martedì 30 novembre 2010

News locali

In paese sono apparsi nei giorni scorsi alcuni manifesti in paese in cui il Pdl critica la condotta della Lega in Regione sulla caccia... il manifesto non è comunale, ma è difficile che in paese non se ne sapesse nulla. Schermaglie tra alleati? Le ultime voci danno l'assessore Giudici come scelta del centrodestra per le elezioni comunali: pare che abbia sorpassato (ormai definitivamente?) Abrami.
Comunque, proprio quando queste voci si sono fatte più insistenti esce un numero di Ospitaletto.org incentrato praticamente su di lei. Bene la critica, la cosa che mi fa un po' sospettare dell'imparzialità del numero è che non c'è una nota positiva che sia una, e mi sembra anche solo statisticamente difficile che in 10 anni la Giudici non abbia combinato nulla di buono...

p.s. non cercate i manifesti in giro: sono stati coperti da quelli di Giulio Incontro, col nuovo marchio di Fini-Fli.

lunedì 29 novembre 2010

Azioni e reazioni

Ecco, ci mancava solo questo. Una bella reazione scomposta, giusto per fare ancora più rumore.
Nella Caporetto della diplomazia, anche il nostro Presidente del Consiglio è ben poco diplomatico.
Sarebbe servita una bella dose di understatement, nemmeno commentare le fughe di notizie, e invece alziamo la cagnara.

domenica 28 novembre 2010

I partiti in Comune

La scorsa settimana ho partecipato a uno dei laboratori che fanno parte del percorso della Scuola di Formazione all'Impegno Sociale e Politico della Diocesi, e il relatore ha parlato del ruolo dei partiti dalla Prima Repubblica alla crisi durante la Seconda.
Mi è sovvenuta allora una riflessione sul ruolo dei partiti a livello comunale.

Ritengo che il ruolo dei partiti sia ancora, al giorno d'oggi, insostituibile come "catena di trasmissione" della democrazia dal livello locale al livello più ampio. Poi potremo discutere sulla forma dei partiti, sulle strutture e gli strumenti più o meno moderni che utilizzano, ma non potremo mai prescindere dalla presenza di formazioni organizzate che coordinino un po' l'attività politica: non si fa politica da soli.
Al contrario, penso tutto il male possibile dell'attività dei partiti a livello comunale. Mi spiego: le sezioni dei partiti sono necessarie anche a livello locale, proprio per essere il primo gradino di un coordinamento più vasto e al più - ma questo sarebbe più compito di associazioni culturali - per proporre dibattiti, temi di discussione.
La loro attività nella vita politica e amministrativa dei Comuni invece si riduce di solito a uno scimmiottamento
delle pratiche più deleterie dell'architettura politica: quanti posti a te, quanti assessori a me, l'ufficio tecnico degli amici degli amici, quanto sono cattivi gli altri...
Inoltre la presenza di liste collegate ai partiti porta ad almeno due conseguenze deleterie sul dibattito politico locale. La prima è l'inasprimento delle contrapposizioni, che diventano "per partito preso" (come dice la parola stessa) invece che sul merito. La seconda è la deriva della discussione da argomenti locali ad argomenti sovralocali: si sentono partiti che in consiglio comunale discutono di massimi sistemi, di razzismo, di spesa pubblica, di immigrazione, di legalità divagando dagli argomenti concreti, locali.

Il mio sogno - un'utopia, non un vero progetto, beninteso - sarebbe quello che alle elezioni comunali non si presentassero delle liste, ma un unico listone di persone che danno la propria disponibilità per il proprio Comune, tra le quali scegliere l'elenco dei consiglieri comunali: una specie di bulé dell'antica Grecia. Gli eletti quindi non sarebbero legati ai partiti (ovviamente potrebbero esservi iscritti, ma non legati alle liste), e dovrebbero lavorare per trovare accordi di bene comune, il più ampi possibile. La "cosa" più vicina a una struttura del genere potrebbero essere le liste civiche, ma sono azzoppate dalla presenza di liste partitiche al loro fianco, che ne determinano
chiaramente i confini, per esclusione (chi appartiene alla civica non appartiene ai partiti che si presentano, perciò sicuramente è riferibile agli altri).

giovedì 25 novembre 2010

Cinque per mille: una misura liberale

Sollecitato da una mail del buon don Mario Benedini, dico la mia sul taglio al cinque per mille con cui lo Stato contribuisce alle attività di volontariato.

