venerdì 30 dicembre 2022

Victoria Lomasko

Ieri siamo stati a Brescia a vedere The last Soviet artist, mostra dedicata a Victoria Lomasko, illustratrice dissidente russa.

Questa mostra prosegue la bella tradizione delle esposizioni natalizie dedicate a artisti dissidenti e perseguitati. Lo scorso anno avevo già commentato la mostra di Badiucao.

La mostra di quest'anno mi è piaciuta meno. Badiucao è un artista a tutto tondo, mentre la Lomasko è una illustratrice. Anche l'allestimento secondo me non è ottimale: lo scorso anno le opere erano ben spiegate e contestualizzate; quest'anno meno. Forse la mostra si capirebbe meglio partendo dal fondo.

Essa si chiude infatti con la sezione "Five steps", in cui l'artista ripercorre la sua esperienza dell'ultimo anno. Cinque opere, ma soprattutto cinque pannelli di testo, quasi diari, molto significativi. Con questi si capisce molto dell'esposizione precedente.
E' saldamente antiputiniana, è fuggita, si vergogna delle stragi russe.
E però rifiuta la colpevolizzazione del popolo russo intero, risponde a tono a Zelensky quando chiese di chiudere le frontiere a chi scappava dalla Russia, contesta (più o meno) le sanzioni osservando che metteranno in difficoltà il popolo russo. E' per spingerli a ribellarsi? Ma, scrive l'artista:

Per andare contro una dittatura bisogna essere pronti a morire. Una decisione del genere ognuno deve prenderla da solo.

Ampliando lo sguardo: lei ha fatto un viaggi nei Paesi ex sovietici per vedere cosa era rimasto dell'"amicizia" che gli insegnavano alle elementari. Si rammarica che questa guerra abbia cancellato la possibilità di un futuro che lei definiva "post-post-sovietico" per quelle nazioni. Percepisce il suo essere nata in un'utopia non realizzata, in cui però tutti avevano un'istruzione, un lavoro e qualche cura medica come una cosa a suo modo "speciale", come si vede nel video che chiude la mostra e che si può vedere qui.

La mostra mi ha restituito, riguardo a lei, un senso di spaesamento. Il mondo per chi come lei è nato negli anni '70 in URSS è cambiato in modo traumatico per un paio di volte in una vita ancora non lunga.

Alla fine lei si rifugia in una specie di individualismo (forse?) anarchico. Che va bene quando rigetta le semplificazioni, ma che rischia di essere deleterio. In alcuni passaggi (come alla fine del video succitato) ella rivendica di vivere solo per ricercare la sua felicità, a qualunque costo, e "rinfaccia" al padre di aver rinunciato a farlo - cioè a diventare un artista - per poi proiettare su di lei questo desiderio.

Ma il mondo che ha in mente, si vede da come dipinge l'America, non è l'occidente. Da qui:

Quando guardo le persone in Russia, me le immagino come erbacce che crescono a fatica tra le rovine dell’impero sovietico. Nessuno si occupa di loro, al contrario, spesso vengono strappate alla radice. Ma queste erbacce hanno una forza vitale selvatica. Quando guardo gli europei, mi sembrano dei fiori da esposizione, fatti crescere in condizioni artificiali, in una serra. Ma mi piacerebbe che fossimo tutti fiori esposti al sole, in un prato, dove ci fosse allo stesso tempo cura e libertà.

venerdì 23 dicembre 2022

Del morire, o del nascere al cielo

Mi sono imbattuto in questo articolo del vaticanista Luigi Accattoli.

Parla del tempo della vecchiaia come tempo dell'attesa della morte.

Sarà perché gli anni passano, sarà perché gli acciacchi si affacciano, sarà l'esperienza come ministro straordinario dell'Eucarestia, il pensiero della vecchiaia si affaccia più spesso alla mia mente.

Accattoli propone - già da qualche tempo, in verità - una lettura quasi "ministeriale" della vecchiaia. Non mi è chiaro cosa significhi, e non lo è neppure dopo la lettura dell'articolo, ma l'articolo porta esempi che sono commoventi nella loro bellezza. Io non so se sarei pronto a rendere fttto comunitario il mio trapasso, ma i fatti narrati (sì, narrati, quasi fossero favole) e la conclusione che l'autore trae sui potenti segni cristiani sono fonte di speranz.

So che è una riflessione più pasquale che natalizia, ma la speranza è di entrambe le feste cristiane per eccellenza. Siamo nati, e non moriremo più (cit. Chiara Corbella): una nascita,  una nascita al cielo.

venerdì 16 dicembre 2022

Le manifestazioni altruiste

Riprendo un ragionamento che ho fatto nel post di qualche giorno fa.

Negli anni scorsi le piazze si sono riempite di giovani che manifestavano per il clima.

Le piazze piene di giovani sono una cosa che ciclicamente torna. Abbiamo in mente quelle del 1968, del 1977, dei movimenti studenteschi. Le piazze per la pace ai tempi delle guerre in Serbia e Iraq.

Quelle piazze rivendicavano sempre qualcosa per sé. Più diritti per i lavoratori e gli studenti, più libertà, autodeterminazione sul proprio corpo (dall'aborto ai gay pride). Al limite qualcosa per tutti, ma vissuto anche come un vantaggio per sé: la pace, il no alle spese militari.

Le piazze per il clima chiedono ai governi di prendere misure forti e impattanti.
Queste andranno a discapito anche di chi manifesta, in termini di impatto economico: i manifestanti chiedono che la benzina costi di più, che ci siano più investimenti per le rinnovabili (e quindi soldi sottratti ad altri capitoli), che l'estrazione dei materiali rari con cui si fabbricano i nostri telefonini sia più regolamentata, che le industrie diventino più ecologiche (con costi che poi si riversernno sui consumatori), e via dicendo.

Forse chi manifesta godrà di benefici a lungo termine, o più probabilmente, visti i "tempi di reazione" del sistema Terra, ne godranno i loro figli o nipoti.

Ciò nonostante, costoro manifestano.
Nonostante i disagi immediati e il vantaggio probabilmente non per loro.
Non so quanto consapevolmente, ma almeno un po' spero di sì.

Mi sembra un buon segno: non chiedo qualcosa per me, anzi chiedo qualcosa contro di me ma per qualcun altro.

mercoledì 14 dicembre 2022

La pace morale

Ho letto questo interessante articolo del professor Felice.

Non credo di averci capito molto, non ho una sufficiente preparazione filosofica al riguardo.

Però la lettura ha stimolato un'intuizione. Vaga, ma che in realtà mi frulla in testa da parecchio tempo. Credo di averne già scritto più volte.

L'accento individualistico e efficientista che si è imposto in maniera pronunciata negli ultimi cinquant'anni ha qualcosa a che fare anche con la pace.

A volte la guerra è razionale. E' efficiente. E' un modo per ottimizzare il proprio benessere. Il bullo che ruba la merendina sapendo di restare impunitofa una cosa individualisticamente utile. Lo Stato che abusa della propria posizione di forza ragiona nello stesso modo.

Se non c'è un'opposizione filosofica intrinseca all'idea di guerra, di male, il solo realismo e utilitarismo può non escluderla. Se non c'è un orrore interiore, direi, per l'idea di guerra e di male, saremo più deboli di fronte ad essi.

Ecco che rientra in gioco l'etica personale. La capacità di rinunciare a un proprio vantaggio per qualcun altro, per un bene comune. Il contrario dell'individualismo.

Mi ritornano nuovamente in mente le parole di madre Teresa al ritoro del Nobel per la pace: "Se una madre può uccidere suo figlio, chi impedisce agli uomini di uccidersi tra di loro?".
Le avevo già rilette in senso antropologico, mentre oggi le leggo in senso anti-individualistico.
La scelta dell'aborto è una soluzione razionale, in tanti casi, dal punto di vista individualista. E in molti sensi può essere difendibile dal punto di vista della legittimità legale (non è scontato che un bambino nella pancia sia titolare di diritti; la madre lo è di certo). Tutto ciò, però, con il presupposto di non mettersi dal punto di vita del nascituro.

Se non c'è un "orrore" innato, morale e non razionale, per l'uccisione del feto, in nome del razionalismo individuale, forse allora non ci sarà l'orrore nemmeno per la guerra.

lunedì 28 novembre 2022

Pelé, Maradona, Messi

Quando si giocano i Mondiali, tornano di moda i confronti tra giocatori di epoche diverse.

Si legge ogni volta l'accostamento (impietoso...) tra Messi e Maradona.
E salta fuori, mitico, il nome di Pelé.

L'impressione è sempre quella che quest'ultimo sia una figura ormai mitica, avvolta nell'aura di leggenda, non confrontabile in modo "sensato", oggettivo con gli altri campionissimi. Stessa cosa quando si discute sul più grande, tra lui e Maradona: eh, troppo diversi, Pelé è di unc alcio mitico, Maradona di un calcio quasi "moderno".

Però, se si va a vedere, la distanza tra Pelé e Maradona è inferiore a quella tra Messi e Maradona: Messi nasce 27 anni dopo Maradona, gioca il primo mondiale dopo 24 anni (1982-2006), gioca l'ultimo ben 28 anni dopo l'ultimo di Diego (1994-2022).
Invece la distanza tra Maradona e Pelé è di 20 anni sulla data di nascita e 24 tra i quattro mondiali giocati dai due.
La distanza tra Maradona e Pelé è la stessa, all'incirca, che tra Messi e Baggio. Sono giocatori che hanno avuto carriere quasi sovrapposte, negli estremi: quando Messi esordiva, Baggio si ritirava; allo stesso tempo quando Maradona esordiva, Pelé si ritirava.

