martedì 12 marzo 2019

La famiglia Moskat

Ho terminato di leggere la monumentale opera di Isaac Singer, La famiglia Moskat.
Lettura impegnativa, un po' lunga per i miei gusti, ma sicuramente un gran bel libro, che offre tanti spunti di riflessione.
L'atmosfera ricorda Joseph Roth e i suoi romanzi sul crepuscolo dell'impero asburgico. Come questi, anche La famiglia Moskat è pervaso da una nota di nostalgia per un mondo che non tornerà più e popolato di personaggi che si sentono fuori posto, non si adattano al mondo nuovo, a partire da Asa Heshel.
L'ambientazione ashkenazita è affascinante, Singer scrive un "manuale" a memento di usi e costumi di in mondo travolto dall'Olocausto, ma prima ancora - ci dice l'autore - dalla modernità.
Il libro si ferma sulla soglia dell'Olocausto stesso, all'inizio della seconda guerra mondiale, ma tratteggia in modo interessante il crescere dell'antisemitismo in Polonia.

Mi ha colpito un dialogo tra Hertz Yanovar e un poliziotto. Il primo, imprigionato con l'accusa infondata di bolscevismo, sta per venire liberato. Il dialogo suona più o meno così:
- Ma lei sa che tra voi ebrei c'è una percentuale altissima di comunisti?
- E cosa possiamo fare? Ci odiate, ci avete estromesso da ogni posto di comando, da ogni potere, da ogni possibilità. Così la gente diventa comunista.
- Ma così vi fate odiare ancora di più.
- E' un circolo vizioso.
- E come se ne esce?
- Ci vorrebbe un posto dove possiamo vivere la nostra vita tranquillamente, essendo noi stessi e prosperando.
- Quindi lei è un sionista?
- Sarebbe una soluzione.
- A parte che mi pare difficile, ingiusto, andare dagli arabi e portargli via un pezzo di terra per darlo a gente che viene da fuori, in ogni caso la Palestina non basterebbe a contenere i soli ebrei di Polonia.
- E allora che si fa?
- Vedrà che nei prossimi anni il problema ebraico si risolverà, in un modo o nell'altro.
Non avevo mai pensato alla questione numerica della capienza di Israele, ma non è questo il punto. La cosa che più mi ha fatto pensare è che questo scambio sembra ammantare la tragedia della Shoah di un velo di ineluttabilità. Addirittura  il poliziotto - con una serie di fallacie logiche, ma al contempo ponendosi nella mentalità di un'epoca di marcati nazionalismi e settarismi, in cui le comunità si guardavano in cagnesco, gentili contro ebrei ma anche ebrei contro gentili - sembra adombrare una colpa degli ebrei stessi. In altri passaggi Singer fa dire ai sui personaggi: "Ci hanno chiusi in una trappola da cui non riusciamo a liberarci".
Il senso di ineluttabilità del destino ebraico è anche nei pensieri di Asa Heshel, che collega il declino della famiglia Moskat, simbolico del declino del popolo ebreo, con la dispersione dei millenari usi e costumi, spazzati via dalla modernità, dalle scuole dei gentili. Asa Heshel vede nella sua generazione la fine dei "veri ebrei", come tutti quelli che lo hanno preceduto, osservanti o meno (si pensi ad Abram Shapiro), ma che riconoscevano e condividevano un insieme di valori.
La cena dell'ultima Pasqua ebraica, nel 1939, quando tutta la famiglia si ritrova, è un curioso e bellissimo misto dei due mondi: da una parte c'è il rito, che unisce tutti gli ebrei, dall'altra parte c'è la babele di lingue con cui i nipoti e pronipoti rispondono alle formule proclamate in yiddisch da Pinnie.
Forse è per questo che il libro si ferma ai nipoti del patriarca Meshulam Moskat: i pronipoti sono citati per nome, ma non hanno una personalità. Il loro futuro non esisterà: finiranno dispersi nei fumi dei forni crematori.
Forse è per questo che Koppel, che avrebbe tutte le possibilità di salvarsi in America, dove vive, ritarda il suo ritorno a New York fino alla morte.
Forse è per questo che tutti, pur paventando la minaccia di Hitler, non fanno alcunché per mettersi in salvo.
Anche la Palestina, dove molti migrano, possibile ancora di salvezza, non è approfondita né descritta se non per pochi accenni nei racconti dei sionisti, quasi favole mitiche.

Però non riesco a comprendere come si possa conciliare il rimpianto per un mondo di identità forti con il fatto che proprio lo scontro tra identità (si veda l'ostracismo cui viene sottoposta la convertita Masha) porterà alla rovina dell'identità ebraica. Questo tema è comunque molto attuale.

Mi sono piaciuti molto i personaggi maschili, diversi tra di loro e ben caratterizzati. L'unica costante pare essere il fatto di non essere capaci di amare fino in fondo una sola donna. Mi ha stupito il tourbillon di matrimoni e divorzi (anticipati fin dall'albero genealogico iniziale, che introduce purtroppo alcuni spoiler disturbanti), che sembrano decisioni relativamente "semplici". In questo sembra di vedere una società attuale, mentre non credo che nella società cattolica del tempo si divorziasse con tale facilità.
Tra i personaggi femminili, mi è piaciuta la caratterizzazione delle "matriarche", come Rosa Frumetl o Finkel. Le donne giovani (Adele, Hadassah, Barbara, Ida, Masha, perfino Lottie) mi sono piaciute meno. Tutte idealiste, tutte alle prese con un amore infelice, tutte divise tra la dedizione e il lamento, tra la modernità e il richiamo ancestrale a fare figli, quasi tutte nullafacenti (niente lavoro e servitù in casa), in qualche passaggio mi ricordavano madame Bovary. Probabilmente il personaggio femminile migliore è Lia, "ponte" tra le generazioni e tra due mondi, il passato e il futuro, la Polonia e l'America, la fedeltà e l'avventura. Anche lei finisce per "bovarizzarsi" un po', ma la varietà delle sue esperienze le conferisce uno spessore maggiore.


Ultima nota: le descrizioni delle montagne sono magnifiche. Ci dev'essere un motivo per cui gli unici momenti felici di Asa Heshel con Adele e poi di Asa Heshel con Barbara si svolgono tra i monti.

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