L'Italia ha - per fortuna - una fitta rete di "società intermedie" tra la
 famiglia e lo Stato: ci sono le associazioni, le parrocchie, i circoli eccetera. Molte di queste associazioni, che costituiscono una ricchezza per la nostra società, si dedicano al volontariato nei campi più disparati: il primo soccorso, la cultura, l'assistenza ai bisognosi e via dicendo. In questo modo affiancano lo Stato nel fornire servizi, e alleggerendo il carico al sistema pubblico.

La misura del cinque per mille, introdotta dal governo Berlusconi III nel 2005, è quindi una delle poche cose veramente liberali proposte dai governi di centro destra: essa infatti permette di avere meno Stato nel campo dell'erogazione dei suddetti servizi, agendo invece secondo il principio della sussidiarietà laddove l'iniziativa civile non arriva. Questo genera anche un risparmio, poiché costa sicuramente meno finanziare le Onlus (che poi gestiscono i soldi in maniera capillare e forzatamente efficiente, visto che spesso hanno bilanci comunque risicati) piuttosto che mettere mano direttamente alla fornitura di tutti i servizi da parte del carrozzone statale.
E' quindi una misura "di destra", come conferma indirettamente anche Cameron che, nell'introdurre tagli draconiani nel Regno Unito, auspica la nascita e la crescita di una rete di solidarietà tra i cittadini, un po' come quella italiana delle Onlus (si veda al proposito questo interessante intervento).

Tagliando sul cinque per mille, quindi, un governo di destra perde l'occasione di fare qualcosa di destra che fornisce dei servizi al risparmio, oltre a dare un segnale sociale errato.
Ora pare che ci siano garanzie per il ripristino dei fondi: questi tira-e-molla che capitano su diverse questioni, di solito finanziarie, mi lasciano abbastanza perplesso: è come se ci si dicesse "ok, ci abbiamo provato, ci è andata male", ma non ci sia una linea precisa: il coraggio di portare avanti una scelta fino in fondo, che sia l'istituzione del cinque per mille o la sua decurtazione.

Per risparmiare cosa, poi: 300mila € (il fondo passerebbe da 400mila € a 100mila), una cifra relativamente bassa. Per esempio, basterebbe togliere il contributo per i portaborse ai parlamentari che non depositano regolare contratto presso le Camere: sono 4030 € al mese, cioè 48360 € all'anno ciascuno. I contratti regolarmente dichiarati non sono più di 200-250, mentre i parlamentari sono 945: se togliessimo il contributo a 700 parlamentari sono 33 milioni e rotti di euro, hai voglia che cinque per mille...
Ecco perché anch'io sostengo questa petizione. Speriamo bene...

domenica 21 novembre 2010

Dov'è il limite?

Alla fine dell'ultima puntata di Annozero, Marco Travaglio ha fatto due domande a Sandro Bondi.
La prima riguardava l'assunzione del figlio della compagna di Bondi, la deputata Manuela Repetti, presso un ente collegato al ministero dello stesso Bondi, il quale ha risposto che si tratta di un normale contratto a tempo determinato in scadenza a dicembre, come hanno migliaia di ragazzi. Non ho informazioni al riguardo di questo fatto e di questa assunzione, quindi non mi esprimo.

Mi interessa di più la seconda domanda: Travaglio ha chiesto a Bondi come mai in mezzo a tutti i tagli era stato risparmiato il milione di euro stanziato per ristrutturare il teatro di Novi Ligure, città - guarda caso - di Manuela Repetti. Il ministro ha risposto che con gioia ha aderito alla richiesta di ristrutturazione pervenutagli da un sindaco di sinistra.
E' evidente che la richiesta non sarà stata perorata solo dal sindaco, ma anche dal deputato Manuela Repetti. Mi chiedo: questo è così sbagliato come appare? Ci lamentiamo che la legge elettorale attuale, con un parlamento di nominati e non di eletti, taglia i ponti tra il corpo elettorale e i suoi rappresentanti, che non sono più espressione di un territorio ma vengono scelti dall'alto.
In questo caso abbiamo un parlamentare eletto nella circoscrizione Piemonte I che perora una causa del proprio territorio. Mi chiedo: fin dove questa richiesta è legittimo interesse per il territorio e dove invece comincia il favoritismo (da Costituzione, articolo 67, ogni membro del Parlamento rappresenta tutta la Nazione, non solo il proprio elettorato)? Insomma, era una richiesta opportuna o meno?
Potremmo cavarcela dicendo che "domandare è lecito, rispondere è cortesia", che la richiesta si può fare e poi spettava a Bondi eventualmente valutarla e respingerla, ma mi pare un modo un po' semplicistico di fare le cose.