Non ci facciamo grandi problemi a confrontare Messi e Maradona o Baggio. Allora perché dovrebbe essere impossibile confrontare Maradona e Pelé?

Il calcio è cambiato tra il 1970 e il 1990 più di quanto sia cambiato tra il 1990 e il 2015? La rivoluzione olandese e la zona sono arrivate lì in mezzo, è vero, ma è anche vero che le regole sul retropassaggio ai portieri e la protezione degli attaccanti sono posteriori a Maradona. Maradona e Pelé si confrontavano con difensori spaccagambe e pochissimi rigori, Messi incontra difensori ben diversi.

O forse è perché la maggior parte dei commentatori a cui sono affidati questi confronti, i baby boomer, erano troppo giovani all'epoca di Pelé?
I commentatori che potevano vedere con cognizione di causa entrambi esistono, ma erano i Brera, al massimo i Bruno Pizzul. Invece c'è una ampia generazione di giornalisti che hanno visto Maradona e i suoi epigoni successivi.

Infine, c'è il problema principale: Pelé lo abbiamo visto praticamente solo ai mondiali, non ha giocato in Europa. Non è un problema di età, ma di visibilità.
Ciò non toglie che quello che narrano i difensori che hanno avuto a che fare con lui, pure in quelle poche occasioni, da Trapattoni a Facchetti e Burgnich, è ampiamente significativo.

domenica 27 novembre 2022

Ogni tre anni?

Oggi guardavo Belgio-Marocco.

La partita è stata senz'altro emozionante per il Marocco, condita da questa inattesa e meritata vittoria. Tra l'altro il Belgio ospita una nutrita comunità marocchina, che avrà vissuto in modo speciale l'evento.

Questi confronti intercontinentali sono rari, specialmente in partite ufficiali. Se per le squadre importanti qualche occasione di confronto c'è (oltre al Mondiale una volta c'era la Confederations Cup), per le squadre "minori" sono confronti che avvengono con una rarità estrema.
Le Nazionali si confrontano invece molto più spesso con squadre del proprio continente, per i campionati continentali e le varie qualificazioni.

Dopo il 2000, l'Italia ha affrontato in incontri ufficiali due volte il Brasile, in Confederations Cup (ormai abolita), una volta l'Argentina per la "coppa intercontinentale" giocata a maggio.
Nello stesso lasso di tempo, l'Italia ha incontrato 4 volte la Francia in incontri ufficiali, 5 volte la Germania, ben 9 volte la Spagna, 5 volte l'Inghilterra (con cui condivideremo il girone di qualificazione a Euro 2024).

Non mi ero mai reso conto così chiaramente della rarità dei confronti intercontinentali.
Sì, ci sono le amichevoli, ma non sono la stessa cosa, e riguardano per lo più nazionali di nome.

Allora ho ripensato alla proposta della FIFA di tenere i Mondiali ogni due anni. Al momento, e vista dall'Europa - abituata a tanti confronti di livello anche nei campionati continentali - la proposta sembrava una specie di bestemmia in chiesa, un affronto alla tradizione.
Ma, vista da fuori dall'Europa, specie da Asia e Africa, la proposta potrebbe aumentare (raddoppiare, sostanzialmente) le occasioni di confronto tra le confederazioni. Sarebbe bello.

Magari si potrebbe mantenere una via di mezzo: Mondiali ogni tre anni, preceduti di un anno dai campionati continentali, che facciano anche da parziale qualificazione ai Mondiali stessi.

lunedì 7 novembre 2022

Il resto del mondo

Qualche anno fa all'esame di maturità fu proposto un tema che riguardava i BRICS. Ricordo che storsi il naso: BRICS è una azzeccata sigla che mette assieme Paesi molto diversi tra loro.

Qualche giorno fa mi è capitata sott'occhio questa cartina.

 
 
Si tratta della mappa del riconoscimento internazionale del Kosovo.
Io avevo presente la situazione europea, e pensavo che il Kosovo fosse ampiamente riconosciuto e che solo pochi Stati con interessi interni (Spagna, Cipro) rimanessero ostinati nel non riconoscimento.

Invece scopro che nel mondo circa una metà degli Stati aderenti all'ONU non lo riconoscono, e in particolare nessuno dei BRICS. Al di fuori del mondo "occidentale" la posizione sul Kosovo è largamente contraria.

Valutando le votazioni all'ONU su una cosa apparentemente banale come la condanna delle annessioni illegali russe nelle regioni invase, cosa per cui mi aspetterei un ampio consenso internazionale, si leggono cose interessanti.
Effettivamente la condanna è stata ampia (143 voti), ma tra gli astenuti ci sono Cina e India.

La posizione dei Paesi non occidentali - una volta si sarebbe detto "non allineati" - è molto più sfumata di come l'avevo in mente. L'Atlante Treccani offre articoli interessanti al riguardo.
L'India si mantiene in una via di mezzo tra USA e Russia, aggirando anche le sanzioni economiche.
L'Indonesia aspira a un nuovo protagonismo in vista del G20, e a giugno il presidente ha visitato sia l'Ucraina che la Russia.
Le posizioni di Lula in Brasile sono meno nette e più equidistanti di quello che ci si potrebbe aspettare.

Ma l'attore principale di questo scacchiere extraeuropeo è senz'altro la Cina. Il punto di vista cinese è descritto in questo interessante articolo, che spazia da note pessimiste (la trappola di Tucidide applicata a USA e Cina) a note più ottimiste (il concetto di "ascesa pacifica"). Ma su una cosa l'articolo è esplicito:

La Carta [ONU] sancisce il principio della sovrana uguaglianza di tutte le nazioni che ne fanno parte. Le vere sfide all’ordine delle relazioni tra Stati, quindi, vanno ricercate nelle prove di forza che mettono a repentaglio questo principio di equità. Ne sono esempi l’ordine orientato alla supremazia di un’unica superpotenza, la ricerca dell’egemonia e la politica di potenza.
[...]
Sarebbe irrealistico, però, pensare che l’ascesa pacifica debba coincidere con l’accettazione acritica delle procedure e delle regole stabilite da Washington per l’amministrazione dell’ordine internazionale.
[...]
L’analisi storica, però, permette di capire che l’ordine internazionale che Washington ha giurato di preservare è progettato per servire gli interessi degli Stati Uniti e perpetuare la loro egemonia. Da un certo punto di vista, quindi, gli stessi Stati Uniti possono essere considerati un agente di disturbo dell’ordine mondiale.

Secondo me questo è un elemento fondamentale, che accomuna tutte queste nazioni non occidentali: la diffidenza verso un mondo unipolare, in cui comandano gli USA.

In parte può essere una diffidenza "interessata", specie da parte della Cina, desiderosa di sostituire la sua influenza a quella americana.

Ma non possiamo neppure sottovalutare altri aspetti. Quei Paesi sono tutti posti che hanno subito la colonizzazione occidentale, è naturale una diffidenza di fronte a chi si erge a "comandante del mondo" in un altro modo.
Tutto il Sudamerica ha subito le ingerenze USA della dottrina Monroe per lunghi e sanguinosi decenni, perciò lì la diffidenza è ancor più naturale. Non escludo che anche la posizione papale sia saldamente pacifista e non esente da critiche alla NATO ("abbaiare", disse) anche per via di una forma mentis, un imprinting molto sudamericano.

Inoltre l'epoca dei due blocchi fu un'epoca relativamente florida per i non allineati, che lucravano dalla loro posizione "terza". Questo a me ricorda ciò che scrive l'articolo che ho citato:

Xi Jinping aveva provato ad offrire una risposta pacifica alla trappola di Tucidide, immaginando un «nuovo modello di relazioni tra grandi potenze» basato sulla soppressione dei conflitti, sul rispetto reciproco tra sistemi politici e modelli di sviluppo diversi e su una più stretta collaborazione riguardo a temi come la non proliferazione e il cambiamento climatico.

Questo nuovo modello assomiglia ai due blocchi della guerra fredda. Può essere che per i BRICS sia considerato un modello auspicabile.

AGGIORNAMENTO: anche la più recente votazione ONU a tema conferma quanto detto:



mercoledì 19 ottobre 2022

Il dibattito sulla guerra

Due giorni fa è successo un piccolo episodio che mi ha fatto riflettere, una volta di più, sulla informazione sulla guerra in Ucraina.

Il cardinale Zuppi, presidente della CEI, parlando dell'art. 11 della Costituzione, ha rilasciato questa dichiarazione:

E la seconda parte dell'articolo, a cui tanto lavorò Dossetti, è ancora più importante: meglio perdere un pezzo di sovranità e risolvere i conflitti. Invece di prendere le armi, discutiamo. Qualcuno faccia davvero da arbitro dunque, per far sì che il fratello non ammazzi il fratello

Queste parole hanno creato qualche maretta.


E, nei titoli, sono diventate:

Ucraina, card. Zuppi: pace anche a costo di un pezzo di sovranità (Rai)
Guerra in Ucraina, il cardinale Zuppi: "Pace anche a costo di un pezzo di sovranità" (Sky)
La sovranità non è tutto. Il Vaticano spinge per la pace subito in Ucraina anche con cessione di territori (Huffington Post)

Notiamo come sparisce l'accenno alla discussione e all'arbitro, e compare una inesistente "cessione di territori".

E nessuno invece mette in evidenza la seconda parte della dichiarazione:

Quell'articolo era frutto davvero di tanta sofferenza, un ripudio che voleva dire anche dare senso al non senso della morte di milioni di persone. Ripudio, ma anche, il perdere sovranità per una sovranità che aiuti a risolvere i conflitti. Ne abbiamo un enorme bisogno, e lo capiamo assistendo a questo terribile conflitto in Ucraina e in tante altre parti del mondo.

