormai è fatta dai 10-12 che provano a farla, dietro c'è gente che molla fin dalla prima settimana. Il 13° al Giro è a 35', Majka è rimasto 12° a 20' nonostante una crisi totale. Anche al Tour dal 13° in poi cominciano i gregari che hanno perso per accompagnare i capitani.
Quindi: quanto vale una top 10, se alla fine per un capitano "basta" non doversi fermare ad aspettare nessuno per essere nella prima dozzina?
Se i corridori da classifica fossero più distribuiti magari ne avremmo davvero 15-18 in lotta per una top 10, non una dozzina.

Forse è un caso fortuito di quest'anno, ma andando a vedere il Tour - di cui trovo le classifiche complete su Wikipedia - negli ultimi dieci anni i maggiori tre distacchi tra decimo e quindicesimo si sono avuti nel 2017, 2019 e 2020, con un massimo di 28'17'' quest'anno.
Io ricordo, prima, lotte per l'undicesima posizione, con persino aberrazioni come squadre a tirare per difendere le posizioni di rincalzo. Mi pare che ci fosse più gente che cercava di stare in classifica.

mercoledì 21 ottobre 2020

Il ladrone vien di notte

Vangelo di oggi: Lc 12, 39-40

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Come un ladro, a scassinare?

Gesù, devi trovare paragoni migliori!

giovedì 15 ottobre 2020

Libera festa in libero Stato

E così è arrivato il nuovo DPCM. Dopo giorni di anticipazioni, smentite, illazioni, la soluzione è stata: feste in casa "fortemente sconsigliate"

Ci sono dei pro e dei contro, per una formulazione così.
Da una parte è una formulazione che non vuol dire nulla, ambigua, che viene messa in un provvedimento con forza di legge ma che non è una legge.
D'altra parte, se il buon senso ("non assembratevi") non basta - ed evidentemente non basta, si tenta di spiegarlo ancora una volta, con altri strumenti, sempre più vicini ad un obbligo.

Personalmente apprezzo che il governo si sia fermato un passo prima (diversamente da quel che accade, per esempio, in Irlanda). Normare con un DPCM le feste in proprietà privata sarebbe stato un passo ulteriore in avanti nell'allontanarsi dalle procedure istituzionali e dalle prassi costituzionali.
Il lockdown (divieto di usire di casa se non per certi motivi) già limitava le libertà costituzionali di movimento e all'atto pratico otteneva lo stesso effetto (niente feste in casa); però tecnicamente non mettva il naso in una proprietà privata. Farlo sarebbe stato in punta di diritto un passo in più, anche se l'effetto pratico magari è lo stesso, o anzi sarebbe stato meno invasivo che ai tempi del lockdown (ehi, anche se non posso andare a casa di qualcuno posso ancora uscire!).

Ecco, pensando a lungo termine (intendo anni) credo che uno dei danni che fa questa pandemia sia inquinare il dibattito riguardo il bilanciamento di potere pubblico e libertà personale.
Nel merito, io capisco la ratio di una norma che vieti le feste. Inoltre abbiamo capito che i contagi avvengono spesso in casa, cerchiamo di fare qualcosa al riguardo.

Però (forse l'ho già scritto) mi preoccupa che ci si "abitui" a considerare normali le ingerenze governative (o comunque altrui) nella privacy e nelle libertà personali. Mi preoccupava anche ai tempi dell'11 settembre, e andando ancora più indietro osservo che le legislazioni antiterrorismo degli anni '70 sono ancora lì, bel belle, in vigore.

Naturalmente non aiuta che la bandiera delle libertà personali sia in mano a pagliacci negazionisti. A me basterebbe che 1) le misure emergenziali (sì, penso anche allo stato di emergenza) avessero una data di scadenza certa e non prorogabile, perché se dopo un anno sei ancora in emergenza allora non è più un'emergenza, e tu Stato devi dotarti di strumenti più normali per gestire la situazione, e 2) che ci fosse consapevolezza del fatto che non sono misure innocue.

Non ho paura che arrivi un fascismo a breve, intendiamoci.
Ho paura che si crei un "humus", un'abitudine che abbassi gli anticorpi (a proposito...) se tra dieci o vent'anni dovesse esserci qualche rischio di autoritarismo anche in Italia.

lunedì 5 ottobre 2020

La nuova enciclica, a scatola chiusa

Appunti sparsi, senza aver letto nulla.