Non so dare una risposta definitiva alla domanda che ho posto sopra, se sia o meno opportuno agire in questo modo. Io credo che non l'avrei fatto.


  • p.s. non ho ancora scritto nulla sul "giorno del giudizio" del 14 dicembre, sulle presunte retromarce o pit stop di Fini, sulla fiducia eccetera, né mi interessa più di tanto farlo. Confermo ciò che avevo già detto qui: sono stufo di avere sempre diverse date da attendere, e nel mentre tutto è paralizzato, mentre i gioppini si agitano in questo teatrino delle marionette.

Merito e meritocrazia

Venerdì una pagina del Corriere titolava sul progetto del ministro Gelmini di premiare i professori più meritevoli con una mensilità in più in busta paga.
Naturalmente bisognerà valutare il metodo con cui si sceglieranno questi professori, visto che i criteri di valutazione sono la parte più delicata: se ci si basa sui risultati dei ragazzi come evitare improvvisi sbalzi di voti? Comunque si va senz'altro nella direzione giusta.
Mi sorgono due riflessioni su questo tema.

L'occhiello dell'articolo recitava: "I sindacati: ci interessa di più lo sblocco degli scatti di anzianità". Si vede subito chi sta dalla parte giusta e chi sta dalla parte della conservazione. Non dico che siano giusti o sbagliati gli scatti salariali e il loro blocco, ma è il caso di mettere i puntini sulle i in un'occasione in cui invece sarebbe stato bene gioire tutti per una possibilità economica in più offerta agli insegnanti? Così si accredita l'immagine di una categoria corporativa, abbarbicata a una difesa ad oltranza di tutti a prescindere dalla bravura. Magari non è così, ma la discussione sugli scatti salariali poteva essere tirata fuori in altre occasioni e altre sedi.

E più in generale, sul merito: tutti ci riempiamo la bocca con la necessità di premiare i meritevoli, anche economicamente, o di assumere solo i migliori. Siamo veramente pronti ad affrontare sul serio questa rivoluzione? Supponiamo che si individuino dei criteri oggettivi su come stilare le "classifiche" dei più bravi in ogni campo. A quel punto ci sarà chi rimarrà indietro: se si stila una classifica ci saranno i primi e ci saranno ance gli ultimi. Questi ultimi saranno penalizzati: è l'altra faccia della medaglia del premiare i primi, e se si sposa la meritocrazia avremo una parte di persone anche economicamente più indietro. Saremo pronti ad accettare questo, o grideremo all'ingiustizia, alla spietatezza del metodo, invocando comunque l'uguaglianza delle retribuzioni anche se toccherà a noi essere penalizzati? O magari si dirà "poverini, che vita che fanno, non è mica tutta colpa loro, è la società che non li fa esprimere"...

Io non ho una risposta pronta: ad accettare il rischio della meritocrazia ci vuole coraggio, è una scommessa. L'unica riflessione che mi sovviene a parziale risposta è che già oggi ci sono sacche di ingiustizia sociale: se queste fossero "giustificate" dal merito e non da una cristallizzazione sociale forse sarebbe meglio che non ora, e qualcuno di quelli che oggi sono più poveri potrebbe elevarsi grazie alla meritocrazia. E comunque potremmo dire che il problema ce lo porremo quando davvero avremo questo problema: oggi il problema è la mancanza di meritocrazia, non il suo eccesso, quindi potremmo cominciare nel mentre ad introdurre dosi di merito nella società.

