domenica 30 gennaio 2022

Come il PD ha smontato il presidente in due mosse

E così abbiamo rieletto Mattarella.

La seconda volta, dopo Napolitano.

Ma quella volta, nel 2013, i politici si vergognavano. Stavolta è tutto un festeggiare.

In particolare Enrico Letta ha dichiarato che

È una vittoria di tutti, credo che il Parlamento abbia dimostrato saggezza perché Mattarella era il presidente che volevano gli italiani

Una "vittoria" di tutti, non una sconfitta.
Il Presidente che volevano gli italiani, non quello che voleva il PD.
(E comunque, se è una cosa buona perché è il presidente che volevano gli italiani, perché non proporre l'elezione diretta come dice Meloni?)

E poi:

Siamo stati costretti a chiedere al presidente della Repubblica di essere rieletto

quando tutti sanno che il M5S e ua parte del PD hanno avuto questo come obiettivo primario fin dall'inizio. Da qualche parte dovevano pur venire le centinaia di voti nell'urna per Mattarella.

sabato 22 gennaio 2022

Come ricorderò Mattarella

Sta per salutarci il Presidente.
Un Presidente amato e apprezzato, come accade spesso, per fortuna, anche in contrapposizione alle torsioni della politica.

Mattarella ha dimostrato un'ottima gestione di un settennato veramente difficile, con l'apice delle pulsioni populiste.

Io ho gradito molto il suo uso dei discorsi nelle varie occasioni. Sebbene non sia proprio un oratore, li ha usati sia per fare educazione civica (tra l'altro i suoi discorsi sono un sunto del personalismo e della dottrina sociale della Chiesa) sia per far passare elegantemente dei messaggi (sulla non rielezione, per non parlare di come ha parlato dei vaccini riuscendo a rimproverare chiaramente i no vax senza mai nominarli, altro stile rispetto alle intemerate di Draghi tipo "o ti vaccini o muori").

Mantengo tre riserve:

1) La gestione pubblica del caso Savona per me è un precedente pericoloso, questi veti si mettono dietro le quinte, un veto pubblico con una motivazione costituzionale così labile ("difendere il risparmio", insomma, il legame diretto con la scelta di un ministro è discutibilissimo) e sostanzialmente politica potrebbe essere un precedente rischioso. Lo scrissi anche su queste schermate.

2) Durante la pandemia mi pare che tutto l'arco istituzionale, lui compreso, abbia abdicato a un controllo istituzionale sulla sensatezza, proporzionalità, costituzionalità delle misure.
Abbiamo spostato il limite più volte, con GP, super GP, obbligo, con discussione praticamente nulla (col GP i costituzionalisti dicevano che i tamponi erano garanzia di libertà, quando sono spariti non ho più sentito questi costituzionalisti); strumenti legislativi discutibili (il primo GP per il lavoro fu deciso con decreto legge per una misura che entrava in vigore dopo un mese, un mese è ancora "urgenza" o si poteva fare una legge e non un decreto?); estensione oltre ogni limite dello stato di emergenza.
Per dire, in Austria l'obbligo è in discussione al Parlamento, non è arrivato dall'oggi al domani con un decreto (pubblicato retrodatato in Gazzetta Ufficiale).
Avrei gradito qualche segnale di vigilanza (un qualche discorso, un messaggio alle Camere, non per forza un rinvio dei provvedimenti), come successe con i decreti Salvini, per esempio.

3) Nei rapporti con la magistratura è stato decisamente morbido e persino lasco. Lui, presidente del CSM, lascia le cose così come le aveva trovate, senza nessun intervento proprio né governativo in corso su un potere che vive una profonda crisi di legittimità, specialmente all'interno delle istituzioni, più ancora che rispetto alla popolazione.

In ogni caso, grazie Presidente!

lunedì 17 gennaio 2022

La crisi dei conservatori (2)

Torno su quanto pubblicato la scorsa settimana.

Fanno bene gli autori a sottolineare che non c'è solo una crisi della sinistra, su cui si dice e si parla spesso.

La destra "classica" è stata travolta dallo tsunami populista quanto la sinistra è stata travolta dalla globalizzazione e dal trionfo del mercato.
Quest'ultimo sembrava aver dato ragione alla destra liberale, poi si sono viste tutte le contraddizioni ed è esploso un sentimento di populismo diffuso che ha favorito soprattutto lo sdoganamento di una destra retriva e intollerante (non so perché, questa cosa andrà indagata dagli studiosi, ma probabilmente c'entra qualcosa il linguaggio "violento" usato da indignati e populisti vari).
Oggi non ci si vergogna più a declinare tematiche di destra in termini non moderati.