Io non mi ricordo un'altra enciclica uscita così in sordina, o meglio: poco anticipata. Qualche tempo fa è arrivata notizia che "il 4 ottobre il Papa firmerà l'enciclica". Tutti i commentatori sono caduti dal pero (ah davvero? un'enciclica?) e c'era il vuoto assoluto sui contenuti, su cosa aspettarsi.

E' un'altra enciclica sociale. Papa Francesco è l'unico Papa ad aver scritto solo encicliche sociali (la prima "a quattro mani" con Benedetto non la conto, era la chiusura della trilogia precedente sulle virtù teologali, non è roba sua). Mi pare un segnale delle priorità del pontificato, e forse anche del poco interesse teologico di un Papa di formazione diversa da quella classica europea.

Francesco non usa molto lo strumento enciclica, ma nei primi anni ha scritto molto: Evangelii Gaudium e Gaudete et exsultate sono testi molto lunghi rispetto al solito; anche le esortazioni postsinodali (soprattutto Amoris laetitia, le due successive sono passate più in sordina) sono più di semplici documenti conclusivi. Da un paio d'anni s'era dato una "calmata", ma vedo che pure questo testo è lungo, come Laudato sì. Si conferma grafomane...

I testi sono lunghi anche perché ridondanti. Una fonte vaticana diceva che il Papa vorrebbe che ogni parte potesse essere letta a sé, quindi richiama spesso i presupposti, ripete ragionamenti eccetera. Mah, è uno stile. A me non piace, non facilita la lettura ragionata come testo lungo, ma è vero che Laudato sì si presta molto per citazioni, mentre per altri pontefici spesso bisogna fare taglia e cuci per rendere dei passaggi comprensibili.

Due encicliche sociali in 5 anni (con null'altro in mezzo) avvicinano Francesco a Giovanni XXIII, che ne scrisse due in due anni, Mater et magistra e Pacem in terris. Anche Paolo VI scrisse Gaudium et spes, Populorum progressio e Octogesima adveniens in pochi anni, ma tecnicamente solo la seconda è un'enciclica, e poi c'era il Concilio che richiedeva approfondimenti e spiegazioni. Giovanni Paolo II scrisse tre encicliche sociali tra 1981 e 1991, ma anche lui ebbe in mezzo il crollo del Muro da "commentare", e poi fino al 2005 non aggiunse altri documenti ufficiali.

Giovanni XXIII è probabilmente il Papa a cui Francesco è più vicino, per interessi e per un certo stile fiducioso nelle possibilità del mondo, informale, inclusivo nei confronti del "fuori Chiesa". Con grandi differenze nei confronti del "dentro".
Parliamo di due pontefici dallo stile "pastorale", entrambi piuttosto in rottura con il precedente pontificato "ingessato", entrambi attenti al dialogo con le altre religioni e con l'extra-Chiesa, con l'ambizione di riscrivere il rapporto col mondo.
Giovanni XXIII lo pensava forse in modo un po' ingenuo, mise in moto il Concilio che doveva durare qualche mese (era veramente ottimista!), poi non fece in tempo a vedere il cambiamento perché morì.
Francesco è chiaramente del parere che, come sosteneva Martini, la Chiesa è rimasta indietro nei rapporti col mondo. Non mi pare abbia chiaro come modificarlo e in che direzione andare ma mi pare che anche lui si fidi molto (forse - anche lui - un po' ingenuamente) del "bene" che c'è al di fuori della Chiesa, dai divorziati risposati all'Islam.
Inoltre entrambi hanno a cuore le problematiche sociali, e il "Fratelli tutti" mi ricorda il famoso "a tutti gli uomini di buona volontà" di Pacem in terris.

A proposito di Pacem in terris, leggo dai lanci dell'enciclica che Francesco parla di una riforma dell'ONU in una specie di governo mondiale. Questo passaggio c'era già in quella enciclica, e Benedetto XVI aveva poi ripreso nel concetto di "famiglia umana" a cui appartengono tutte le nazioni, quindi anche questa idea di fratellanza c'era già in Caritas in veritate, è un elemento di continuità.

giovedì 1 ottobre 2020

E allora il PD?

Oggi propongo un medley di pezzi che fotografano qualche parte dello scenario politico attuale.