domenica 14 novembre 2010

Un Vangelo esigente

Il Vangelo di oggi (Lc 21,5-19) è un Vangelo esigente per ogni cristiano, che fa riflettere e lascia anche un po' turbati.
Nell'interpretazione del mio Parroco, don Renato, Gesù ci parla non della fine della storia, ma del fine della storia, per cui la storia è il teatro in cui il cristiano è chiamato a rendere testimonianza. Questo anche se nella storia c'è il male, che è un elemento inevitabile, c'è sempre stato fin dall'inizio. Ma quante volte nel Vangelo Gesù dichiara beati i perseguitati, e invita a "prendere la propria croce", dicendo che chi perderà la vita per causa Sua la salverà (Mt 8, 34-38).
In questo Vangelo Gesù ci spiega che quando si parla del male e di perdere la vita, può non essere in senso figurato: al versetto 16 si parla esplicitamente di uccisioni dei cristiani (teniamo presente che quando Luca scrive si aveva già notizia certa di almeno due cristiani uccisi, Stefano e Giacomo, la cui sorte è riportata negli Atti).
E' il sangue dei martiri, che salveranno la propria vita (cfr. versetto 19) nella Vita Eterna. La Chiesa si è irrorata del sangue dei martiri lungo i secoli, potremmo dire che è cresciuta con esso. Ecco che ciascuno è chiamato ad essere perseverante in maniera esigente, fino al sacrificio supremo.
Attenzione, questo non vuol dire che bisogna andare a cercare il martirio, come in certe interpretazioni integraliste: negli Atti lo stesso Paolo, saputo che i Giudei complottano per ucciderlo, fugge da Damasco, cerca di evitare lo scontro fisico (At 9, 23-25). E' quindi più che lecito cercare di salvare la propria vita, ma non ad ogni costo: il martire non è colui che si caccia nei pasticci, ma colui che quando non gli si lascia altra via d'uscita preferisce restare fedele a Cristo anche di fronte alla morte.
La cosa confortante è che Cristo sarà al nostro fianco durante la testimonianza, quindi non temiamo anche quando siamo chiamati a testimoniare in condizioni difficili o di minoranza: non è detto che avremo successo, che andrà tutto bene come piacerebbe a noi, ma Lui è al nostro fianco e la nostra testimonianza porterà frutto. 

venerdì 12 novembre 2010

Famiglia, famiglie e altro

...altro nel senso: altro rispetto alla famiglia, non altre famiglie.

Si è conclusa la Conferenza sulla famiglia, con tutto un contorno di polemiche. Molti blog hanno seguito l'evento, la maggior parte (almeno di quello che conosco io) con fare critico.

Si è cominciato con questa affermazione di Giovanardi: "Scienza e biotecnologie possono togliere ai figli il diritto di nascere all'interno di una comunità d'amore con una identità certa paterna e materna.Metilparaben commenta duramente, traendo conclusioni che secondo me non si leggono nella frase riportata se non con un po' di malizia.
Infatti l'analisi si concentra sulla "comunità d'amore", mentre secondo me Giovanardi usa un'espressione poetica ma non vuole soffermarsi su quello. Insomma, secondo me quell'espressione poteva essere tranquillamente sostituita con "...all'interno di una condizione" o addirittura con "...nascere in un posto con una identità certa paterna e materna" e il senso non sarebbe cambiato. Sarebbe stata però una frase meno solenne (e qui secondo me è cascato l'asino Giovanardi), ma soprattutto sarebbe caduta tutta la polemica imbastita nel post.
Insomma, il vero discorso riguarda l'identità, ed è indiscutibile che alcune pratiche di biotecnologia (alcune, non tutte: si intende chiaramente la fecondazione eterologa o l'"utero in affitto", non la fecondazione artificiale da parte dei genitori!) possano generare discrasie tra i genitori biologici e quelli che crescono il bambino. Anche per i figli adottati da sempre si sa quanto è delicato il passaggio della presa di coscienza della loro origine, quindi è innegabile che quando si riproduce una situazione analoga ci sia una difficoltà, o una maggiore delicatezza.
Stiamo attenti anche a non creare diritti che non ci sono: non esiste il diritto ad un figlio naturale, biologico o partorito: questo è un desiderio, non un diritto. Esiste invece secondo me il diritto del bimbo (da tutelare prima dei genitori, perché più debole) ad avere un padre e una madre, motivo in più tra i molti che rendono auspicabili le adozioni.