Cosa voleva dire Zuppi?

Mettendo insieme i riferimenti alla seconda perte dell'articolo 11*, alla necessità di un arbitro, alla perdita di sovranità, ma "per una sovranità che aiuti a risolvere i conflitti", è chiaro che si riferisce alla necessità di un "terzo" che faccia da mediatore, di cui parlavo nell'ultimo post.

A corroborare questa interpretazione, questa intervista è di pochi giorni fa:

Bisognava fare di tutto, rinunciare anche alla sovranità per permettere alle nazioni di vivere insieme e garantire la pace. L’Onu e l’Unione europea sono nate così.

Nel dibattito pubblico, Zuppi è stato dipinto come putinista, e il richiamo al ruolo delle istituzioni sovranazionali a cui affidarsi è stato travisato in una richiesta di resa ucraina.

Non è certo la prima volta. Pure a Nello Scavo è capitato di vedersi dipinto come putinista, quando cercava di capire la verità sui missili cadti nel Donetsk. E ricordiamo cosa si scriveva ai tempi dell'attentato a Dugina: prima le accuse agli ucraini erano inverosimili, si ipotizzava una "false flag". Poi, dopo settimane, salta fuori che però forse sono stati davvero gli ucraini.

Come dice Zuppi nell'intervista, oggi si vede una logica militare dominante, che divide il mondo in buoni e cattivi senza complessità, da cappuccetto rosso e il lupo, come disse il Papa. E tutto ciò è rinfocolato dall'informazione.

Mi ritrovo in questo articolo.

* "L'Italia [...] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

giovedì 13 ottobre 2022

Il terzo mancante

Qualche giorno fa Massimo Giannini, direttore de La Stampa, ha scritto un editoriale (qui una versione parzialmente leggibile) che si conclude citando Norberto Bobbio, che auspicava un "Terzo per la pace".

Mi fa piacere che il dibattito, tra paure di escalation nucleare e piccoli segnali di apertura (due settimane fa credo che nessuno avrebbe considerato possibile un incontro tra Biden e Putin, ora c'è qualche timido tentativo), si sia rianimato e "pluralizzato" un po', dopo mesi di polarizzazione assoluta in cui persino Nello Scavo si è preso del putiniano. Su questa cosa ci tornerò.

All'assemblea PD ho sentito la Boldrini includere l'invio di armi in Ucraina tra le cose per cui fare autocritica.
Qualcosa si sta muovendo con le varie manifestazioni per la pace.

Io credo che le scelte prese durante l'evolversi della crisi fossero sostanzialmente inevitabili.
Non si potevano non imporre le sanzioni, è veramente il minimo sindacale per una grossa violazione del diritto internazionale. Non si poteva dire no a Zelensky che chiedeva aiuto militare, anche per non rompere il fronte occidentale.

Col senno di poi, vedendo come è andata, cambierei qualcosa e proverei a ritagliare per l'UE un altro ruolo.
L'85% degli aiuti militari all'Ucraina viene da fuori UE (fonte), mentre la stragrande maggioranza dei Paesi dell'Unione contribuiscono in modo risibile allo sforzo bellico (meno dello 0.5% ciascuno).
Lasciando il ruolo di sponda militare a USA, Regno Unito e Paesi singoli (se la Polonia vuole aiutare, faccia pure) non sarebbe cambiato nulla nella resistenza militare sul campo, ma la UE si sarebbe potuta ritagliare il ruolo di "terzo" che oggi sta tentando di coprire Erdogan, che però non ha chiaramente la "statura" e la dimensione sufficiente.

Ma è senno di poi, naturalmente.
Invece, per come sono andate le cose, passerà tutto dagli Stati Uniti.

mercoledì 5 ottobre 2022

Due parole sul reddito di cittadinanza

Di cui si è parlato tanto intorno alle elezioni.

Premetto che non credo che il successo del M5S di Conte sia legato solo a questo: il reddito di cittadinanza (d'ora innanzi RdC) c'era anche quando i sondaggi li davano ben più vicini al 10% che al 15%.

Ciò detto, una correlazione tra RdC e successo del M5S c'è. Non è l'unica causa, è una correlazione e non una causalità, non voglio arrivare alle correlazioni numeriche spurie di Marattin; ma è un fatto che Conte ha fatto del RdC una bandiera e che il successo grillino si concentra in massima parte al Sud, dove vive la maggior parte dei percettori.

Costoro hanno votato per il loro interesse? Certamente.
Questo è voto di scambio? No, mi pare un fenomeno normale di ogni elezione.
Anche perché il voto di scambio è una fattispecie penale ben precisa.
Se fosse voto di scambio, anche votare chi ti promette di abbasarti le tasse o di mandarti in pensione prima lo sarebbe.

Quindi non c'è nessun problema?
Secondo me c'è un problema di principio.
A pari condizioni (diciamo: supponendo che lo Stato abbia soldi da spendere, senza fare debito), c'è secondo me un presupposto: i soldi sono di qualcuno che li guadagna.
Mi pare che il punto di partenza dovrebbe essere che si debbano prendere da lì con moderazione (cioè quanto necessario, partendo dai più abbienti, con progressività ma comunque il meno possibile), e che si debbano "regalare" con altrettanta moderazione (quindi il minimo indispensabile).
Quindi due misure come flat tax e RdC non sono simmetriche.

Questo senza negare che forme di aiuto al reddito e alla povertà sono necessarie.
La parte buona del RdC è che in molti casi ha fatto proprio questo, tirando fuori persone dalla povertà. I dati Istat parlano di un milione di persone: i numeri sono lì da vedere.
La parte cattiva è averlo venduto come una roba che doveva creare lavoro.

Inoltre il sostegno alla povertà va fatto con criterio pure quello.

mercoledì 28 settembre 2022

Due parole sulle elezioni

Se ne è andata la "campagna elettorale più brutta della storia", come ha scritto qualcuno.
Non so, a me non è parsa così pessima, ma probabilmente è perché non l'ho seguita...
Queste elezioni non mi hanno infatti per nulla appassionato. Sarà per l'esito scontato fin dall'inizio.

Comunque, alcuni punti di commento.

  • Mi sembra che il risultato sia stato meno sbilanciato del previsto. Il centrodestra sta ben lontano dai 2/3 dei seggi, sta sotto i risultati del centrodestra berlusconiano degli anni zero che sfiorava il 50% (per non parlare dei voti assoluti), anche il risultato di FdI è il più basso delle varie ondate di consenso che abbiamo visto (Renzi 41%, M5S 33%, Salvini 34%). Tra l'altro buona parte del 26% è travaso da destra a destra, visto il tracollo di Salvini.
  • Mi rallegro per il tracollo di Salvini, che negli ultimi anni mi pare abbia dimostrato di non avere assolutamente idea di come gestire l'effimero tesoretto che gli è capitato in mano tre anni fa (come anche Renzi, d'altra parte).
    Mi pare però che la Lega (non più Nord) sia legata a lui, non si vede nessuno che possa portare avanti lo stesso approccio nazionalista. Se non sbaglio è pure legalmente un altro soggetto politico rispetto alla Lega Nord. Sono in una situazione bella ingarbugliata.
  • Il M5S e il PD sono complementari. Il M5S è una partito d'opinione che performa al sud e alle politiche, il PD va forte in tutti i voti amministrativi. Secondo me la strada è segnata, devono trovare il modo di collaborare.
  • Il PD al 19% secondo me vuol dire che si può fare quel che si vuole, con i segretari che si vogliono, ma è proprio un marchio logoro. Un po' di opposizione gli farà benissimo, e non è detto che comunque non serva qualche scelta più drastica.
    Probabilmente farebbe bene scegliere una collocazione chiara, se a sinistra o al centro (intesa nel senso di dove guardare per prima cosa per le alleanze), anche per prendersi del tempo per costruire coalizioni durature. Un vantaggio del centrodestra è che è stabilmente nella stessa configurazione da vent'anni.
  • La Bonino resta fuori, dal Parlamento. Per come l'ho vista in TV durante la campagna elettorale, è veramente ora che pensi alla salute. Se starà meglio, anche da fuori le battaglie si possono fare, come insegnano Pannella e Cappato.
  • Non mi capacito assolutamente come ci possa essere un 8% di persone che vota Forza Italia.
  • Notiamo anche il flop fragoroso delle liste no vax.
    Adinoldi e Di Stefano con "no green pass" nel simbolo fanno lo 0.06% (sic), Vita 0.7%, Paragone (che comunque ha una proposta più ampia) sotto le previsioni.
    Ennesima dimostrazione che sono quattro gatti super-sovraesposti, per cui c'è stata un'isteria collettiva esagerata l'anno passato.
    Spero che lo terremo presente al prossimo giro di vaccinazioni.

Ora governino, buon lavoro e auguroni, ne avranno bisogno...

martedì 20 settembre 2022

La passata (?) paura della guerra nucleare

Suggerisco la lettura di questo interessante articolo sulle strategie politiche e militari che hanno caratterizzato la guerra fredda in campo nucleare.

Curiosamente l'autore si chiama "Paura" di cognome...

Avevo sentito parlare di queste situazioni teorie, ma non mi era chiaro il livello di dibattito e approfondimento che c'era dietro. Sono esempi di come l'umanità abbia affrontato dilemmi etici mai visti prima.

Sarebbe interessante trovare testimonianze simili anche da parte sovietica.

giovedì 15 settembre 2022

Il doloroso Eurobasket 2022

Con un giorno di distanza.
Fa ancora male. Porca miseria se fa male. Con i francesi, poi.