Cominciamo con questo pezzo, di prima delle recenti votazioni, che critica il PD.
Ad esso fa da contraltare quest'altro pezzo, di dopo le elezioni, che invece individua il PD come l'unico "vincitore" della tornata elettorale.

Trovo - strano caso - condivisibili entrambi i pezzi. Sono sempre stato piuttosto scettico sull'alleanza PD-M5S. E' però vero che finora sembra che abbia funzionato per limitare i danni, e che anzi il partito più danneggiato non sia il PD. Non ci avrei scommesso. Anche i toni del governo sono cambiati, in meglio.

E' altrettanto vero che oltre ai toni è cambiato ben poco: i decreti sicurezza sono ancora lì, quota 100 vedremo se sarà abolita ma per ora è ancora lì, a livello di contenuti cosa c'è di nuovo? La riduzione dei parlamentari, che è una bandiera grillina.
Un governo beneducato, che non muove una virgola.

Ottimo successo la promessa di Recovery Fund, va detto, ma è ancora di là da venire.

Man mano che passano gli anni, e Berlusconi eclissa, Monti floppa, Renzi si autoesclude, Calenda non sfonda, man mano che passa il tempo, sempre più un'area moderata ridotta (altro che praterie) ma presente rimane senza rappresentanza.

E così, come accade ormai da anni, dovrò decidere se votare il partito unico - con sempre meno voglia - o disperdere il voto.

domenica 27 settembre 2020

Pubblicani e prostitute

 Oggi il Vangelo proponeva Matteo 21,28-32:

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Stavolta non è la parabola ad essere "sbagliata", ma la chiosa:  "i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". Pubblicani come Levi-Matteo e prostitute come Maddalena (anche se non sta scritto da nessuna parte che lo era) passeranno davanti a tutti nel Regno, ma solo perché smettono di essere pubblicani e prostitute, convertendosi.

Quindi non sono i pubblicani e le prostitute, a passare davanti nel Regno, ma gli ex pubblicani e le ex prostitute. Si intuisce dalla spiegazione successiva, è vero, che però resta ambigua: bene quando si parla di "pentimento", ma in tre voci si parla di "credere", il che sembra quasi presupporre una salvezza per fede. Invece sappiamo - anche dalla parabola precedente - che non basta la professione a parole, c'è bisogno dell'adesione nei fatti. Quindi non pubblicani e prostitute, ma pubblicani e prostitute a patto che non lo siano più...

martedì 22 settembre 2020

L'annata Ferrari, le annate Ferrari

Quest'anno la Ferrari va... vabbé.

La Ferrari va male da metà 2018, in realtà. Già durante quella stagione, l'ultima in cui ci fu qualche chance di titolo, gli aggiornamenti tecnici furono sbagliati, e la macchina, partita bene, rimase poi indietro rispetto alla Mercedes.

Los corso anno abbiamo visto una stagione con qualche lampo, ma con un solco rispetto agli avversari molto più profondo.

Quest'anno il disastro. Si è rinunciato forse a spendere energie su quest'auto, aspettando la rivoluzione regolamentare del 2021? Sorpresa: il Covid ha fatto slittare tutto di un altro anno. Quindi anche il prossimo anno sarà un pianto.

Non sto a dire il perché e il percome, non so se lavorano male i capi, la dirigenza che cambia continuamente organigramma, gli ingegneri. Pensavo però ai piloti.

Leclerc rischia di fare la fine di Alesi, arrivato in Ferrari nel 1991, l'anno del camion di Prost, seguito da due anni horribiles quasi come questo (due quarti posti in campionato costruttori). Alesi arrivò in Ferrari a 27 anni e spese gli anni migliori col Cavallino, Leclerc è molto più giovane e avrà altre occasioni. Ma se poi malauguratamente Ferrari sbagliasse il progetto 2022, Leclerc non si troverebbe incasellato in un ruolo di pilota da mezzo schieramento? Siamo in un periodo in cui si combinano due fattori: l'età media dei piloti di F1 si abbassa drasticamente e i top team puntano sempre più su un pilota unico, quindi i sedili buoni sono molto pochi. Alonso è la dimostrazione di come scelte di carriera sbagliate possano essere drammaticamente gravi.

