giovedì 28 marzo 2019

Ancora su diritti e doveri

Sabato scorso la professoressa Maddalena Colombo ha tenuto una lezione per la SFISP.
La lezione ha suscitato una riflessione (non nuova su queste pagine, in realtà) su diritti e doveri. Si parlava di cittadinanza: questa porta con sé diritti e doveri. Ci siamo però chiesti quali siano i doveri specificamente connessi alla cittadinanza: in senso di principio, certamente una lealtà allo Stato (la qual cosa porta qualche problemino con le doppie cittadinanze, sia umane - di due Stati - sia spirituali, come è stato rinfacciato spesso ai cristiani). Ma come si concreta questa lealtà?
La professoressa spiegava che alcuni immigrati, all'atto di chiedere la cittadinanza, si dichiarano pronti a combattere per l'Italia. Poi gli si spiega che non funziona così, da noi non c'è più la leva e l'esercito è professionale. Un po' si stupiscono.
Allora ci siamo chiesti se - dopo l'abolizione della leva - ci sia un dovere cogente (si dice così? diciamo concreto) connesso alla cittadinanza. Pagare le tasse no: anche gli stranieri residenti pagano le tasse in Italia. Votare è un dovere civico, ma è più un diritto.
Più in generale, sembra che la cittadinanza sia foriera di diritti più che di doveri, se non in senso lato, come auspici ("partecipare alla vita pubblica" eccetera).
Ci si chiede se sia giusto: intuitivamente parrebbe di no, siamo abituati a pensare che i diritti siano connessi ai doveri di pari passo. In realtà, ripensandoci, i diritti fondamentali sono autosufficienti, non dipendono dai doveri: i diritti umani non si devono meritare, la dignità della persona è innata. E' il motivo per cui una persona che attenta alla dignità altrui (un assassino o uno stupratore) può venir punito, ma sempre rispettando la sua dignità di persona.
Quindi sembra che i diritti precedano i doveri. Poi Mattarella ci ricorda che un legame c'è: dal diritto preteso discende il dovere di riconoscere lo stesso diritto agli altri, altrimenti viene meno anche il mio.
La professoressa ha poi ricordato che nel tempo il perimetro dei diritti si allarga: prima quelli civili, poi quelli politici, poi sociali (welfare), ambientali (aria pulita), poi i diritti 4.0 (privacy, oblio in rete). Una maggiore consapevolezza e la tendenza a stare meglio rendono le persone consapevoli di avere (o di volere) diritti ulteriori. Naturalmente questo crea il problema di dove porre il confine tra diritti e desideri (vedi tutti i ragionamenti su maternità surrogata, fecondazione assistita, desiderio o diritto di paternità o maternità).
Mi pare però evidente che non c'è un altrettanto spontaneo allargamento del campo dei doveri. La cosa continua a sembrarmi squilibrata.

lunedì 25 marzo 2019

La Divina Commedia

No, non sto commentando il poema dantesco :-)
Sabato sera siamo stati a vedere il nuovo spettacolo del La Divina Commedia - L'opera, su musiche di Marco Frisina. Io e mia moglie l'avevamo già visto dieci anni fa, nell'allestimento originale.
Ai tempi c'era una scenografia sontuosa, fatta di parti meccaniche e giochi di luce.
Stavolta la scenografia gioca principalmente su un lavoro di proiettore. Per l'Inferno la riuscita è ottima, per le altre due cantiche un po' meno.
Per le valutazioni sulla parte musicale mi affido a mia moglie: Dante sottotono (e pareva anche a me), Virgilio e Francesca/Matelda bravi.
A proposito di Matelda: ho capito che era lei solo ragionando sul posizionamento nel Paradiso terrestre. E' stata rappresentata come una specie di Madre Natura, ma al momento quella ragazza che si dondolava su una altalena di fiori mi ha ricordato una cosa a metà tra Trilly e il Moulin Rouge. Una rappresentazione indegna.
Splendida la scena di Ulisse, invece, che non punta solo sulla proiezione ottica ma anche su elementi scenografici notevoli.
L'opera è stata accorciata rispetto alla versione originale. L'impressione è che sia stata espunta la religiosità: è rimasto l'Inno alla Vergine, che non può mancare, ma nella versione originale la visione di Dio era rappresentata a partire dalla Madonna di Duccio di Buoninsegna. Stavolta Dio è un turbine di effetti speciali con al centro Dante stesso: è vero che anche nel poema Dante vede sé stesso, ma ciò era al termine di una riflessione lunga un'intera cantica sull'Uomo che trova sé stesso solo lasciando la Ragione e abbracciando la Fede. Stavolta questa riflessione è persa, e si sovrappone a una riflessione molto più laica su uomo, libertà, non comprensione, destino affidata alle parti narrate con la voce di Giannini. Queste parti, se non sbaglio, sono state introdotte per il nuovo allestimento. Il risultato è quasi un uomo che si fa Dio. Non credo che Dante (pur vanitoso come san Paolo) sarebbe contento.
Anche il testo delle canzoni mi pare leggermente cambiato: il testo originale mi sembrava più aderente alla Commedia dantesca - certo, quindi più difficile. Mi chiedo come funzionino in questi casi le questioni di proprietà intellettuale: chi dà l'imprimatur a queste modifiche?
Questa versione è forse più "popolare": più Inferno (la cantica più nota), più semplice, più "politicamente corretta". Il clima attorno alle Verità religiose in questi 10 anni è cambiato.
Certo, non un brutto lavoro. Però, per chi aveva presente la verisone originale, la differenza si vede subito.
Quindi non può che esserci che una bocciatura.

giovedì 21 marzo 2019

Coda di paglia

Il Partito popolare europeo NON espelle Fidesz.
Decisione dopo le elezioni europee, cioè dopo aver controllato come vanno i numeri parlamentari. Ha ragione l'ALDE, inutile girarci intorno: codardi e ipocriti.
L'unica logica parzialmente giustificatoria che mi viene in mente è che espellere Fidesz vorrebbe dire mandarlo nelle mani di Salvini, con Lega e Orban a unire i molti europarlamentari eletti in un solo gruppo.
Ma anche tenendo conto di questo rischio, visto quanto poco conta il Parlamento Europeo, credo che varrebbe la pena difendere un ideale europeo moderato e liberale.

martedì 12 marzo 2019

La famiglia Moskat

Ho terminato di leggere la monumentale opera di Isaac Singer, La famiglia Moskat.
Lettura impegnativa, un po' lunga per i miei gusti, ma sicuramente un gran bel libro, che offre tanti spunti di riflessione.
L'atmosfera ricorda Joseph Roth e i suoi romanzi sul crepuscolo dell'impero asburgico. Come questi, anche La famiglia Moskat è pervaso da una nota di nostalgia per un mondo che non tornerà più e popolato di personaggi che si sentono fuori posto, non si adattano al mondo nuovo, a partire da Asa Heshel.
L'ambientazione ashkenazita è affascinante, Singer scrive un "manuale" a memento di usi e costumi di in mondo travolto dall'Olocausto, ma prima ancora - ci dice l'autore - dalla modernità.
Il libro si ferma sulla soglia dell'Olocausto stesso, all'inizio della seconda guerra mondiale, ma tratteggia in modo interessante il crescere dell'antisemitismo in Polonia.