domenica 30 agosto 2020

Ma ve li ricordate?

 ...i pilomat?

Qualcuno mi ha fatto notare che da qualche tempo sono spenti, sempre abbassati.

Nel 2014-15 a Ospitaletto era tutto un pilomat. Erano l'argomento del giorno, quello che avrebbe disarcionato Sarnico, no! quello che avrebbe restituito la piazza ai cittadini, no! quello che avrebbe condannato gli esercenti, no! e via dicendo. Animi caldi, petizioni, cortei (cortei!).

Con la calma del senno di poi direi che i pilomat non hanno reso piazza Roma come piazza San Marco, non hanno rovinato il bilancio del Comune, non sono diventati la scusa per chiudere la piazza in continuazione, non hanno riportato le famiglie in piazza, non hanno fatto chiudere le attività sulla piazza, non hanno fatto da cavallo di Troia per rivolte di piazza criptofasciste, non vengono usati quasi mai, di recente.

Direi che non hanno cambiato granché. Poco danno o poco vantaggio averli, poco danno o poco vantaggio sarebbe stato non farli.

Sarebbe meglio tenere presente la misura, quando le tempeste si presentano. Può essere utile controllare che intorno non ci sia il bordo di un bicchier d'acqua.

lunedì 24 agosto 2020

Parasite

L'estate dei cinema all'aperto ha offerto Parasite.

Potevo risparmiare l'ingresso per qualcos'altro.

Film piuttosto sconclusionato. Per me un film è prima di tutto la trama, la storia. Deve essere plausibile (non nel senso di verosimile, ma nel senso di internamente coerente).
Invece ho trovato questa trama e questi personaggi privi di logica, di coerenza. Da metà film in poi è un susseguirsi (da parte mia) di "ma che fa? Ma figuriamoci se potrebbe fare una cosa così. Ma questo prima ha detto così e adesso fa il contrario? Ma questa scelta qua è assurda! Questo comportamento non sta in piedi".

I personaggi sono caratterizzati in un certo modo (il figlio abbastanza sveglio, la sorella decisamente sveglia, il padre pasticcione). Fino a metà film la cosa regge, e infatti sembra di essere in una specie di commediola degli equivoci stile "La banda dei poveri ma belli". L'ingenuità della padrona di casa è un passepartout per giustificare tutto (la TBC, ma figuriamoci!). Senza pretese, ma sta in piedi, con una certa dose di divertimento.

Poi i personaggi cominciano con una serie di decisioni illogiche e insensate, che fanno virare il film verso la tragedia.

Prima la padrona di casa fa l'elogio della raccomandazione, poi la sua governante viene scelta tramite un'agenzia, senza alcuna conoscenza.

Il padrone di casa si fa andar bene un autista che non guarda la strada?

E la luce del salotto? "Ah, fa i capricci da sempre". E non la fanno aggiustare neppure gli inquilini dopo. La luce del salotto, mica quella di un ripostiglio! Quando ci sono ospiti che figura ci fai?

Prima la famiglia di parassiti è dipinta come gente furbissima, poi fa una serie di cose scemissime. Ubriacarsi in salotto, durante un temporale, con i padroni in campeggio: mai ritorno fu più telefonato. Aprire alla ex domestica - figuriamoci! Prendiamoci il rischio di essere scoperti durante una festa! Bastava dire "la padrona non vuole, torni quando c'è lei". La ragazza, la stessa che diceva al padre "dobbiamo pensare solo a noi stessi", che si fa venire i rimorsi. Il ragazzo che pensa di inscenare il matrimonio (figuriamoci... e non glieli presenti mai i genitori? solo quel giorno nella vita?).

La stessa ex-governante aspetta settimane prima di intervenire per il marito? Ma che roba è? Suona e chiedi di parlare con la nuova governante prima! O al limite vai dalla polizia! Quello muore di fame!
E poi, una volta scattate le foto della famigliola scroccona, invece di chiuderli da qualche parte e andarsene per poi riprender loro il posto denunciandoli ai padroni di casa, si mette a infierire giocando con loro. Che assurdità.

Una roba così sconclusionata la accetto se sto guardando Scemo & più scemo o una commediola simile senza pretese. Ma se viri sulla tragedia/critica sociale allora non ci siamo.
Se vuoi fare critica sociale la storia deve essere credibile, avere un filo logico, se no quel che dipingi diventa implausibile e si perde la sua forza di critica ("ma dai, è solo un film, la realtà non funziona mica così"). Joker per esempio è molto meglio, da questo punto di vista.