Vettel rischiava di trovarsi in un vicolo cieco simile: appiedato da Binotto, i sedili buoni sono finiti. Senonché alla fine Binotto gli ha fatto un favore: è probabile che il prossimo anno Vettel battaglierà con Leclerc da una posizione di forza in Aston Martin. Probabilmente non vincerà più un Mondiale, anche se non si sa mai, ma sicuramente nel cambio ci ha guadagnato.

venerdì 18 settembre 2020

XX settembre

Magari non se lo ricordano in tanti, ma il XX settembre (scritto come nelle vie, ché suona meglio) non è solo il giorno del referendum.

Una volta era festa.

Qualche anno fa facevo una riflessione sul 25 aprile: è una data che celebra la fine di una guerra civile. Con la vittoria della parte giusta e migliore, per fortuna, ma pur sempre una guerra civile. Siamo - credo - gli unici ad aver scelto data collegata a una guerra civile come festa nazionale.

Pensavo che il XX settembre sarebbe una gran data per una festa nazionale. Una volta era divisivo anch'esso, era una data anticlericale, ma sono anni, decenni che questa cosa - da parte della Chiesa - è stata superata. Oggi anche i cristiani, e soprattutto anche le gerarchie, hanno preso atto della cosa, e anzi considerano la fine del potere temporale dei Papi come provvidenziale. Già nei diari di monsignor Tardini si legge già nel 1938 che

Pio XI aveva maturato la convinzione che la perdita del potere temporale ««era stata provvidenziale per i Papi; che il prestigio morale del pontificato ne aveva tratto immenso guadagno; che una restaurazione vera e propria di quel potere era umanamente assurda». Pur giudicando necessario «salvare il principio della sovranità anche civile e quindi territoriale del romano pontefice, ma spiritualizzò per così dire, anche lo Stato terreno, riducendolo al minimo, tanto quanto bastasse perché su un lembo di territorio il papa potesse essere e dirsi non suddito di un altro sovrano, ma sovrano egli stesso».

Dieci anni fa il cardinal Bertone fu presente alle celebrazioni di Porta Pia. Forse qualche radicale vorrà dare una lettura ancora laicista alla data, ma sarebbe poca cosa di fronte a una partecipazione comune.

Il XX settembre abbiamo completato l'Unità d'Italia. Sì, lo so, la I guerra mondiale, Trento Trieste Gorizia Zara Pola Fiume (come ricordano le are al Vittoriano). A me va bene anche Vittorio Veneto, eh, il IV novembre come festa nazionale. Ma mi rendo cnto che il significato militaresco che non va più di moda e soprattutto le moltitudini di morti dell'"inutile strage" non depongono a favore di questa scelta.

Invece il XX settembre militarmente è stata una scaramuccia di poco significato (condoglianze alle vittime, in ogni caso), e il recupero di Roma all'Italia pesa enormemente di più delle terre al confine orientale.

Quindi il mio voto va per il XX settembre. Non vedo l'ora di poterci tornare, a Porta Pia.

martedì 15 settembre 2020

Berlusconi, un coccodrillo

Berlusconi ha superato il coronavirus, pare.

In questi giorni pensavo all'ipotesi di una sua uscita di campo, quindi diciamo che questo è un "coccodrillo" in anticipo.

Che ne sarebbe/sarà di Forza Italia?

Chi si prende il marchio? Si sciolgono e seppelliscono Silvio nella bandiera originale 1994? Gli ex AN come Gasparri tornano con Meloni? Vanno tutti con lei e diventano una corrente di FdI?
Procede uno dei luogotenenti? Ma ce ne sono? Brunetta? Gelmini? Carfagna? Io credo che Silvio preferirebbe lei, se non altro per motivi estetici. Ok, no, questa è una battutaccia. Diciamo che sembra la più "pensante" lì dentro, se davvero FI si spostasse armi e bagagli in FdI credo che lei finirebbe in qualche contenitore di centro, magari non Renzi ma Calenda.

Comunque alla fine è riuscito meglio Grillo a rendere indipendente il M5S (non ci avrei mai creduto, ma il "passo di lato" l'ha fatto davvero) che Berlusconi con FI. Che epilogo inglorioso. Un partito personale, personalissimo fino all'ultimo.

giovedì 10 settembre 2020

Politica, donne, sinistra

Ieri sera ho visto Giorgia Meloni da Vespa.