Ma non ce la faccio a gettare la croce su Fontecchio, ha fatto i bambini coi baffi in più di un'occasione.
Ricordo che anche Basile sbagliò i liberi decisivi allo scadere al mondiale 2006 con la Lituania, ma non per questo è meno Basile. Forza Simone!

Datome ricordava che è la quarta volta di fila che si esce ai quarti di finale. Ci aggiungerei anche l'anno scorso.
Nel mentre la Spagna è 11-0 nei quarti di finale dal 1999 in poi. Ok, loro sono sempre stati decisamente più forti, ma 11-0 in partite a eliminazione diretta è eccezionale, vuol dire mai una giornata storta, un passaggio a vuoto.

In ogni caso, questa squadra (Olimpiadi ed Europeo) mi ha fatto emozionare come non succedeva da quella miracolosa di Recalcati 2003-04. Nessuna così in vent'anni*.
Hanno difeso fortissimo, con uno spirito commovente.
Probabilmente sottovalutiamo il livello medio delle nostre seconde linee, che se la giocano con le altre Nazionali. Chiaro che noi non abbiamo le punte che hanno gli altri: nessuno dei nostri concorre per l'All Star Game NBA o per i quintetti ideali dell'Eurolega.
Non abbiamo "predestinati", né come Doncic o Antetokounmpo, né come - in piccolo - Bargnani, Belinelli e Gallinari che a 20-22 anni sono andati a fare minutaggio in USA. L'unico predestinato di questa generazione sembrava Gentile, che si è perso (o buttato via).
I nostri leader (Fontecchio, Melli) sono cresciuti facendo panchina da noi, poi sono andati all'estero a crescere, poi sono passati pure in NBA. Ecco, forse il passaggio all'estero, rispetto al declinante campionato italiano**, è importante: sempre più italiani lo fanno, e il livello si alza. Speriamo che succeda sempre di più. Certo, con un percorso simile li abbiamo "maturi" solo quando avvicinano la trentina, e la finestra di opportunità si riduce.

Certo, per qualche motivo c'è sempre il solito problema: il tonnellaggio.
Siamo passati da Meneghin, Costa, Magnifico a Rusconi e Carera a Chiacig e Marconato a Cusin a... Tessitori nessuno***.
Speriamo che a Paolo Banchero sia venuta voglia di provare a fare qualcosa di bello con questa squadra, un frontcourt con lui, Melli, Fontecchio e Polonara a spartirsi i posti da 3-4-5 sarebbe una gran cosa.
Inoltre bisognerebbe decidersi a fare come gli altri: non riusciamo a naturalizzare una guardia con punti rapidi nelle mani? L'unica guardia che schieriamo è Tonut, che è un gradino sotto gli altri leader.

Vediamo cosa combineremo (toccando ferro per le qualificazioni, per cui siamo messi bene) al mondiale, competizione con cui di solito non abbiamo un gran feeling.
Peccato che gli Europei non tornino fino al 2025, quando Melli sarà anzianotto.

* soprattutto quelle di Pianigiani, decisamente le più deludenti. C'era sempre una scusa... Un giorno ci sarà da rivalutare quanto fosse un bluff quell'allenatore.

** aggiungo sul campionato italiano: dobbiamo smetterla di raccontarci bugie e crederci chissà cosa.
Abbiamo in FIP, ma pure in Lega, un nazionalismo straccione che non fa bene.
Gli ultimi due MVP del campionato sono stati Tonut e Della Valle, scelte insensate quando Tonut non era il miglior giocatore neppure della sua squadra e Della Valle ci sarà un motivo se è stato scartato da Milano e ha fallito all'estero (e non ha trovato offerte neppure quest'estate, dopo la pantomima "vado via").
Mi ricordano i premi a Bulleri (due!) quando giocava da sesto uomo a Treviso.

*** senza offesa per il povero Tessitori, ma di fattonon era stato convocato, è rientrato solo per l'infortunio a Gallinari, altrimenti non avremmo avuto centri di ruolo in rosa.

lunedì 12 settembre 2022

Il voto per età

Quest'anno per la prima volta si è equiparato l'elettorato di Camera e Senato.
Mi è venuto in mente che la differenza di risultati tra le due Camere, conoscendo il numero di votanti, poteva permettere di ricostruire (supponendo che gli over 25 votino allo stesso modo sulle due schede) il voto dei giovani tra i 18 e 25 anni.

Ho fatto qualche conteggio sui dati del 2018, e ne è risultato quanto segue.

Partito % Camera % Senato (>25) % Voti
under 25
Differenza %
M5S 32,68 32,22 37,97 +5,75
PD 18,76 19,14 14,39 -4,75
Lega 17,35 17,61 14,36 -3,25
FI 14 14,43 9,05 -5,38
FdI 4,35 4,26 5,39 +1,13
LeU 3,39 3,28 4,66 +1,38
+E 2,56 2,37 4,75 +2,38

I risultati sono abbastanza intuitivi: la differenza più grande tra under 25 e over 25 fu a favore del M5S, mentre PD e FI sono partiti votati più da adulti e anziani che dai giovani.

Quello che mi interessa è che le differenze ci sono, ma non sono abissali. Per esempio la "classifica" di gradimento tra gli under 25 è la stessa che negli over 25 e nell'elettorato generale.

Per questo sono stato stupito (e scettico) quando mi è capitato sott'occhio questo sondaggio di qualche giorno fa.

Fratelli d'Italia al 5% tra gli under 25, a fronte di una media nazionale del 24.4%?
Verdi e SI al 14% tra i giovani, a fronte di un risultato nazionale del 3.6%?

Mi pare che si indichi decisamente troppa variabilità. Il confronto tra Camera e Senato non mostra nulla del genere per nessuna elezione delle legislature scorse.

giovedì 8 settembre 2022

L'omogeneità delle coalizioni

In vista delle elezioni, segnalo il sito indecis.it. Non è uno dei soliti "giochini" tipo "trova il partito più vicino a te", è il tentativo di categorizzare e organizzare per temi i programmi elettorali delle varie forze politiche.

Questo permette una ricerca secondo me interessante. Abbiamo due coalizioni formate da quattro partiti ciascuna: il centrodestra con FdI, FI, Lega e NM (Noi Moderati) e il centrosinistra con PD, Verdi e Sinistra Italiana (VS), +Europa (+E) e Impegno Civico di Di Maio (IC).

Ho provato a vedere quali sono i temi su cui c'è disaccordo all'interno delle coalizioni, fidandomi del "semaforo" riportato sui vari temi dal sito. I temi per cui nella stessa coalizione convivono un semaforo verde (sì) e uno rosso (no) sono i seguenti.

Per il centrodestra:

  • Esteri e difesa - leva militare obbligatoria: FdI no (solo servizio civile volontario), Lega sì (a scelta tra militare o civile)
  • Economia e fisco - superbonus: Lega sì (con modifiche), NM no (modificare radicalmente l'esistente)
  • Lavoro e politiche sociali - reddito di cittadinanza: FdI e NM no (abolire e sostituire), FI riformare, Lega sì (con modifiche simili a FI)

Per il centrosinistra:

  • Istituzioni e giustizia - autonomia differenziata: VS e IC no, +E sì (con meccanismi di solidarietà)
  • Esteri e difesa - aiuti militari all'Ucraina: VS no, +E sì, PD parla di "sostegno all'Ucraina" ma non cita esplicitamente gli aiuti militari
  • Economia e fisco - revisione del PNRR: PD e +E no (solo piena attuazione), VS sì (PNRR più partecipato e ambientale)
  • Ambiente ed energia - Termovalorizzatori: VS no, +E sì
  • Ambiente ed energia - nucleare: PD e VS no, +E sì
  • Istruzione e ricerca - alternanza scuola-lavoro: VS no (cancellare), +E sì (rafforzare)
  • Lavoro e politiche sociali - abrogazione legge Fornero: VS sì, +E no (piccole forme di flessibilità sostenibile), PD non si esprime esplicitamente ma parla di varie forme di flessibilità
  • Lavoro e politiche sociali -contributi ai giovani per gli affitti: PD sì, VS no (più case popolari, invece), +E parla di "sostegno alla residenzialità dei fuori sede" senza esplicitare se con bonus
  • (Esteri e difesa -accordi di cooperazione con Paesi d'origine: il sito riporta VS no, +E sì, ma i partiti si riferiscono a cose diverse, +E a aiuti allo sviluppo, VS alla guardia costiera libica)

Fatte salve alcune differenze sfumate, che si percepiscono andando a leggere oltre il semaforo, ce ne sono altre in cui le posizioni sono opposte.

Il centrodestra ha fatto lo sforzo di mettere giù un asciutto programma comune.
Il centrosinistra, una volta naufragato l'accordo programatico tra PD e Calenda, ha proprio rinunciato. Ricordo i programmi da centinaia di pagine dell'Unione, poi miseramente naufragati: stavolta si è direttamente soprasseduto al lavoro di sintesi, probabilmente consapevoli della sconfitta e pensando solo a minimizzare i danni.

Io mi chiedo se sia serio chiedere il voto agli elettori per candidati comuni presentandosi esplicitamente con programmi contrastanti su punti anche importanti in questo periodo di crisi energetica.

lunedì 5 settembre 2022

La questione dei cattolici in politica, ancora

Come all'avvicinarsi di ogni elezione, ricompare qualche pensoso editoriale che parla della scomparsa dei cattolici.

Mi è pure passata la voglia di ragionarci, sono più o meno sempre le stesse analisi (l'evoluziona storica, Tangentopoli, il ruinismo, i valori non negoziabili) e nessuna prospettiva di cambiamento.

Propongo una lista di articoli.