Poi la polemica si è spostata sulle definizioni di famiglia, specie dopo che il ministro Sacconi ha dichiarato che gli aiuti fiscali (per ora solo fumose indicazioni d'intenti) saranno solo per le famiglie sposate e con figli, e via con le polemiche (scelgo ancora Metilparaben, ma solo per comodità: potrei linkarne a decine dello stesso tenore, ma Metilparaben è tra i blog migliori e più argomentati).
Anche qui mi pare che un po' si esageri. Intanto gli aiuti sono ovviamente destinati a chi procrea: una coppia, sposata o no, se non ha figli non è diversa da due single, anzi spesse volte - a voler essere pignoli - divide le spese di alloggio, quindi non ha certo più bisogno di aiuti di un single.
Quanto al matrimonio, io non riesco a capire per cosa sia necessaria la formalizzazione delle "unioni di fatto". Per formalizzarla c'è il matrimonio (ovviamente civile), no? Non capisco cos'ha che non va. Come in tutte le cose ci sono diritti e doveri anche nel rapporto di coppia. E' una specie di do ut des con lo Stato: io Stato ti garantisco delle agevolazioni, ma tu in cambio ti impegni a costruire un nucleo sociale stabile e ad essere responsabile nel mantenimento e nell'educazione dei figli, cose in cui io Stato ti sono semplice coadiutore ma tu famiglia sei la prima responsabile.
Perché i conviventi non si sposano? Cosa c'è che non va in un ragionamento del genere? E' il vincolo "contrattuale" che impaurisce, le pratiche di divorzio? Allora, se non c'è una garanzia di stabilità, io Stato non me la sento di garantirti la mia controparte. In tutti i rapporti, anche tra aziende, si richiede un contratto firmato, e il matrimonio civile altro non è che un contratto di convivenza.
Piuttosto lavoriamo per rendere più semplice il divorzio consensuale e senza figli (se ci sono figli, il divorzio va reso il più meditato possibile), visto che tanti convivono in attesa di separarsi legalmente dai vecchi compagni: in questo modo incentiveremmo almeno il risposarsi.
Io sono d'accordo nel regolamentare le unioni di fatto in modo legale, ma solo per una semplificazione burocratica nell'usufruire di diritti individuali: non stabilirei certamente diritti di coppia. Per esempio, si potrebbe pensare un certificato di "unione civile" che renda automatico il riconoscimento dei figli, per permettere le visite in ospedale, per destinare una parte dell'eredità (quella di cui ognuno dispone liberamente, non la "legittima") al convivente... Insomma, riunire una serie di atti già oggi praticabili separatamente in un atto unico, per evitare scartoffie e burocrazia. Ad un atto siffatto potrebbero accedere anche le coppie omosessuali, se lo desiderassero, e le modalità di "recesso" sarebbero molto più blande che per il divorzio.
Sono invece contrario, per esempio, all'istituire una reversibilità della pensione: questo è un "privilegio" accordato per il fatto di aver garantito l'orizzonte di lungo periodo con il matrimonio, e non un jolly che ci si gioca perché non si era scommesso su una relazione così stabile, ma è andata bene e si è rimasti insieme fino alla vecchiaia.
Se si vogliono più diritti, sposatevi! Per chi non si fida del tutto e vuole evitare rogne c'è sempre la separazione dei beni.

mercoledì 10 novembre 2010

Federalismo alluvionato

Tutto il piagnisteo leghista sul Veneto trascurato per l'alluvione mi sembra un po' eccessivo. E' probabilmente vero che ci sia stata meno attenzione per quel disastro che per altri, ma sappiamo che - giusto o sbagliato che sia - in Italia è il morto che fa notizia, e i due pensionati veneti non possono competere con la storia di Sarah Scazzi o con le molte vittime dei terremoti. Anche a Messina, dopo fenomeni analoghi, si lamentarono di essere trascurati.

Quanto ai soldi e ai rimborsi, qualcosa ci vuole senz'altro. E' curioso però che a chiederli siano i paladini del federalismo e dell'autonomia. Il federalismo non può valere solo quando si deve (e non si vuole) pagare, mentre a batter cassa sono tutti pronti.
In questo caso, poi, Bertolaso - non uno di sinistra - è stato chiaro e ha parlato di precise responsabilità e di incuria sul territorio: e a chi compete il territorio, se non alle amministrazioni locali di vari gradi?
Non può essere che se succede a Messina sono "i soliti terroni", mentre in Veneto è calamità naturale. Anche perché gli allagamenti si sono limitati al Veneto, ma ha diluviato in tutto il Nord, e non è esondato il Po (che raccoglie l'acqua di tutti) ma i fiumi locali. A Palazzolo l'Oglio straripava ogni quattro-cinque anni, hanno fatto dei lavori di contenimento e pulizia del letto e da almeno dieci anni non succede più nulla. Dobbiamo andare in Veneto a insegnar loro come si fa?
In un mondo ideale i soldi statali andrebbero affidati dopo un controllo della Protezione Civile, laddove sul territorio fossero state messe in opera sufficienti sicurezze. Per gli altri comuni, ci pensi la Regione, o la Provincia.