Domande programmate (prassi molto spiacevole), ma lei ha fatto una bella figura. E' un bell'animale politico, è cresciuta tanto. Ragionavamo stamattina con un collega che il suo non nacque come un partito personale, ma man mano lo sta diventando sempre di più. Un contenitore di destra ci sarà sempre, in Italia, ma non è detto che il prossimo si chiamerà Fratelli d'Italia, che è sempre più "casa Meloni".

La Meloni è anche l'unica donna di peso nel panorama politico nazionale. Di destra, come Marine Le Pen. Altre donne capo di partito in giro per l'Europa - a memoria - non ce ne sono molte. In Spagna nessuno dei primi 4 partiti è guidato da una donna; in Francia l'unica è la già citata Le Pen; nel Regno Unito c'è Nicola Sturgeon in Scozia, ma è un partito locale. In Germania c'è il peso massimo: Angela Merkel (che tra l'altro lascerà il posto, e l'erede Annegret Kramp-Karrenabauer ha già rinunciato), tra gli altri partiti c'è l'uso del ticket uomo-donna, ma per chi non lo usa (socialisti e lib-dem) abbiamo solo uomini.

Mi colpisce che nessuna di queste donne sia di sinistra. Solo Nicola Sturgeon si colloca da quel lato, ma in un'alleanza, il suo partito è principalmente un partito locale.

Anche pensando alla storia, mi pare che le uniche donne capo dell'esecutivo in Paesi del G7 siano state Thatcher, May e Merkel. Nessuna di sinistra neppure qui. Scendendo di un livello, donne di sinistra a capo del partito in un'elezione ricordo Segolene Royal e Hillary Clinton, tra l'altro "mogli di", non un viatico molto femminista (come dall'altra parte anche la Le Pen è "figlia di").

Mi pare curiosa, questa cosa: il femminismo di solito è considerato una battaglia di sinistra.

Ma forse (ipotesi) il problema sta proprio qui. La donna in politica a sinistra, nella percezione tradizionale, non può che essere attenta ai problemi di genere, alla parità, eccetera. Viene quindi "incasellata" nel tema femminismo, e finisce in una gabbia: ci si aspetta che ne parli spesso, che la caratterizzi. Risultato: il dicastero delle pari opportunità come massima ambizione possibile.
La donna in politica a destra non ci si aspetta che sia una femminista, quindi non viene incasellata e può fare la politica tout-court.
Risultato: Thatcher, May, Merkel. Nessuna è vista come femminista, sono considerate politiche come i predecessori o i successori.

Il femminismo della sinistra, che qui da noi ci si aspetta anche dal PD, può essere una gabbia. Non è che le politiche di sinistra parlino solo di quello. Però anche se Boschi, Boldrini, Serracchiani parlano, che so, di economia ci si aspetta l'accenno alle donne "parte debole del mercato del lavoro", per esempio. E se non ne parlano è il giornalista che glielo chiede. Con Meloni o Gelmini non c'è questo meccanismo. Alla fine le politiche di sx si "specializzano", la Meloni no.

Aggiunta 15/9: tra l'altro anche tra le regioni non c'è questa maggioranza di sinistra, e anzi le ultime candidate (Emilia-Romagna, Umbria, Toscana) donne sono tutte di destra.

sabato 5 settembre 2020

Un referendum che non ci cambia la vita

Nell'ultimo post facevo riferimento a una questione che non ci ha cambiato la vita. Anche la prossima sarà una questione del genere: il taglio dei parlamentari.

Questo referendum non mi appassiona affatto. Trovo che quale che sia l'esito, non ci saranno conseguenze apprezzabili. Se vincerà il sì, non ci saranno rischi per la democrazia in arrivo; se vincerà il no, non sarà la vittoria della casta.

Le motivazioni per votare sì le conosciamo: un piccolo risparmio, risibile rispetto al bilancio statale; la speranza di snellire le procedure (cosa possibile, ma che dipende soprattutto da fattori indipendenti dal numero); la possibilità che i parlamentari siano più riconoscibili e più accountable.