Così il film diventa una cosa che non è né carne né pesce (come commedia non è granché divertente, come critica sociale è troppo inverosimile).

E comunque la critica finisce per essere nei confronti dei "parassiti": si fossero accontentati di entrare in casa i due ragazzi avrebbero avuto un bell'introito. Invece hanno fatto del male ad altre persone e hanno causato il precipitare degli eventi, complice la ragazza, novella Eva con la pesca come "frutto del peccato", come si dice in una scena con una bella fotografia.

lunedì 17 agosto 2020

Joker vs. Richard Jewell

 Il cinema estivo all'aperto mi ha fatto vedere a breve distanza anche Joker, oltre a Richard Jewell di cui parlavo l'altra volta.

Non mi avventuro in troppe analisi sul film, ce ne sono già una marea. Sicuramente il film intreccia molti temi: la disabilità, l'esclusione sociale, i servizi sociali (o la loro mancanza), la violenza. Arthur diventa Joker per colpa della società o per colpa sua? C'è spazio per entrambe le risposte, ciascun osservatore può scegliere quella che ritiene prevalente.

Mi ha colpito però che i due film abbiano parecchi tratti in comune.
Sia Richard che Arthur sono degli emarginati, delle persone "inadatte" a vivere "normalmente" nella società. Arthur ha una patologia mentale, dei disturbi, prende delle medicine; Richard non arriva a questi livelli ma non mi pare che sia completamente esente da qualche turba (sembra vagamente "autistico", è un po' ossessionato dalla sua idea di ordine).
Entrambi però non sono così "gravi" da non poter tentare di vivere nel mondo: anche Arthur non sta in una struttura, vive a casa e ha un lavoro.
Entrambi sono fissati nel voler fare un certo lavoro (il comico e il poliziotto). Entrambi mi pare che non siano adatti a fare questo lavoro: Arthur ha il problema della risata incontrollata al momento sbagliato, oltre che una certa difficoltà a comprendere ciò che fa ridere e ciò che no con le lenti distorte della sua mente. Richard ha il problema di non sapersi limitare, di rincorrere la visibilità come forza dell'ordine in ogni minima cosa e oltre (come fermare le auto fuori dalla sua giurisdizione o spacciarsi per poliziotto). Eppure entrambi perseguono proprio questa occupazione per cui non sono adatti e che infatti continua a dar loro delusioni, la loro fissazione.

Qui mi è venuto da pensare: cosa dovrebbe fare una società per comportarsi "bene" di fronte a questi casi? Prendersene cura? Penso soprattutto ad Arthur: i servizi sociali avrebbero dovuto instradarlo altrove? Dirgli, con tatto, che se vuole stare nel mondo "normale" non è adatto a fare il comico, ma può avere altre possibilità? Oppure prenderlo in carico e assecondarlo nel suo desiderio, fornendogli un contesto "protetto" (gli spettacolini davanti alla cooperativa, in cui i parenti applaudono)? Non sarebbe come rinunciare a inserirlo?
Purtroppo la disabilità comporta il non poter fare alcune cose. Non è vero che chiunque può fare qualunque cosa, così come non è vero per i normodotati (io non posso fare il fantino perché sono troppo alto, e questo varrebbe anche se lo volessi tanto).

Anche per Richard poteva valere qualcosa del genere: non sei adatto a fare il poliziotto, ti hanno già cacciato da un paio di posti di "vigilanza". Qualcuno ti dice che non è posto per te? Oppure ti diamo un distintivo vuoto di potere, ti facciamo fare il guardiano di un posto deserto (come uno che conosco in Franciacorta)? Poi la polizia USA è fatta in modo tale che non è unitaria, è un insieme di polizie locali, per cui se esci da una puoi farti assumere in un altro posto, come cambiare ditta, perciò Richard continua a girare. Però a fine film lo vediamo poliziotto, ma non sul campo: in ufficio a timbrare carte, che forse, data la sua attenzione, è la cosa migliore.

Invece nessuno, nei due film, si prende la briga di "educare" i due all'accettazione delle loro debolezze, delle impossibilità che queste comportano, men che meno le mamme. La conseguenza è una empatia con i due basata sulla pena, una continua fremdschamen.

Naturalmente Richard Jewell è un film che parla d'altro, del rapporto con l'autorità. Ma trovo che i punti di contatto tra le due situazioni siano molti.
Questo non fa che aumentare il contrasto tra gli esiti delle due vicende: da una parte il turn heel di Arthur/Joker, dall'altra un personaggio che, pur essendo il ritratto di chi ne avrebbe la tentazione (cosa su cui si imbastisce il processo sommario della pubblica gogna) non cede al lato oscuro.

venerdì 14 agosto 2020

Abbiamo perso un allenatore

Non Sarri. Pirlo.