Anche Zaia che fissa le priorità ("prima il Veneto, e poi Pompei") è discutibile: i gladiatori non hanno esattamente la possibilità di rimboccarsi le maniche in proprio per rimettersi in piedi la casa... Comunque è una polemica sterile: i soldi vanno dati a entrambi, dividendo quelli che ci sono se non ce n'è abbastanza.

Qui lo dico e qui lo nego

Stasera il Brescia ha la possibilità concreta di battere la Juve. Un giorno in più di riposo (che con l'età e gli acciacchi bianconeri non è da trascurare), Juve decimata, ma Juve sicura di sè (troppo?), Brescia che fin qui ha raccolto meno del meritato...

lunedì 8 novembre 2010

Fini estrae un po' la spina

Fini fa un discorso di vacuità pratica mascherato con un eloquio capace, seppure un po' logorroico. Spero che non diventi presidente della Repubblica, o i suoi auguri di Capodanno ci faranno perdere il brindisi di mezzanotte...

Intendiamoci, non è vacuo perché gli manchino i bei contenuti o le buone intenzioni. E' vacuo perché è tutto un "vorrei ma non posso", bloccato dall'inopportunità per lui (qualcuno direbbe terrore) di andare alle urne. Fini conferma quanto dicevo sabato, ovvero che il target è Berlusconi, e lo esplicita, ma non trae le conseguenze logiche, quando chiede a Silvio di dimettersi. Le dimissioni le chiede un'opposizione, che non ha altro strumento. La maggioranza chiede le dimissioni con la sfiducia. E' un passaggio istituzionalmente surreale, dettato dalla paura di trovarsi col cerino in mano. Fini stacca "un po'" la spina, ma chiede a Berlusconi di estrarla del tutto. (A proposito di istituzioni, continuo a pensare che Fini dovrebbe dimettersi da Presidente della Camera.)

Far cadere il governo ora, invece, secondo me sarebbe una buona mossa anche per Fli, poiché visto che siamo sotto Natale renderebbe più plausibile un governo di transizione breve, che traghetti l'Italia fino alla primavera. E allora sì che si potrebbe parlare di legge elettorale. Certo, nei confronti del mandato elettorale non sarebbe il massimo,visto che il mandato è stato ottenuto con Berlusconi e non contro di lui, ma mi pare che in tutto il suo lungo discorso Fini si sia "dimenticato", questa volta, di citare la fedeltà agli elettori, come fatto altre volte.

Fini mette in chiaro però un punto che dovrebbe interessare il Pdl: chiarisce che il suo partito non è una costola della sinistra, ma vuole restare a destra a fargli concorrenza.
Questa concorrenza potrebbe anche essere efficace, almeno per qualche punto percentuale, per l'appeal di una forza politica nuova e perché alcuni problemi posti da Fli sono problemi veri. Ciò dovrebbe stimolare il Pdl a diventare un partito vero, di idee, di contenuti e non solo di leader. Per evitare di vedere una mini-diaspora bisogna dare risposta a istanze quali la legalità, la subalternità alla Lega (non tanto sul federalismo o sul meridionalismo, quanto su sicurezza e immigrazione) e via dicendo.

venerdì 5 novembre 2010

Silvio a braghe calate

Non ho resistito alla tentazione di titolare così il post... ma non voglio parlare delle (dis)avventure personali del nostro premier, bensì del discorso politico che ha fatto ieri.

Berlusconi si è detto disposto a un patto di legislatura, ha riconosciuto Fli come "terza gamba" della coalizione ed ha persino proposto di rivedere il sistema di alleanze del centro destra, promettendo secondo me un posto in coalizione a Fli anche in vista di future elezioni (evidentemente se queste non saranno vicine): una riabilitazione in piena regola, cioè tutto quello che Fini chiedeva da mesi.

Fini quindi viene accontentato in tutto. A memoria non mi sembra di ricordare altre richieste da Fli nei mesi scorsi. Forse mancano le scuse personali per quella che Fini ritiene un'espulsione, ma dopo tutte le accuse di "partito personale" rivolte al Pdl, lo stesso Gianfranco non potrà certo legare la politica di Futuro e libertà a una sua questione personale (o non dovrebbe farlo, per coerenza).
Politicamente mi sembra che non manchi nulla.