Più articolate le motivazioni del no.
Le principali riguardano la compressione della rappresentanza, che è ovvia se diminuisci il numero di parlamentari. La valutazione se questo calo sia troppo o troppo poco è di solito affidata a confronti con altri Paesi. Il problema è che gli altri Paesi hanno sistemi diversi e non confrontabili, specialmente per il nostro bicameralismo perfetto, oltre che per altre differenze (Stati federali...).
Il confronto più sensato mi pare tra rappresentanti eletti a suffragio universale e diretto: in questo senso non trovo corretto chi calcola per l'Italia solo la Camera. Un senatore mi rappresenta come un deputato, li eleggo insieme, fanno le stesse cose: perché no?
Ricordo di aver letto un articolo, che ora non ritrovo, che mostrava come calcolando i rappresentanti eletti in questo modo l'Italia passerebbe da avere molti parlamentari a un numero in linea con la media europea (per esempio, la Francia ha 577 deputati eletti direttamente, l'Italia ne avrebbe 600). Un calcolo simile è presentato anche qui.

Anche le altre osservazioni sono legate essenzialmente a problemi numerici. C'è chi dice si penalizza la rappresentanza territoriale. A parte il fatto che questa è legata anche alla legge elettorale (numero dei collegi, liste bloccate...), mi pare che questo argomento sia costituzionalmente debole: il fatto di avere X senatori "di Brescia" è un'abitudine, una cosa che riguarda la cosiddetta "Costituzione materiale", ma ricordiamo che l'articolo 67 della Costituzione, quello che vieta il mandato imperativo, recita anche: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione".

Ho sentito alcuni paventare una mancanza di rappresentanza per le piccole regioni. Credo che questo sia dovuto alla modifica del numero di senatori minimo per regione, che - salvando Molise e Valle d'Aosta - passa da 7 a 3.
Detto delle due regioni eccezionali, che non cambiano il numero di senatori e si ritrovano quindi ancor di più sovrarappresentate rispetto alla popolazione, per altre regioni questo è vero. Però si tratta di quelle regioni per cui 7 senatori erano proporzionalmente troppi già prima (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Umbria e Basilicata). Queste regioni passano da avere un numero di senatori per abitante pari al 35% in più della Lombardia ad averne il 5% in più: in pratica erano sovrarappresentati prima e c'è un riequilibrio più equo.
A meno che non vogliamo insistere (in maniera di dubbia costituzionalità, come ho detto) sulla rappresentanza per territori, ma allora saremmo uno Stato federale come gli USA: un tot di senatori per Stato.

Altra critica: si rischia di avere una soglia "implicita" per entrare in Parlamento piuttosto alta, specie se eleggiamo i senatori su base regionale. Detto che ciò dipende anche dalla legge elettorale, anche questo è un effetto che mi trova favorevole. Non sono così convinto del maggioritario spinto, ma una soglia di sbarramento elevata mi trova favorevole. Per la rappresentanza e il diritto di tribuna c'è la Camera.

Sento dire anche che bisogna ridimensionare i delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica. Non lo trovo un gran problema: sono 3 per regione (1 alla Val d'Aosta), portandoli a 2 il numero calerebbe di 19 unità. E' dai tempi di Leone che nessun Presidente è eletto con maggioranze così risicate, mi pare un problema ininfluente.
Anzi, visto il regionalismo che abbiamo impostato nel Titolo V, idealmente per coerenza costituzionale forse ha anche senso che le regioni pesino qualcosa di più.

La diminuzione dei parlamentari eletti all'estero è proporzionale, e che siano di meno non mi pare una tragedia. Ai tempi della legge Tremaglia ero favorevole a questa rappresentanza, ma dobbiamo dire che l'esperimento non è stato signiicativo.

L'unico problema vero che vedo nell'eventuale vittoria del Sì non riguarda il merito: questo è un referendum che liscia il pelo dell'antipolitica, così è nato e così va avanti, e ogni cosa che va in questa direzione è un passo in una direzione sbagliata.

domenica 30 agosto 2020

Ma ve li ricordate?

 ...i pilomat?

Qualcuno mi ha fatto notare che da qualche tempo sono spenti, sempre abbassati.

Nel 2014-15 a Ospitaletto era tutto un pilomat. Erano l'argomento del giorno, quello che avrebbe disarcionato Sarnico, no! quello che avrebbe restituito la piazza ai cittadini, no! quello che avrebbe condannato gli esercenti, no! e via dicendo. Animi caldi, petizioni, cortei (cortei!).