Come tutti sanno, è arrivato il sequel di questo: la brutta uscita in Champions, l'esonero di Sarri, l'arrivo di Pirlo, in ordine crescente di imprevedibilità, con l'ultimo evento fuori scala.

Ribadisco quanto già scritto: Sarri non ci ha capito molto della Juve.
Tecnicamente ha cambiato spessissimo formazioni, i giocatori non lo seguivano, Ronaldo era piuttosto anarchico. Gran merito, rispetto ad Allegri, la "risurrezione" di Dybala. Ma analizzando più a fondo la cosa, Dybala è stato rivitalizzato dopo il lockdown per il semplice fatto che Higuain non è praticamente rientrato in condizioni presentabili. Fino a dicembre Dybala era riserva, e c'erano le discussioni se fosse sostenibile con CR7 e Pipita (vedi Supercoppa italiana). Higuain nei primi mesi - dopo aver fatto il diavolo a quattro per restare - correva, tornava, difendeva, e tutti (me compreso) dicevamo "ah però, pensare che volevano venderlo". Con la ripresa la scelta Dybala è stata praticamente obbligata per mancanza di alternative. Detto ciò, Sarri si è trovato a fare quella scelta, bravo lui, ma credo che Allegri con questa rosa e queste condizioni avrebbe fatto lo stesso.
Inoltre, Sarri non ci ha capito molto neppure in fase societaria. Non "c'entra nulla" con la storia Juve, con lo stile Juve: quando rivendicò come successi le promozioni nelle serie minori la fece fuori dal vaso. Per me il problema è la mentalità. Tra Conte "il secondo è il primo degli ultimi" e Sarri "abbiamo perso lo scudetto in albergo" e "ma io ho un sacco di promozioni nei dilettanti!" ci passa un abisso. Anche perché che parte fai con i tuoi giocatori? Cosa pensa CR7 di uno che dice "eh ma io ho vinto con la Sangiovannese, eh!"? Per me è un segno che non hai capito molto bene dove sei finito: sei alla Juve. Il top in Italia. Il livello è un altro, anche come mentalità. Quando si dice "vincere è l'unica cosa che conta", si parla di essere i soli vincitori al livello top, non l'Eccellenza. Non puoi mostrare una mentalità così provinciale.

Detto ciò, io - data l'impossibilità di rifondare in tempi così brevi come quelli imposti da questa stagione assurda - una seconda possibilità gliela avrei concessa. La concedemmo pure a Rino Marchesi, in fondo Sarri lo scudetto l'ha vinto, pur facendo numeri alla mano la peggiore stagione delle ultime nove. Invece arriva Pirlo.

Pirlo non ha il problema della mentalità, anzi, come suggerisce il New York Times, forse ha il quid per allenare la Juventus: allenare una squadra di livello Champions è un altro sport rispetto ad allenare una outsider.
Per allenare una super-big quello che impari allenando l'Empoli di turno (la gavetta, insomma) non ti serve. Serve di più stare in una super-big, da allenatore o da giocatore, come Zidane, Guardiola, Lampard, Solskjaer, Arteta, magari Pirlo.

Però resta il problema della squadra a fine ciclo. Prima o poi (più prima che poi) la striscia di scudetti si fermerà, e ci sarà un allenatore che sarà ricordato per questo. Si rischia di bruciare anche Pirlo, come si bruciarono Seedorf e Inzaghi in condizioni analoghe al Milan (o Stramaccioni all'Inter, ma lui non aveva neppure il quid). Ho paura che non sarà un altro Guardiola, ma un altro Ferrara, ma stavolta la colpa potrebbe non essere dell'allenatore.

martedì 11 agosto 2020

Gli archetipi della politica

 Segnalo questo interessante articolo sul Tascabile.

Già a suo tempo avevo letto l'articolo originale, citato nel testo. Qui si legge un gustoso approfondimento. Alcune semplificazioni sono probabilmente eccessive, come sempre quando si cerca di adattare la realtà a modelli generali, ma non per questo i modelli sono inutili, anzi.

Un po' scontata la solita parte in cui “La semplicità è intrinsecamente di destra e la complessità di sinistra”, anche se a onor del vero è una citazione di un altro autore all'interno del testo, che viene problematizzata.