Adesso Fini è spalle al muro: per come la vedo io non c'è più un motivo valido per continuare le contrapposizioni. Almeno non all'interno del governo, della legislatura. Ma Fini non accetterà, non può accettare, perché il suo obiettivo politico è superare il berlusconismo, succedere a Berlusconi, e questo ovviamente non può essere il programma del governo attuale. Di più: non è un piano attuabile se il governo attuale lavora troppo bene, troppo tranquillamente.

Altri mesi di logoramento, quindi, ci attendono... almeno finché non saranno maturi i tempi per votare ad aprile. Ormai non si può aprire una crisi, si andrebbe a votare in un periodo anomalo, all'inizio dell'anno, e ci sono le vacanze di Natale. Che triste sarebbe un Natale in campagna elettorale, per gli italiani... Prepariamoci però a una crisi portata dalla Befana, o al più tardi (ma non credo) per Carnevale.

E pensare che visti i tempi collimanti bastava che Fini e Berlusconi si mettessero d'accordo per gestire l'enorme consenso: nel 2013 il primo a Palazzo Chigi da fedele delfino, il secondo al Quirinale.
Ripensandoci... per fortuna non ci hanno pensato!

Quattro novembre



  • In vista delle celebrazioni per il 4 novembre, che qui a Ospitaletto si terranno domenica, a mio padre (ex bersagliere) è stato chiesto di scrivere un pensiero per Ospitaletto.org, che però non è stato pubblicato sul giornale per mancanza di spazio. Volentieri lo ripropongo di seguito.



Ormai da molti anni partecipo alle celebrazioni per la ricorrenza del 4 novembre, e per quest’anno mi è stato proposto di mettere per iscritto una riflessione, e volentieri ne parlo.

Il 4 novembre, come tutti sappiamo, è l’anniversario della vittoria dell’Italia nella I guerra mondiale, ma è nel contempo la festa delle nostre Forze Armate.
Io non ho esperienza diretta della guerra, perché per fortuna la nostra Italia ha attraversato molti decenni di pace, ma tutte le volte che penso a queste ricorrenze il pensiero, più che agli eroismi e alla retorica, corre alla vita delle povere persone semplici di casa nostra e a quello che hanno dovuto sopportare servendo nell’Esercito in periodo di guerra.

Il ricordo più vivido che ho al riguardo sono i racconti di mio padre, che – come molti ragazzi della sua età – uscì per la prima volta dalla nostra provincia quando fu chiamato a fare il servizio militare a Roma, durante il fascismo. Ricordo quando mi parlava delle adunate di piazza Venezia: loro, i giovani di leva, costretti a stare inquadrati in piazza già dalle prime ore del mattino, in attesa che il Duce si affacciasse. Saranno fischiate le orecchie, a Mussolini, “con tote le madone che ga tiraem”, mi diceva mio padre!

Poi il congedo, e il ritorno a casa. Tranquillità interrotta una decina di anni dopo: richiamato alle armi per andare a combattere in Jugoslavia. Possiamo immaginare lo stato d’animo di tutta la famiglia, con tre figli piccoli a casa da tirare su e l’azienda agricola gestita da mio padre con i suoi due fratelli da portare avanti, con due dei tre fratelli nell’Esercito. Erano periodi di stenti, ma anche i militari non se la passavano meglio: mio padre conduceva i cavalli, e per un pezzo di pane barattava la biada con le popolazioni del posto.

I disagi per i civili non si limitavano alle privazioni: nei territori attraversati dagli eserciti a volte avvenivano soprusi da parte di alcuni soldati, anche commilitoni di papà, che approfittavano della loro posizione per vessare ulteriormente la popolazione. Mio padre mi raccontava sempre un episodio che l’aveva particolarmente impressionato di cui fu testimone nell’attuale Bosnia, dalle parti di Srebrenica, dove un milite delle camicie nere uccise a freddo due contadini che, al passaggio di un convoglio, si rifiutarono di fare il saluto fascista.

E mio padre fu ancora uno dei più fortunati, perché tornò a casa. Quanti soldati, impegnati in guerre che non capivano, sono rimasti sui campi di battaglia! In questa ricorrenza intendo proprio ricordare non i generali o gli eroismi, ma tutti i soldati che hanno servito le Forze Armate in tempi difficili, in particolare i caduti, che giustamente onoriamo nel corso delle manifestazioni annuali.