Con la calma del senno di poi direi che i pilomat non hanno reso piazza Roma come piazza San Marco, non hanno rovinato il bilancio del Comune, non sono diventati la scusa per chiudere la piazza in continuazione, non hanno riportato le famiglie in piazza, non hanno fatto chiudere le attività sulla piazza, non hanno fatto da cavallo di Troia per rivolte di piazza criptofasciste, non vengono usati quasi mai, di recente.

Direi che non hanno cambiato granché. Poco danno o poco vantaggio averli, poco danno o poco vantaggio sarebbe stato non farli.

Sarebbe meglio tenere presente la misura, quando le tempeste si presentano. Può essere utile controllare che intorno non ci sia il bordo di un bicchier d'acqua.

lunedì 24 agosto 2020

Parasite

L'estate dei cinema all'aperto ha offerto Parasite.

Potevo risparmiare l'ingresso per qualcos'altro.

Film piuttosto sconclusionato. Per me un film è prima di tutto la trama, la storia. Deve essere plausibile (non nel senso di verosimile, ma nel senso di internamente coerente).
Invece ho trovato questa trama e questi personaggi privi di logica, di coerenza. Da metà film in poi è un susseguirsi (da parte mia) di "ma che fa? Ma figuriamoci se potrebbe fare una cosa così. Ma questo prima ha detto così e adesso fa il contrario? Ma questa scelta qua è assurda! Questo comportamento non sta in piedi".

I personaggi sono caratterizzati in un certo modo (il figlio abbastanza sveglio, la sorella decisamente sveglia, il padre pasticcione). Fino a metà film la cosa regge, e infatti sembra di essere in una specie di commediola degli equivoci stile "La banda dei poveri ma belli". L'ingenuità della padrona di casa è un passepartout per giustificare tutto (la TBC, ma figuriamoci!). Senza pretese, ma sta in piedi, con una certa dose di divertimento.

Poi i personaggi cominciano con una serie di decisioni illogiche e insensate, che fanno virare il film verso la tragedia.

Prima la padrona di casa fa l'elogio della raccomandazione, poi la sua governante viene scelta tramite un'agenzia, senza alcuna conoscenza.

Il padrone di casa si fa andar bene un autista che non guarda la strada?

E la luce del salotto? "Ah, fa i capricci da sempre". E non la fanno aggiustare neppure gli inquilini dopo. La luce del salotto, mica quella di un ripostiglio! Quando ci sono ospiti che figura ci fai?

Prima la famiglia di parassiti è dipinta come gente furbissima, poi fa una serie di cose scemissime. Ubriacarsi in salotto, durante un temporale, con i padroni in campeggio: mai ritorno fu più telefonato. Aprire alla ex domestica - figuriamoci! Prendiamoci il rischio di essere scoperti durante una festa! Bastava dire "la padrona non vuole, torni quando c'è lei". La ragazza, la stessa che diceva al padre "dobbiamo pensare solo a noi stessi", che si fa venire i rimorsi. Il ragazzo che pensa di inscenare il matrimonio (figuriamoci... e non glieli presenti mai i genitori? solo quel giorno nella vita?).

La stessa ex-governante aspetta settimane prima di intervenire per il marito? Ma che roba è? Suona e chiedi di parlare con la nuova governante prima! O al limite vai dalla polizia! Quello muore di fame!
E poi, una volta scattate le foto della famigliola scroccona, invece di chiuderli da qualche parte e andarsene per poi riprender loro il posto denunciandoli ai padroni di casa, si mette a infierire giocando con loro. Che assurdità.

Una roba così sconclusionata la accetto se sto guardando Scemo & più scemo o una commediola simile senza pretese. Ma se viri sulla tragedia/critica sociale allora non ci siamo.
Se vuoi fare critica sociale la storia deve essere credibile, avere un filo logico, se no quel che dipingi diventa implausibile e si perde la sua forza di critica ("ma dai, è solo un film, la realtà non funziona mica così"). Joker per esempio è molto meglio, da questo punto di vista.

Così il film diventa una cosa che non è né carne né pesce (come commedia non è granché divertente, come critica sociale è troppo inverosimile).

E comunque la critica finisce per essere nei confronti dei "parassiti": si fossero accontentati di entrare in casa i due ragazzi avrebbero avuto un bell'introito. Invece hanno fatto del male ad altre persone e hanno causato il precipitare degli eventi, complice la ragazza, novella Eva con la pesca come "frutto del peccato", come si dice in una scena con una bella fotografia.