Interessantissima la parte sui complottismi:

Le teorie del complotto rispondono a diversi bisogni umani: quello di comunità prima di tutto, e poi il bisogno di mistero, di meraviglia, di sorpresa, la gratificazione di saper leggere gli avvenimenti meglio della maggioranza: sono tutti elementi seducenti, cose che vogliamo nelle nostre vite. [...]
In generale i complotti sono degli attivatori molto completi ed efficienti, con un’efficacia quasi religiosa e mitica. Soddisfano un bisogno di appartenenza, perchè ti fanno sentire parte di una comunità di “risvegliati”. Soddisfano un bisogno di autonomia e indipendenza perché ti fanno sentire un “iniziato” rispetto alla grande maggioranza delle persone, che per te sono “pecore”. Soddisfano un bisogno di stabilità perché danno ordine al mondo, lo organizzano in un racconto coerente governato da stringenti principi di causa ed effetto e animato da eroi con obiettivi definiti e avversari potenti, e ti permettono quindi di trovare un tuo saldo posizionamento in questo ordine.

lunedì 10 agosto 2020

Richard Jewell

 E' un caso curioso, che dopo lo scorso post in cui parlavo dell'autorità io sia andato al cinema (all'aperto, of course) a vedere l'ultimo lavoro di Clint Eastwood, Richard Jewell.

Un altro bel film, come lo scorso The mule. Questi ultimi due, seppure non al livello dei suoi capolavori,  sono sicuramente migliori dei precedenti Sully e Attacco al treno. Lo schema del film è simile a quello di Sully, con l'eroe ingiustamente accusato. Anche qui la storia è vera - e quindi si sa già come è andata a finire (mentre guardavo il film, pensavo che rinunciando a sapere il finale poteva venirne fuori un eccellente giallo: sarà lui o no il colpevole?).
Ciò nonostante Eastwood costruisce un film che appassiona, e la riuscita è molto migliore che in Sully.

Perché l'eroe stavolta - in una storia vera - non è il comandante con le mostrine, è quanto di più antieroico si possa immaginare. Un debole, un fissato, forse vagamente autistico, che dalla sua ha sostanzialmente una cosa sola: l'essere in buona fede. Un perdente, ma non uno di quelli che trovano il riscatto hollywoodiano. Una specie di Forrest Gump, ma più vero (e quindi più politicamente scorretto*).

I persecutori, stavolta, appartengono a due categorie: i media e le istituzioni, che hanno bisogno di un colpevole e lo trovano in uno che assomiglia troppo allo stereotipo del colpevole per non esserlo, anzi per essere addirittura un eroe.

Detta così sembra un film sui pregiudizi, contro i pregiudizi. Sì, è una delle possibili chiavi di lettura. Ma Eastwood fornisce sempre tante chiavi di lettura nelle sue opere, e Eastwood è Eastwood: la sua filosofia traspare chiaramente nel personaggio dell'avvocato Watson, che ha in ufficio un poster con scritto:

I fear government more than I fear terrorists

Eastwood il libertario, che diffida di ogni potere. E' interessante il conflitto tra il concetto di istituzioni che ha Jewell - amante di "legge e ordine": "A me hanno insegnato che alla polizia si ubbidisce" - e Watson, che lo mette in guardia dall'FBI che cerca in tutti i modi di incastrarlo: "Non riesci a non trattarli così bene?". E' la polizia cattiva di Changeling, di J. Edgar. Ma Eastwood non si spinge fino al complottismo, non dice di non credere mai alla polizia. La polizia di Eastwood cerca di trovare un appiglio per incriminare Jewell, anche con metodi "furbi", con salti logici, ma alla fine non lo fa. Non inventa prove false, non fa quel passo in più. A volte l'avvocato sbroglia alcune situazioni appellandosi ai diritti di Jewell, che l'FBI - pur in modalità vessatoria - rispetta. D'altra parte Eastwood è anche quello che rispetta profondamente l'esercito, non è un anarchico. Forse - ipotesi mia - l'esercito è più nelle sue grazie perché i soldati di American sniper rischiano di tasca propria la propria pelle, mentre gli agenti governativi tendenzialmente no.

Una chiave la dà l'avvocato, quando alla fine del film dice a Jewell, prima di entrare nella stanza in cui verrà nuovamente interrogato: "In quella stanza non ci sono le istituzioni. Ci sono delle persone. E nessuno là dentro è migliore di te".
La differenza tra ufficio e detentore dell'ufficio. L'autorità che cammina sempre sulle gambe degli uomini, che possono essere buoni o cattivi. Se vogliamo, la Chiesa, santa ma fatta di peccatori.