Comincia Andrea Riccardi sul Corriere, con l'analisi storica seguita dalla sottolineatura del ruolo fondamentale dei corpi sociali cattolici.

Risponde l'immancabile Ernesto Galli della Loggia, con l'immancabile richiamo allo smarrimento dei valori e una conclusione curiosa: i cattolici dovrebbero scherarsi o di qua o di là, non al centro.

Curiosamente, mi pare una conclusione affine a quel che aveva scritto Marco Damilano in un lungo articolo su Domani qualche tempo prima, con una evidente preferenza per la sinistra, cosa che non so se Galli della Loggia condividerebbe...

Flavio Felice e Dario Antiseri propendono invece una presenza autonoma cristianamente ispirata: ai cristiani non mancherebbe la truppa, ma lo stato maggiore.

Che però non si intrevede all'orizzonte, nell'epoca dei leader.
Anche il tentativo di Insieme, che sembrava dover portare a un partito con capofila il prof. Stefano Zamagni, mi pare sostanzialmente arenato; lo stesso Zamagni ha partecipato al dibattito con un articolo a mio parere piuttosto vago, che tenta di tenere insieme l'etica comune, il pre-politico e il politico.

Il professor Giovagnoli su Avvenire minimizza persino che il problema dal lato cattolici, ributtando la palla nel campo della politica: esempio, a mio parere, di testa sotto la sabbia; oppure di fatalistica rassegnazione. E chissà, potrebbe pure avere ragione lui.

Di tutto il dibattito, riporto queste parole di Giuseppe Boschini su Settimana News:

La terza strada – la più difficile e incerta per il mondo cattolico – è quella di trovare una posizione sensata e sostenibile per i giovani   credenti (e non solo per i giovani) nella società dei “diritti individuali”, del modello familiare “tradizionale” che si disgrega, della libertà nelle scelte sessuali, del fine-vita che si allunga e sfilaccia, e così via.

Damilano centra il punto esattamente quando delinea la cultura delle libertà individuali come la sfida centrale per il futuro delle nostre democrazie. Libertà (termine che trovo più appropriato rispetto a “diritti”) che sono talmente permeate nell’identità giovanile da non lasciare per nulla esenti i giovani credenti: parlate con loro, in parrocchia, di omosessualità, fine-vita, aborto, per rendervi conto di quanto siano ormai lontani – con eccezioni solo per quelli toccati dai movimenti più radicalisti – dalle posizioni ordinariamente attribuite alla Chiesa cattolica. E inderogabilmente permeati dalla cultura dominante del loro tempo. [...]

Sto dicendo, insomma, che al “ritorno dei cattolici in politica” manca proprio il motore, la base. Ossia quella formazione diffusa, nelle parrocchie, che un tempo sensibilizzava e orientava all’impegno politico – dai più piccoli consigli comunali fino a Palazzo Chigi – intere generazioni di giovani credenti. Non tanto perché oggi, nelle parrocchie, o nella maggior parte di esse, dopo il ventennio ruiniano, parlare di impegno politico nei gruppi giovanili (se ci sono ancora) è una rarità. In fondo, alcune diocesi con governi “illuminati” e alcuni movimenti – l’Azione Cattolica e l’Agesci sicuramente  – pur con piccoli numeri, questo lavoro educativo ancora lo fanno: disperatamente, residualmente, ma lo fanno.

Il punto è che in questi percorsi formativi si sente totalmente la mancanza della “benzina”: una sintesi teologica e morale credibile, nuova, accattivante, sfidante, non banale e stereotipa, non “antica di 60 anni”, che si faccia carico fino in fondo della sfida dell’incontro tra modernità digitale e messaggio evangelico. Una infrastruttura di pensiero come quella che i giovani “cattolici democratici” trovarono in De Gasperi e Dossetti, quando fu ora di capire – nel 1945 – come potevano stare insieme democrazia e cristianesimo. Ma che sia attuale per il 2030.

Forse però, prima di scomodare modifiche magisteriali, l'infrastruttura andrebbe trovata dai laici.
Senza la pretesa che il magistero si sganci da sé stesso, e senza la paura di sganciarsi dal magistero, perché capaci di distinguere tra religione e politica.

mercoledì 31 agosto 2022

Meloni, Tsipras e i conti senza l'oste

Ho letto il programma della vincitrice annunciata delle prossime elezioni, Giorgia Meloni.

Tra i punti forti, presentati spesso anche in campagna elettorale, c'è la revisione del PNRR alla luce della crisi energetica e il cosiddetto "blocco navale" (che Meloni stessa ha spiegato essere in realtà una missione UE in accordo con gli Stati rivieraschi).

A me la campagna di Giorgia Meloni ricorda, mutatis mutandis, quella di Tsipras in Grecia ai tempi della crisi greca.
Entrambi promettono cose che non dipendono solo da loro, ma dalla disponibilità di soggetti terzi: della Unione Europea a rinegoziare i patti economici (sia Tsipras che Meloni), degli stati africani.
Padronissimi di farlo, ma:
1) va fatto notare
2) dovrebbero anche dirci cosa hanno intenzione di fare se gli interlocutori non ci stanno, cosa alquanto probabile.

Come trovavo insensata la campagna di Tsipras allora, che culminò con il referendum con cui si rifiutava il patto alle condizioni europee (storia che finì con un nuovo patto persino peggiore del primo), trovo altrettanto scorretta questa campagna meloniana.

Altro che "non faccio promesse che non posso mantenere".
Sono provvedimenti per cui devi andare a chiedere ad altri, non ti ci puoi impegnare. Questo è fare i conti senza l'oste.

Si noti che la questione di mettere a programma rinegoziazioni di patti UE vale anche per tutti quelli che dicono che bisogna superare il regolamento di Dublino (come per esempio il PD e Azione): sì, ok, buona idea, ma se invece gli altri rispondono picche c'è un piano B sull'immigrazione?

venerdì 26 agosto 2022

La fine dell'era dell'abbondanza

Il presidente francese Macron ha tenuto un interessante discorso, in cui affronta in un certo senso il tema della "decrescita", mettendo in dubbio che possa essere felice. Qui un articolo riassuntivo, qui il discorso.

La causa scatenante immediata è la crisi energetica collegata alla guerra in Ucraina, come si può facilmente intuire.

Ma Macron fa un discorso molto più esteso.

Parla della carenza d'acqua, del cambiamento climatico, delle difficoltà nelle catene di approvvigionamento tecnologiche, del riflusso nell'affermazione di democrazie e diritti umani, che si pensava fosse una teleologia della storia (l'illusione della "fine della storia").

Non ha parlato solo della fine dell'era dell'abbondanza, ha citato pure la fine dell'incoscienza, immagino nel senso dell'utilizzo sconsiderato delle risorse*.

E' molto, molto più largo che il discorso del gas. La scarsità di beni materiali è solo il primo sintomo.

Però non posso fare a meno di osservare che il paradigma che, secondo Macron, sta andando a finire è lo stesso di cui lui è espressione: l'impostazione economica della crescita infinita, il capitalismo consumista...

La cosa che mi ha lasciato perplesso è che poi, nell'analisi delle risposte, oltre a cose abbastanza ovvie sul cambiamento climatico eccetera, sembra adombrare vagamente un protezionismo autarchico: gli interessi nazionali prima di tutto, la capacità di essere autosufficienti energeticamente e tecnologicamente.

Capisco che stava parlando alla Francia e non a un consesso internazionale e che questa cosa della difesa dell'interesse nazionale è nel DNA francese, anche con interventi diretti sull'economia (Fincantieri ne sa qualcosa). Qualcosa già si vede, al riguardo; non solo in Francia.

Ma mi pare una soluzione che si mette nello stesso campo di quelli che i problemi li creano.

* Per l'Italia, nel capitolo incoscienza possiamo introdurre anche l'illusione molto anni '70-'80 di fare tutto a debito rispetto alle generazioni future.

sabato 6 agosto 2022

Qualche dato sull'evasione fiscale

In questa campagna elettorale si parlerà di tante cose, ma - scommetto - poco di evasione fiscale.

L'Italia, si sa, evade molto. E' vulgata, ma anche le poche stime europee al riguardo confermano il dato. Per quanto riguarda l'IVA (VAT in inglese), la stima è che siamo su un'evasione più che doppia rispetto alla media europea, e doppia rispetto al peggiore dei grandi Paesi europei (dati qui).

L'IVA è storicamente la tassa più evasa in valore assoluto, mentre la propensione all'evasione è enorme per l'IRPEF dei lavoratori autonomi (dati qui, dal nostro Ministero dell'economia).

Perché queste differenze? E cosa si può fare al riguardo?

Il problema è complesso, ci sono moltissimi fattori. La dimensione media delle imprese italiane, troppo piccole; la complicazione fiscale; la situazione economica del Sud, dove l'economia sommersa è un ambiente naturale e probabilmente tollerato perché in qualche modo "funziona" e in alcune situazioni fa da paracadute sociale in situazioni di difficoltà di tessuto economico.

 
Non esistono "proiettili d'argento" e soluzioni facili riguardo a questo argomento.

Secondo me la questione fiscale fa parte di quelle norme (la grande maggioranza, in realtà) che funzionano solo a patto che la maggior parte delle persone le rispetti spontaneamente.

Come il codice della strada: non potrai mai mettere vigili a sufficienza, funziona perché la gente si comporta da sola in modo ragionevolmente disciplinato, quando non lo fa (tipo parchegggio selvaggio in certi contesti) hai voglia a multare, diventa una fatica di Sisifo poco ragionevole.

Per esempio, in Germania pare abbiano meno evasione, come si vede dal grafico sopra, pur con meno limitazioni all'uso del contante.

