domenica 28 novembre 2010

I partiti in Comune

La scorsa settimana ho partecipato a uno dei laboratori che fanno parte del percorso della Scuola di Formazione all'Impegno Sociale e Politico della Diocesi, e il relatore ha parlato del ruolo dei partiti dalla Prima Repubblica alla crisi durante la Seconda.
Mi è sovvenuta allora una riflessione sul ruolo dei partiti a livello comunale.

Ritengo che il ruolo dei partiti sia ancora, al giorno d'oggi, insostituibile come "catena di trasmissione" della democrazia dal livello locale al livello più ampio. Poi potremo discutere sulla forma dei partiti, sulle strutture e gli strumenti più o meno moderni che utilizzano, ma non potremo mai prescindere dalla presenza di formazioni organizzate che coordinino un po' l'attività politica: non si fa politica da soli.
Al contrario, penso tutto il male possibile dell'attività dei partiti a livello comunale. Mi spiego: le sezioni dei partiti sono necessarie anche a livello locale, proprio per essere il primo gradino di un coordinamento più vasto e al più - ma questo sarebbe più compito di associazioni culturali - per proporre dibattiti, temi di discussione.
La loro attività nella vita politica e amministrativa dei Comuni invece si riduce di solito a uno scimmiottamento
delle pratiche più deleterie dell'architettura politica: quanti posti a te, quanti assessori a me, l'ufficio tecnico degli amici degli amici, quanto sono cattivi gli altri...
Inoltre la presenza di liste collegate ai partiti porta ad almeno due conseguenze deleterie sul dibattito politico locale. La prima è l'inasprimento delle contrapposizioni, che diventano "per partito preso" (come dice la parola stessa) invece che sul merito. La seconda è la deriva della discussione da argomenti locali ad argomenti sovralocali: si sentono partiti che in consiglio comunale discutono di massimi sistemi, di razzismo, di spesa pubblica, di immigrazione, di legalità divagando dagli argomenti concreti, locali.

Il mio sogno - un'utopia, non un vero progetto, beninteso - sarebbe quello che alle elezioni comunali non si presentassero delle liste, ma un unico listone di persone che danno la propria disponibilità per il proprio Comune, tra le quali scegliere l'elenco dei consiglieri comunali: una specie di bulé dell'antica Grecia. Gli eletti quindi non sarebbero legati ai partiti (ovviamente potrebbero esservi iscritti, ma non legati alle liste), e dovrebbero lavorare per trovare accordi di bene comune, il più ampi possibile. La "cosa" più vicina a una struttura del genere potrebbero essere le liste civiche, ma sono azzoppate dalla presenza di liste partitiche al loro fianco, che ne determinano
chiaramente i confini, per esclusione (chi appartiene alla civica non appartiene ai partiti che si presentano, perciò sicuramente è riferibile agli altri).

1 commento:

  1.  La tua è una proposta interessante ma è e resta una utopia.  Aiuterebbe certamente coloro che bravi sono ma che non hanno il coraggio di "scendere in campo"  per il timore di vedersi appiccicate delle etichette. Grazie al tuo approccio  molti sarebbero rassicurati da una logica che non li vedrebbe schierati obbligatoriamente di qui e pertanto non di là. Sicuramente risolverebbe un altro problema che si presenta nelle liste contrapposte e più di due. Ovvero che chi raggiunge il 30% dei voti vada ad amministrare anche il 70% delle persone che non li ha scelti. A Travagliato, per esempio, le guerre nel centro destra hanno fatto sì che la sinistra con il 35% dei consensi oggi amministri il comune. Anche a travagliato l'effetto Prodi ( tutti contro tutti) colpì duro. Non sono d'accordo con te sulla questione relativa ai grandi temi. Si troveranno sempre degli accordi su come si debba asfaltare una strada e dove si debba fare una scuola, una piscina o sulla sua utilità. Ma il pragmatismo senza valori ed idealità è un pasto povero di sale. Il collante tra le persone anche a livello locale non può rimanere confinato sulle cose da fare ma si deve caratterizzare anche sulle idealità che muovono le persone a fare e sulle differenze tra di loro. Saranno cadute le ideologie ma non bisogna disperdere i valori sui quali si costruiscono alleanze credibili e durature. Il 50% delle cose da fare in un mandato amminstrativo non è scritto nel programma elettorale perchè i problemi si presentano giorno per giorno e vvanno affrontati avendo ben chiaro alcuni valori di riferimento. La Democrazia Cristiana poteva dividersi sulle cose da fare e sul metodo, la barca poteva essere sballottata dalle onde ma non correva il rischio di cadere a picco perché stava in piedi grazie ad una tempra morale ed ideale che la rendeva innaffondabile anche nei momenti più difficili, le grandi questioni ideali facevano da collante.  E' quando i valori sono andati perduti e che il messaggio non era più coerente con le persone che lo divulgava che sono iniziati i problemi e che poi la barca è caduta a picco.  Essere oggi un bravo amministratore non sempre coincide con l'essere un bravo politico. E' la differenza che passa tra l'essere dei bravi tattici oppure degli strateghi. La politica locale, ed anche nazionale, si preoccupa solo della tattica. Perchè è quella che in fondo porta consenso a breve. Ciao. Giulio Incontro

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