Un principio da tenere a mente, per non abbassare la guardia nei confronti di chi detiene un potere, perché come scrisse lord Acton,

Power tends to corrupt, and absolute power corrupts absolutely.

Aggiungo un paio di appunti: che assurdità, i Giochi del centenario ad Atlanta. Si compra tutto. Di quei Giochi si salvarono l'ultimo tedoforo e il record di Michael Johnson, e infatti Eastwood usa abilmente quelle due immagini, specialmente la seconda, in un momento chiave del film. E poi l'Atlanta Journal-Constitution. Ci avevo avuto a che fare personalmente una quindicina di anni fa, ma non conoscevo la storia del 1996.

* Eastwood, alla sua età, può permettersi di essere politicamente scorretto: il personaggio della giornalista è quanto di più scorretto si possa pensare in tempi di "me too", come la fulminante battuta "Ciao lesbiche!" "Ciao vecchio!" in The mule.

domenica 2 agosto 2020

Lo stato di emergenza

E così abbiamo prorogato lo stato d'emergenza.
Non so se fosse necessario, non sono abbastanza leguleio.
A marzo era chiara a tutti l'emergenza, e nessuno discute la necessità di allora. Così come nessuno discute che servano misure di gestione, di prevenzione e di semplificazione delle procedure anche per il periodo attuale.
La domanda è: lo stato di emergenza è uno strumento necessario per metterle in campo? Non possono bastare i decreti legge? Servono i DPCM?

In questi giorni di discussione ho imparato che in realtà la prassi dello stato d'emergenza è già stata usata molte volte, dai terremoti al ponte di Genova. Per esempio, per quest'ultimo caso, esso è stato ricostruito in poco tempo, con procedure semplificate e con un supercommissario (il sindaco Bucci) dichiarando e prorogando lo stato di emergenza, relativamente a quell'accadimento.
Sembra quindi che lo stato d'emergenza serva a velocizzare le procedure. Mi pare un segno di inadeguatezza della nostra macchina burocratica ed amministrativa, ma tant'è. Mi resta un dubbio: a dichiarare lo stato di emergenza ci si mette un giorno. Non si poteva lasciar scadere l'attuale ed eventualmente dichiararlo nuovamente dopo, se dovesse malauguratamente servire? Nell'ottica che sarebbe meglio usarlo il meno possibile*.

Le altre volte che è stato usato non ci siamo accorti dello "stato di eccezione" perché le modifiche riguardarono soprattutto aspetti tecnici, appalti eccetera. In qualche modo anche allora c'erano state compressioni delle leggi (concorrenza) e della Costituzione (libero mercato), ma non ce ne eravamo accorti, in un certo senso.

Stavolta i DPCM sono stati molto invasivi, e - giustamente - abbiamo notato la limitazione delle libertà costituzionali (circolazione, religione). Decise in modo legittimo o no? Proceduralmente senz'altro sì, costituzionalmente non so. E' vero che non ci sono stati ricorsi, ma su questo mi tengo il dubbio che fosse perché data la situazione abbiamo tutti deciso di accettare le limitazioni senza piantare grane.
Col senno di poi qualche disposizione o procedura incostituzionale per me c'era, ma ce la siamo fatta andar bene. Per esempio la sospensione delle messe coinvolge i Patti Lateranensi, che sono un trattato internazionale e che prevedono l'accordo tra le parti. La CEI a marzo avrebbe potuto opporsi, forse, e sollevare la questione, ma non l'ha fatto perché non era il caso. Inoltre sappiamo i tempi dei ricorsi: sono incompatibili con l'urgenza, quindi diventano inutili.

E qui allarghiamo il discorso. Mi pare che in realtà in pochi abbiano alzato il sopracciglio di fronte alla modalità di compressione delle libertà costituzionali. Mi chiedo il perché, e mi vengono due risposte. Una è che siamo italiani, e fatta la legge cominceremo a trovare il cavillo, il modo per aggirarla o eluderla. L'altra è che ci "fidiamo" troppo, facciamo quel che ci dice mamma-Stato senza pensare.
Non so, non mi piace nessuna delle due risposte. io preferirei mantenere alta la guardia, perché oggi non c'è pericolo nel fidarsi del governo, ma domani? Tutti questi stati di emergenza, questi DPCM senza verifica di legittimità, creano precedenti e, in un certo senso, "assuefazione".

* A meno che il permanere dello stato di emergenza non sia necessario per alcune procedure (nomina di supercommissari come Arcuri, ad esempio).