Ma rinunciare al moderatismo e al liberismo, cioè alle ricette della destra istituzionale fino a 20 anni fa (prima di Berlusconi, in Italia; fino a Cameron, in Inghilterra), innesca un corto circuito per cui la reazione al liberismo (i ceti disagiati che votano a destra in una lotta tra poveri, e una certa richiesta di intervento statale a protezione) mette in secondo piano il liberalismo, e la destra populista non più liberista finisce per essere anche illiberale*. Questo lo leggo anche nella conclusione di Orsina.

Quando invece una destra moderata, liberale e non liberista non è impossibile: è quella che ha fatto l'Europa ai tempi dei padri fondatori.

Ho trovato interessante approfondire il conservatorismo nell'analisi di Orsina:

È possibile sostenere che il conservatorismo abbia una robusta componente opportunistica e reattiva: è un pensiero del limite, del contrappeso, del riequilibrio, si fonda sullo scetticismo, sulla prudenza, sulla consapevolezza che la condizione umana ha dei confini stretti e impossibili da superare. Il suo obiettivo non è negare o eliminare il mutamento, ma temperarlo quando si fa troppo rapido o troppo radicale e mette in pericolo i sempre delicatissimi equilibri storici. Il conservatore è tendenzialmente pessimista: del cambiamento vede più facilmente i rischi delle opportunità; non lo avversa a priori, ma lo maneggia con estrema cautela.

Questo è un conservatorismo moderato: chiedere ragione delle cose che si fanno o si propongono, interrogarsi se sono tutte giuste o meno, discernere se nelle varie proposte di cambiamento ci sono parti utili e necessarie o altre peggiorative. Il radicamento, la vicinanza alle radici, è motivata dalla prudenza prima di allontanarsi, non dal partito preso.

E' una posizione basata sulla razionalità, e non sul senso comune; quante volte invece sentiamo i politici populisti ammantarsi del "buon senso", che invece a volte è contrario - in questioni complesse - alla realtà fattuale?

Ma c'è spazio per posizioni come queste, razionali ma prudenti?
Rispettose dello status quo, che non è di per sé brutto e da buttare, ma non immobiliste?

In giro ne vedo molto poche, a meno di non considerare conservatore Macron. Liberale forse, conservatore non direi, anche se la posizione tesa a difendere un certo assimilazionismoin campo migratorio potrebbe tradursi in questa direzione.

* In realtà, a ben vedere, i vari Trump, Orban e Salvini sono un po' ircocervi, favorevoli ai dazi ma anche ai tagli di tasse (flat tax) e contrari a lacci e lacciuoli (tipo quelli ecologici).
Sono dei "liberisti in un solo Paese"...

martedì 11 gennaio 2022

La crisi dei conservatori (1)

Dopo lo scorso pezzo, proseguiamo sulla falsariga delle crisi, ma passiamo a un argomento meno ludico. Segnalo due lunghi articoli che ho trovato molto interessanti e che sembrano rispondere l'uno all'altro. Per oggi mi limito a una breve sinossi, poi ci tornerò sopra con alcune riflessioni mie.

Il Mulino, a firma Steven Forti, propone un'analisi dello stato attuale del mondo conservatore in Occidente.

Il Partito popolare europeo (Ppe), pur essendo ancora il primo partito a Bruxelles nonostante l’espulsione dei tredici deputati di Fidesz, ha ottenuto il 21% dei voti alle elezioni europee del 2019, quando nel 2014 era al 29,4% e cinque anni prima sfiorava il 36%. Ha praticamente dimezzato i suoi voti in appena un decennio. Per di più, con la formazione dell’esecutivo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz in Germania, ha perso anche l’ultima presidenza di un governo importante dell’Unione europea. [...] una profonda debolezza che non è solo elettorale. Riguarda in primis il progetto politico.

Secondo Forti, i conservatori

sono poco a poco rimasti schiacciati tra l’incudine di quella che Ronald Inglehart ha definito la «rivoluzione silenziosa» e il martello della «contro-rivoluzione silenziosa» delineata già una trentina d’anni fa da Piero Ignazi. Ossia, da una parte la diffusione dei valori progressisti e post-materialistici; dall’altra, la reazione nativista e autoritaria rappresentata dalle nuove estreme destre.