Per me è l'humus culturale. Una cosa che si modifica solo con molto tempo e molta pazienza.

E qualcosa già si fa. La mia percezione è che l'evasione sia diminuita rispetto a 30 anni fa, pian piano. A me pare di vedere più abitudine agli scontrini, alle carte di credito, e credo di non conoscere più nessuno che lavora al 100% in nero, cosa che 30 anni fa avevo presente.

Questo progressivo miglioramento si vede anche nelle stime del Ministero (fonte: questo tweet di Luigi Marattin, presidente della Commissione finanze della Camera, che anticipa alcuni dati di quest'anno; quelli fino al 2018 sono dati consolidati presenti anche nei documenti già linkati).


Come si vede, c'è stato un recupero dell'evasione del 9% in 5 anni.

La strada è ancora lunga, bisogna scegliere gli strumenti giusti.
Per l'IVA, che è la tassa dove si è concentrato il maggior recupero, tanto che da qualche anno è scesa sotto l'IRPEF come valore assoluto di evasione, si sono usati strumenti come la fatturazione elettronica.
Per recuperare il canone RAI si è fatta un'operazione draconiana, che è stata molto efficace, ma al prezzo di invertire l'onere della prova (ora se non hai TV devi chiedere l'esenzione), una cosa che funziona solo per l'enorme diffusione delle TV in Italia, ma che non è il massimo dal punto di vista dei rapporti tra Stato e cittadino.Recuperare l'IRPEF è probabilmente più complesso; gli strumenti solitamente indicati vanno in direzione della limitazione dell'uso del contante. Questo però si porta dietro alcune criticità pratiche (che fare se un giorno salta la rete e non prende la carta?) e ideali (il denaro elettronico introduce un intermediario in più, rende le persone vulnerabili, come i manifestanti n-vax canadesi a cui furono bloccati i conti correnti, porta potenziali problemi di privacy).

Come detto, la Germania se la cava meglio di noi pur senza grosse limitazioni al contante.
E allora si ritorna ai problemi strutturali (la dimensione delle imprese tedesche rispetto a quelle italiane) e di humus culturale.

Sono curioso di leggere quali saranno le proposte dei partiti in campagna elettorale riguardo a questo argomento. Sospetto pochine, in realtà...

venerdì 29 luglio 2022

Democratizzare TINA?

Torno sull'analisi dei due articoli dello scorso post, da Jacobin Italia e dal New York Times, per affrontare un altro tema, dopo quello della figura di Draghi e dei governi tecnici: il programma che questi governi attuano.

Come dicevo in chiusura la scorsa volta, le elezioni 2018 in Italia furono vinte da due partiti populisti ed euroscettici.
La legislatura si aprì con Mattarella che rifiutò un ministro euroscettico (cosa su cui ebbi qualche riserva già allora), e si chiude con un governatore della BCE a fare il capo del governo e le riforme richieste dall'Europa per il PNRR.

Draghi è la quintessenza del TINA: there is no alternative.
La strada è segnata, non ci sono alternative, e sarà così anche per il prossimo (?) governo Meloni, che non per nulla si sta già caratterizzando come fiera atlantista e persino attenta al bilancio.

Questo meccanismo a suo modo "funziona" e "fa funzionare" le cose.

A me può anche piacere, perché sostanzialmente concordo con un ragionevole status quo, ma prima o poi dovremo chiederci quanto sia democratico.

 Io ho l'impressione che tra la gente che vota partiti populisti e "di pancia", oltre a una parte di zoccolo ideologico, ci sia una forte componente di gente che di suo non sta male, ma che vede che le cose progressivamente vanno peggio, che i figli fanno fatica e che devono aiutarli di tasca loro eccetera.
Questa fascia manifesta il suo disagio e la sua preoccupazione votando partiti che in qualche modo contestano lo status quo, anche se in modo sguaiato (e magari indicando facili capri espiatori).

Mutuo questa riflessione (da qui):

Dalla Direzione Pd emerge che il pareggio non è contemplato: esiste un bipolarismo valoriale tra progressisti e conservatori?
Io non mi sentirei di definire la destra di oggi una destra conservatrice.
Vi sono molti altri aggettivi con i quali la si può definire, ma la partita non è tra progressisti e conservatori.
La partita è fra quella che si potrebbe definire élite alto-borghese che propone la permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati; e una vasta platea di Italia, diciamo così, piccolo borghese, portatrice di disagi, malumori, interessi settoriali, meno coinvolta nella dimensione valoriale, illuministica e programmatica, che viene fatta propria dal centro sinistra. Un’Italia più interessata alla difesa del tenore di vita, del proprio piccolo business e a far valere la propria protesta, non sempre immotivata, sia ben chiaro.
La destra i voti li prende sulla base del fatto che i problemi sono reali e a quei problemi il centro sinistra non dà (per ora) soluzione.

Chi anela confusamente a un cambiamento non aspira certamente alla "permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati"*.

Il problema è che uscire dagli schemi di questi circuiti internazionali collaudati (la maggioranza Ursula, il capitalismo, l'atlantismo ortodosso, il progressismo solo nei diritti individuali) è ad oggi impraticabile.
Mi pare lo stesso muro di gomma su cui si schiantò Tsipras, su cui si è schiantato il Conte I (ricordiamo la pantomima del deficit al 2.4% che diventò 2.04%...), su cui si schianta regolarmente ogni voce eterodossa.

Quindi si entra in un circolo vizioso per cui in poco tempo emergono altri partiti populisti, si allarga l'astensione, e per far fronte a questo si coalizzano maggioranze di "responsabili" (la maggioranza Ursula) né di destra né di sinistra, e via dicendo. Con il rischio che un giorno il ballottaggio in Francia sarà tra Le Pen e Melenchon.

Questo non vuol dire che bisogna votare per gli eterodossi, o che hanno ragione loro; ma che prima o poi bisognerà porsi il problema della democratizzazione delle istituzioni che incarnano questi "circuiti politici" ortodossi, come per esempio la Commissione europea e la catena decisionale di Bruxelles.

* questo tra l'altro dipinge il PD come un partito sostanzialmente conservatore; non per nulla ha la sua base elettorale tra i garantiti, i pensionati, i dipendenti pubblici, le ZTL: gente che sta bene e non anela a cambiamenti, ma solo aggiustamenti con il "cacciavite" (cit. Letta).

giovedì 28 luglio 2022

Tradimento della democrazia?

Propongo due letture simili, seppure provenienti da posizioni molto distanti, della attuale situazione italiana.

La prima lettura proviene da sinistra, da Jacobin Italia. Ho provato a isolare delle citazioni interessanti, ma dovrei citare praticamente tutto... leggetelo, ne vale la pena.

La seconda proviene da un opinionista conservatore del New York Times.

Mi sembrano due letture entrambe molto interessanti, e sostanzialmente convergenti.

I governi tecnici, proprio come il votare raramente di cui ho già parlato, sono un unicum italiano. In tutti gli altri Paesi avanzati, con qualsiasi sistema elettorale, il capo dell'esecutivo è sempre un politico passato dal vaglio popolare attraverso le elezioni. I governi cosiddetti "tecnici" sono una peculiarità tutta nostra.
Si noti che pure Conte era esterno al Parlamento, seppure di area 5 stelle e già indicato dai grillini nella presunta squadra ministeriale.

Io li ho pure apprezzati, per il loro operato, fin da Ciampi e Monti, ma ora comincio a chiedermi se non siano una prassi troppo distorsiva della democrazia.
Come abbiamo visto, questi governi deresponsabilizzano la classe dirigente. Dopo Monti, il colpevole del disastro precedente - Berlusconi - limitò i danni e quasi rivinse le elezioni (!!!). Ora Lega e M5S hanno l'occasione di mascherare il loro fallimento.

Ma questo attiene alle questioni "pratiche": diciamo che a breve termine il governo tecnico "funziona", ma fa danni a lungo termine. Uno può preferire il piatto della bilancia che preferisce.

Mi interessa di più il lato dei princìpi.

La questione del premier non eletto dal popolo, evidenziata anche nell'articolo americano, è una deformazione dell'autore che guarda con le sue lenti, ma Draghi è un po' di più: è la sublimazione della mancanza di mandato popolare.
Perché noi non eleggiamo direttamente il presidente del Consiglio, e fin qui tutto bene.
Ma anche perché è un tecnico e non un politico eletto in Parlamento (eccezione tutta italiana, come già detto) e
perché è espressione di un Parlamento in cui il risultato elettorale era stato diametralmente opposto, con la vittoria di due partiti anti-sistema e il peggior risultato di sempre del partito più pro-sistema e più pro-Draghi, il PD.

Tutto questo, che è naturalmente legittimo costituzionalmente, discutibile politicamente, stride ancor di più quando, come dicono gli articoli, si parla di "Italia tradita", "populist coup" (che sarebbe colpo di stato), "vergogna", minaccia per la democrazia, di solito nel caso in cui vinca l'avversario politico.

venerdì 22 luglio 2022

I serbatoi vuoti

Sono rimasto completamente sorpreso da questa crisi di governo.

Il comportamento dei partiti è stato incredibile.
Durante la giornata di mercoledì, sia la Lega che il M5S hanno avuto l'occasione di sparigliare, votando la fiducia al governo dopo l'annuncio della sfiducia da parte della controparte.
Il governo sarebbe difficilmente andato avanti comunque, vista la totale crisi di fiducia (non in senso tecnico, in senso "umano") che si era creata; ma avrebbero avuto l'occasione di lasciare il cerino in mano agli avversari.