                                                                                                   Angelo Libretti

martedì 2 novembre 2010

Campionato senza padroni

La partita di sabato ha certificato che la Juve è una squadra media, forse a ridosso delle grandi. Ha vinto a S. Siro, certo, ma il Milan ha oggettivamente giocato meglio, mentre la Juve ha giocato una partita sorniona, di chi sa di essere inferiore. Confermo la mia opinione di inizio campionato: si lotterà per il quarto posto, magari per il terzo, ma Inter e Milan sono davanti.
Tra le due vedo l'Inter favorita per lo scudetto. Negli scontri diretti a S. Siro la con la Juve il Milan ha fatto impressione migliore dell'Inter, ma proprio per questo vincerà l'Inter: il Milan infatti ha portato a casa zero punti giocando meglio, mentre la Beneamata (ma de che?) ha preso un punto anche giocando male. Il Milan manca di concretezza, di solidità, può alternare buone gare ad altre inconcludenti.
Ibrahimovic, tra l'altro, è la certificazione di quanto si diceva sulla Juve: non è una grande squadra. Contro le grandi Ibra stecca regolarmente... Altro inciso: non capisco perché Del Neri goda di così buona stampa. Ranieri con gli stessi risultati avrebbe visto mugugni su mugugni... Forse è il credito dovuto al disastro della scorsa stagione.

Capitolo a parte merita Del Piero, che ha battuto il record di gol di Boniperti. Grande calciatore, grande juventino, Ale è costante, senza picchi di rendimento alla Messi ma senza periodi di buio particolari.
Dopo gli infortuni ricorrenti di fine millennio ha modificato il suo modo di giocare, diventando sempre meno numero 10 e sempre più seconda punta. Meno dribbling e più gol, insomma. L'ultima parte della carriera è stata caratterizzata dalla sua grande precisione balistica: Del Piero ha un gran piede, e difficilmente fallisce le occasioni che capitano. Si vede anche dalle sue punizioni... Anche Baggio nell'ultima parte di carriera ha avuto un'evoluzione simile, ma con le ginocchia più martoriate non si muoveva praticamente più, Del Piero invece ogni tanto corre e torna, ed è ben integro per i suoi 36 anni.
Per essere considerato un grande assoluto gli mancano i gol in Nazionale, o meglio di gol ne ha fatti tanti, ma nelle grandi manifestazioni è sparito (vedi la finale di Euro 2000). Per fortuna Berlino 2006 ha un po' lavato quell'onta...
La serata di sabato ha mostrato una volta di più che Del Piero ha altra classe rispetto a Totti. Sul campo forse no, anche se Totti è di difficile valutazione mancandogli adeguata carriera internazionale e poiché i giudizi a Roma sono tutti particolari, estremizzati. Come uomo non c'è confronto, e non infierirò oltre sul Pupone. Ale è la Juve ed è (ciò che rimane del)lo stile Juve. Totti è Roma...

La società Juventus invece mi pare migliorata con l'arrivo di Andrea Agnelli. Sulla questione scudetti 2005 e 2006, mi pare che alla luce delle risultanze processuali, in cui è emerso più materiale a discarico che non a carico oltre a una quantità di materiale indiscutibilmente trascurato, faccia bene. Poi la riassegnazione sarà dura, la giustizia sportiva non può smentirsi così clamorosamente, anche se quello del 2006 somiglia sempre più a un colpo di mano interista (almeno per l'entità delle punizioni). Sarà anche una questione di peso politico tra le squadre.

Quanto al campionato, la Lazio si sgonfierà. Per ora va bene, ma è anche un fatto figlio del calendario: l'Aquila ha le sue sei vittorie contro Bologna, Fiorentina, Chievo, Brescia, Bari, Cagliari e Palermo. E' quindi una squadra che fa il massimo possibile, grande merito ma che non basta per uno scudetto. Certo hanno tanta fiducia, il che aiuta.

La fiducia è ciò che manca al Brescia. La squadra c'è, o non è così pessima, ma un po' le cose girano male e un po' è in crisi di fiducia. Certo anche l'allenatore ha le sue colpe (perché insistere così su Eder?). Guardiamo il bicchiere mezzo pieno: la squadra con più sconfitte in A non è ancora in zona retrocessione. Questo perchè poche vittorie contano più di molti pareggi, e per come gioca il Brescia qualche vittoria arriverà.

Fiducia che temo arriverà anche per la Mens Sana Siena (piccola finestra sul basket), ma verso fine campionato tutti si ricorderanno che Siena "è stata battibile" a inizio campionato e questo contribuirà a non far percepire i playoff come chiusi in partenza. L'Olimpia Milano ha tanta profondità che può far bene anche senza allenatore...