Questa situazione fa dire all'autore che

I conservatori sono il vero anello debole delle nostre democrazie. [...] il rischio di una radicalizzazione del centrodestra è uno dei maggiori pericoli per la democrazia occidentale nel XXI secolo.

Quasi a rispondere a questi timori, il politologo Giovanni Orsina (Luiss) scrive il policy brief Un conservatorismo per il XXI secolo? Spazio politico e sfide obbligate. Orsina osserva che

potrebbe essere in corso – il condizionale è d’obbligo – un processo di rientro della protesta cosiddetta “populista” contro la globalizzazione, che ha segnato l’ultimo decennio, nei ranghi di un’ideologia più strutturata e tradizionale quale quella conservatrice.

L'articolo analizza le traiettorie sociali degli ultimi decenni, soffermandosi sulla accelerazione dei cambiamenti, la radicalizzazione del progressismo e un certo ottimismo per cui ogni cambiamento è di per sé positivo.

Questi tre processi hanno aperto spazi importanti a una reazione conservatrice. Più in positivo, l’integrazione del Pianeta sta riportando in superficie, in segmenti consistenti delle opinioni pubbliche occidentali, quello che in altra epoca Simone Weil ebbe a definire «il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana»: il radicamento.

C'è quindi spazio per una posizione politica conservatrice, a patto che si affrontino tre questioni:

1. Reagendo alla radicalizzazione del progressismo, il conservatorismo rischia di radicalizzarsi a sua volta.

2. Un conservatorismo che abbia a cuore il radicamento (e la democrazia) non può fare a meno di valorizzare la dimensione nazionale. Deve però avere la consapevolezza che qualsiasi mossa de-globalizzante potrebbe avere effetti negativi considerevoli [e che] ri-nazionalizzare potrebbe significare indebolire i valori occidentali.

3. La terza e ultima sfida riguarda l’economia [...] il mercato è un potentissimo dissolutore di radicamento. Forse il più potente che ci sia. Far convivere il radicamento con il mercato è la terza grande sfida alla quale il conservatorismo del XXI secolo è chiamato a rispondere.

 

 

lunedì 10 gennaio 2022

Crisi epocali (de circenses)

La Juventus è in crisi.

Ieri sera, sul 3-1 per la Roma, mi è sovvenuto un pensiero. Che non viene modificato dal risultato finale, perché abbraccia una situazione ben più ampia.

La crisi che la Juventus sta attraversando da qualche anno ha molti punti in comune con il periodo della seconda metà degli anni '80.

La parabola delle due Juventus mi par simile: cicli decennali vincenti (1975-1986 e 2011-2021), con una prima fase di "costruzione", affidata a un nuovo allenatore (Trapattoni e Conte), con la costruzione di un'ossatura di campioni, alcuni giovani (Tardelli, Cabrini, Scirea; Bonucci, Vidal, Pogba), altri esperti pescati da altre squadre (Benetti; Pirlo), innestati su un capitano di lungo corso (Furino; Del Piero) e sul portierone della Nazionale (Zoff; Buffon).

Poi gli anni vincenti, con l'acquisto di giocatori forti in Italia (Rossi; Pjanic e Higuain) ma anche alcuni errori nel pescare nuove leve, con la squadra che fa sempre affidamento principalmente sulla "vecchia guardia".

Segue l'avvicendamento tra il vecchio portiere (Zoff; Buffon) e un nuovo portiere forte ma non come il precedente (Tacconi; Szczezny); il progressivo invecchiare degli uomini chiave viene puntellato con l'arrivo di una stella internazionale (Platini e Cristiano Ronaldo) che è la chiave degli ultimi anni.
Alla fine se ne va l'allenatore dei trionfi (Trapattoni; Allegri), sostituito da un allenatore con poco palmares (Marchesi; Sarri).

L'ultimo anno della stella (1987 e 2021) coincide con il primo anno senza trofei di peso; l'uscita della stella apre gli anni della crisi. La Juventus si ritrova con nomi non all'altezza dei precedenti (Tricella e Magrin; Bernardeschi e De Sciglio) e anche strapagati (Rush; Rabiot e Ramsey). I nuovi arrivi, anche buoni, non riescono a invertire la tendenza (Laudrup; Chiesa).

In comune tra i due cicli c'è perfino il numero di finali di Coppa dei Campioni.
Ovviamente ci sono un sacco di differenze, s'intende: il calcio è completamente diverso, e la storia non si ripete mai uguale.

La crisi di fine anni '80 segnò il periodo più lungo senza scudetti del dopoguerra juventino.

Vedremo questa volta quanto durerà.