Invece hanno fatto a gara per prendersi quel cerino. Una cosa incomprensibile.
L'ennesima conferma che abbiamo una grossa crisi di qualità della classe politica.

Il problema è che la classe politica è espressione della società civile. Io ormai non credo più alla presenza di una società migliore dei suoi politici; o meglio: non credo che questa - se esiste - possa esprimere dei politici migliori. Non a breve termine

Mi spiego: non credo alla società civile che si sveglia un mattino e vuole entrare nel Palazzo.
Non funziona, fare i politici non è una cosa che si improvvisa.
Lo stesso Draghi ha mostrato di fatto che non è un politico, e questo lo ha reso anche poco compatibile con il Palazzo.
In fondo, l'idea di portare i "non politici" in Parlamento non è certo nuova, data almeno a Forza Italia, poi ha attraversato Scelta Civica e il M5S: tutti fallimenti.

E la società civile siamo noi tutti.
Siamo noi che dovremmo avere il coraggio di fare politica impratichendoci fin da giovani.
Invece quasi nessuno lo fa più, non si trovano i sindaci, i candidati per i consigli comunali, non si trova chi si tesseri a un partito. Me compreso, si intende, me l'hanno chiesto più volte ma ho sempre pavidamente rifiutato.

Il problema della politica è stato lo svuotamento dei serbatoi dopo il "riflusso" degli anni '80, coronato in negativo da Tangentopoli.
Quel senso di rigetto che si è creato è la colpa storica più grande della prima repubblica, ancora più del debito, secondo me.

Ho in mente Alessandro Barbero che descrive come quando lui era giovane fare politica, avere una posizione, prendere una tessera (!!!) era perfettamente normale, era strano non farlo.
Oggi, se qualcuno entra in politica, nella sua cerchia c'è sempre qualcuno che inizia a guardarlo con diffidenza. Abbiamo paura di schierarci e di essere etichettati. Non ci si sbilancia. Magari lo si fa a tavola con amici e parenti, ma non pubblicamente.

A ciò aggiungiamo che anche la società civile al di fuori della politica non gode di buona salute, i corpi intermedi "pre-politici" (sindacati, ACLI, ARCI, associazionismo "impegnato") non esistono più.

I frutti avvelenati di una società atomizzata e individualista.
So che per molti una grossa parte di colpa è di berlusconi. Secondo me - l'ho scritto più volte - la sua colpa storica è quella di avere cannibalizzato il centrodestra, impedendo di fatto l'emersione di una destra conservatrice "seria" ed "europea"; una destra come quella di Cameron, o dell'ultimo Fini, come intenzioni.

Ma il motivo di fondo è più antropologico. Berlusconi è l'edonismo anni '80, è figlio, e non padre, dell'individualismo commerciale.

lunedì 18 luglio 2022

La crisi del governo Draghi

Sulla attuale crisi di governo (?) causata dal mancato voto del M5S sul Dl Aiuti, la miglior analisi che ho trovato è quella di Piero Ignazi per il Milino.

Draghi non ha mai sopportato, comprensibilmente, la politique politicienne.
Il suo mandato era esaurito, per sua stessa dichiarazione, con la fine dell'emergenza e l'instradamento del PNRR.
Voleva andare al Quirinale, stare lì a gestire le (prevedibilissime) fibrillazioni pre-elettorali non gli garba.

Conte gli ha dato una scusa, ma non è stato il primo né sarà l'ultimo, in questi prossimi mesi, a fare i capricci.
Un mese fa Italia Viva si è astenuta (non assente, astenuta) sulla riforma della giustizia.
La differenza è che a Renzi è stato fatto il favore di non porre la fiducia, nonostante le richieste di parte della maggioranza; a Conte inveceno, nonostante la mattina del voto se ne parlasse.
E in precedenza la Lega ha introdotto molti distinguo, dal green pass alle concessioni al catasto, con tanto di ministri che non si presentavano al consiglio dei ministri.
Forza Italia e Lega hanno votato più di una volta in aula con Giorgia Meloni.
Il PD ci mette del suo in maniera più sottile, continuando a presentare in aula provvedimenti di parte (ddl Zan, ius scholae, cannabis) che, al di là del merito, sono notoriamente inaccettabili per una parte della maggioranza.

In tutto questo panorama di dispetti e dispettucci, i grillini sono i più "ingenui", si muovono come elefanti in cristalleria e mancano delle finezze degli altri; quindi hanno finito per far traboccare il vaso.

Io spero che Draghi faccia un gesto di responsabilità e resti a bere l'amaro calice fino in fondo, se no toccherà a qualcun altro (Franco? Amato? Cottarelli?).
Sarebbe bene che finisse ciò che lui e Mattarella hanno iniziato.
In fondo se sei il migliore è ora che lo devi dimostrare, non solo quando vieni osannato a reti unificate.
Più o meno quello che, con parole gentili, gli ha ricordato Mario Monti sul Corriere: hai voluto la bicicletta? Pedala fino in fondo.:

domenica 17 luglio 2022

Quanto votare

Le dimissioni di Draghi, giustamente respinte da Mattarella, hanno aperto una crisi istituzionale, vedremo nei prossimi giorni se piccola o grande.

Nel merito, non mi esprimo ora, ma lo farò in altra sede. Per ora preferisco mettere giù alcuni pensieri che mi frullano in testa da un po'.

In Italia, nel nuovo millennio, si è votato 5 volte, per una durata media delle legislature (esclusa la corrente) di 4,45 anni. Una sola volta si è giunti allo scioglimento anticipato delle Camere (2008).

Nessuno in Europa ha votato di meno di noi. Tra i grandi Paesi, in Germania hanno votato 6 volte (durata media legislatura: 3,8 anni); in Inghilterra 6 volte (durata media: 3,6 anni); in Spagna 7 volte (durata media 2,5 anni); in Austria 6 volte (durata media 3,4 anni); persino in Polonia (6 volte, 3,6 anni) e Ungheria (6 volte, 4 anni), famigerate "democrazie illiberali", si vota più che da noi.
L'unica eccezione è la Francia, con il suo sistema semipresidenziale in cui le elezioni legislative cadono ogni 5 anni fissi, in concomitanza con le presidenziali, con cui si sceglie una specie di "monarca elettivo".

Ricapitolando, nessuno in Europa vota così raramente. Certo, non si vota ogni due anni, ma in molti posti le elezioni sono ogni 4 anni (e non ogni 5) e si è più aperti a interruzioni anticipate della legislatura.

Si può pensare che la stabilità sia un bene, ma mi pare che specialmente in quest'ultima legislatura la stabilità - o meglio: il rifiuto delle elezioni, ché i governi non sono così stabili - sia diventata un bene assoluto, da perseguire ad ogni costo.

C'entrano varie cose, la personalità dei due Presidenti della Repubblica succedutisi (in maniera oltremodo "stabile" anche loro...); le convenienze dei partiti, per cui a qualcuno sembras empre convenire il rinvio delle elezioni; magari anche le convenienze dei parlamentari, che maturano i requisiti pensionistici solo dopo 4 anni e 6 mesi di legislatura.

Ma questo cozza con un fatto che notiamo tutti: l'evoluzione del panorama politico è sempre più rapida, quasi vorticosa. I leader e gli apprezzamenti dell'elettorati - anche certificati da elezioni locali o europee - cambiano spesso.

Questo comporta che, rispetto alla rappresentanza elettorale, forse le legislature siano troppo lunghe.

Cinque anni di Parlamento bloccato sono troppi. Dopo metà legislatura la situazione non rappresenta più il Paese, i parlamentari sono scollegati dall'opinione pubblica, e hanno sempre più stimolo al mantenimento della poltrona.

E' almeno la terza legislatura che finisce in modo totalmente scorrelato dalla realtà che dovrebbe rappresentare.
La legislatura 2008-2013 finì con il governo Monti con tutti dentro per salvare la baracca, con dinamiche simili alle attuali (i partiti sostengono il governo ma in realtà non ne apprezzano i provvedimenti, e li contestano).
La legislatura 2013-2018 iniziò con un Parlamento col PD bersaniano maggioranza assoluta alla Camera grazie alla legge elettorale, attraversò la fase renziana, finì con un Renzi politicamente moribondo. Il tutto con un parlamento sempre eletto da Bersani e con Lega e M5S forti nel Paese e sottorappresentati.
A questo giro lo vediamo, i gruppi parlamentari di FI contano il triplo della Meloni e quanto il PD, e per anni abbiamo avuto una Lega molto sottorappresentata.

Questa situazione innesca un circolo vizioso: visto che l'elettorato ha cambiato orientamento, chi aveva vinto le elezioni precedenti non ha convenienza a tornare al voto, e si creano degli ircocervi tra incompatibili, come è successo praticamente per tutta questa legislatura.

Sto cominciando a cambiare idea sui governi tecnici: una volta li apprezzavo, ora invece temo che siano diventati il segno che la legislatura è decotta. Sono una peculiarità tutta italiana, ma permettono ai partiti di deresponsabilizzarsi completamente. Ma non mi pare ci siano strumenti costituzionali per evitarlo.

Dal punto di vista elettorale, parlando per ipotesi di scuola, si potrebbero implementare meccanismi di progressiva correzione, come per esempio rinnovare un terzo del Parlamento ogni due anni, per mediare tra le esigenze di stabilità e rappresentatività.
In questo modo il mandato intero sarebbe di sei anni, e un cambio di segno dell'elettorato dovrebbe essere confermato almeno due volte per portare a un netto cambio di segno delle Camere. D'altra parte saremmo chiamati al voto più spesso.

***

In tutto ciò, votare a sei-sette mesi dallo scioglimento naturale delle camere mi pare abbia veramente poco senso. Non è una tragedia, per carità, altri Paesi hanno votato in quetsi anni di pandemia e PNRR, anche con elezioni anticipate. Ma a questo putno tanto vale finire il lavoro, se si riesce.
Ma, come detto, ne parlerò fra qualche giorno.

lunedì 27 giugno 2022

Arbitro venduto!

Naturalmente* la notizia del momento è la sentenza della Suprema Corte USA che riporta n capo ai singoli Stati la competenza sull'aborto, annullando la famosa sentenza Roe vs. Wade del 1973.

Nel merito, non ho la competenza sufficiente per avere un parere.
Abbiamo due Corti che leggono la stessa Costituzione e dicono una che essa garantisce l'aborto a livello federale, l'altra che essa non lo fa.
Come faccio a farmi un'idea del fatto che la corte ideologizzata sia questa, quell'altra o tutt'e due?
A naso: più probabile che lo siano entrambe, mi pare difficile che una costituzione settecentesca dica qualcosa di definitivo sull'aborto.
La risposta corretta alla domanda "l'aborto è costituzionale secondo quella Costituzione?" probabilmente è "né sì né no, non ne parla, vedetevela legislativamente". Semmai si può osservare che tra le due sentenze, quella più vicina a questo spirito è l'ultima. Ma non so se sia una risposta costituzionalmente accettabile, se la Corte deve invece prendere una posizione, non so come funzioni negli USA, on so se la sentenza precedente fosse inattaccabilmente fondata, sono ignorante.

Ma mi interessa di più il discorso più ampio. La Corte Costituzionale è in teoria l'arbitro ultimo del sistema, dovrebbe essere super partes, il meccanismo stesso dell'elezione a vita è pensato per svincolarla dalla contingenza politica.

martedì 7 giugno 2022

A case of conscience

Ho appena finito di leggere A case of conscience, titolo originale del libro tradotto in italiano come Guerra al grande nulla, di James Blish.

Mi sono avvicinato al testo spinto da recensioni molto positive.
In realtà mi pare che, come capita spesso con la fantascienza (ne avevo già scritto un mese fa), il libro sia più significativo che bello.

Il libro parte un po' lentamente per la prima quarantina di pagine, poi c'è una spettacolare accelerazione. Da notare che, come già in Ursula Le Guin, il libro diventa appassionante per le elucubrazioni "ideologiche" e, in questo caso, religiose piuttosto che perché succede qualcosa.

Quando qualcosa comincia a succedere, invece, secondo me il libro si perde un po'. Egtverchi è un personaggio troppo estremo per essere vero, è un personaggio senza morale (gli mancano sia quella lithiana che quella cristiana, forse?), o addirittura antimorale. I suoi metodi di azione sono interessanti, ricordano quelli di "cattivi maestri" come Cirillo in Agorà: non aizza esplicitamente alla rivolta, ma lo fa subdolamente, tenendosi le mani pulite ma creando le condizioni perché le cose vaano in un certo modo.

Quello che manca completamente è però un movente. Sia per lui che per l'altro "cattivo", Cleaver.

La conclusione, che lascia in sospeso ciò che sia accaduto, è invece la scelta giusta per un dilemma etico/teologico che merita di restare irrisolto.
Riguardo a questo dilemma, trovo molto interessante l'approccio usato da Blish, ma non sono del tutto convinto che la impostazione da lui proposta, e messa in bocca a Ruiz-Sanchez, sia l'unica possibile.
La capisco, e non la sottovaluto, partendo dal presupposto che il Maligno agisce; ma non credo che sia l'unica interpretazione possibile.

Nell'introduzione Blish asserisce di essersi informato sulla teologia riguardante i mondi alieni, che prevederebbe solo tre vie (mondi senza esseri razionali con anima; mondi con esseri con anima e peccato; mondi con esseri con anima e senza peccato), e secondo lui Lithia non ricade in nessuna delle tre fattispecie. A parte che secondo me assomiglia alla terza, dubito che le situazioni si possano ipoteticamente incasellare così rigidamente.

Volendo rimanere ai dilemmi teologici spaziali, ho trovato migliore La stella di Arthur C. Clarke (qui in italiano, con una curiosa omissione rispetto alla versione inglese), novella che gode di un finale fulminante.

Ultima nota: come per la citata Le Guin ne I reietti di un altro pianeta, anche in questo caso quando un autore di fantascienza "disegna" una società in qualche modo "ideale" la prima cosa che toglie di mezzo è la famiglia.
Forse perché la famiglia monogamica ha tratti di "chiusura" ed "esclusività" che possono alimentare egoismo e contrasti (chi non lotterebbe per il vantaggio dei propri figli?), che generano comunque un "noi" inevitabilmente contrapposto a un "loro", ma è una cosa che a me pare abbastanza distopica.

domenica 29 maggio 2022

E' finito il Giro

...dopo essere cominciato ieri, si potrebbe dire.

Impressioni varie sul Giro d'Italia 2022.

1) Fortuna che Hindley ha staccato Carapaz, questo Giro è diventato migliore del famigerato Giro 2012 negli ultimi 3km della penultima tappa. Ho avuto il terrore che arrivassero insieme.

2) Landa ne aveva di meno degli altri due, si vedeva da un paio di giorni. Ha sempre fatto tirare la squadra, ma a ritmi "di controllo", che non recuperano niente sulla fuga, cosa successa praticamente in tutte le tappe dure, e che non ricordo negli anni scorsi, veramente una cosa strana.

3) Ciò detto, Carapaz deve ringraziare Hindley di essere partito solo in quel punto. Se fosse partito 1km prima Landa sabato gli avrebbe soffiato anche il secondo posto, da quanto è scoppiato. (Certo che Landa va proprio piano a cronometro)

4) Ho sentito magnificare la tattica Bora, Kanma era al posto giusto, ma secondo me sarebbe comunque finita allo stesso modo: Hindley è andato via con una gamba migliore e a quelle pendenze non sono i 200 metri fatti dietro a Kanma a farti guadagnare qualcosa. Kanma è servito più che altro come botta morale a Carapaz.
Ma in generale i gregari si sganciano per avere aiuto in pianura, discesa o salite pedalabili e per attaccare più da lontano, a Malga Ciapela negli ultimi 3 km servono relativamente.

5) Sono arrivate 10 fughe, se non ho contato male, su 19 tappe in linea. Una volta ne arrivavano 5 o 6, leggevo le statistiche su Procyclingstats. Il calo di ciclisti per squadra ha dato una mano, inoltre sappiamo che negli ultimi anni le fughe hanno imparato a gestirsi e tenere qualcosa nel serbatoio, come successo a Treviso e quasi a Cuneo. E' anche piacevole e divertente.
Ma che da dietro non si recuperi nei tapponi mi pare una novità, una volta la fuga in montagna arrivava perché all'inizio il gruppo mollava a 10 minuti e poi qualcuno arrivava con 2, ora il gruppo insegue, tiene a 5-6-7 minuti e poi la fuga arriva comunque con 2'30''...

6) Nibali e Valverde hanno una difficoltà "esistenziale" a correre per le tappe, ovvero a lasciarsi staccare. Sempre lì a resistere finché riescono. Valverde una volta ci ha provato, Nibali porta a casa un quarto posto ma a 9 minuti, frutto più dei ritiri che un quarto posto combattuto tipo quelli che furono di Almeida, Pinot o Kruijswjk. Comunque solo applausi alla carriera.

7) Tutto ciò detto, è stato un Giro divertente quasi in ogni tappa, animato da Van der Poel, Girmay e dalle fughe che se la sono data di santa ragione con gente di buon livello. Persino delle tre volate di Demare, due se le è dovute conquistare.
Raramente (mai?) ricordo una dicotomia così marcata, tappe belle belle e classifica generale brutta brutta.

8) Classifica vinta da un Hindley che ha colto l'occasione di un Giro disegnato su misura per uno scalatore puro: arrivi in salita sulle due montagne più dure, pochissima crono e per di più spezzata.
Vedremo negli anni prossimi se avrà altre occasioni così ghiotte, e/o se si confermerà su questi livelli anche in corse meno tagliate dal sarto.
Intanto ha dimostrato che il 2020 non era una "one hit wonder", è già tanto. Per ora sembra che non sia un Hesjedal, per tornare al Giro 2012 da cui ero partito...

9) Parlando degli assenti ritirati (che comunque "hanno sempre torto", come si dice): per Miguel Angel Lopez vale quanto detto per Hindley: sarebbe stato un Giro ideale. Arrivi in salita, poca cronometro, per lui anche poca discesa complicata. Però il colombiano pare uno che una giornata storta la infila sempre, tipo Yates.
Bardet invece non vedo come sarebbe potuto uscire dai primi 4, probabilmente 3.
Almeida: non era il suo Giro, per motivi diametralmente opposti a quelli sopra. Visto il rendimento sul Santa Cristina, prima degli effetti del Covid, in un Giro prima o poi disegnato tipo 2017 (ma sono rari) per la vittoria ci sarebbe anche lui.

mercoledì 25 maggio 2022

Striscioni scudetto

Leggo che la FIGC apre un'inchiesta per lo striscione "La Coppa Italia mettila nel culo" passato da alcuni tifosi a Maignan e Krunic durante i festeggiamenti per la vittoria del campionato.

A me pare un'esagerazione, come esagerate sono state in generale le reazioni.

E' stata una caduta di stile? Sì.
E' maleducazione? Pure.

E' un'offesa? Mah.
E' un insulto?

Un insulto è "sei una testa di c", oppure "figlio di p", o "interisti tutti pezzi di m".

Quello striscione non se lo prendeva con nessuno in particolare, citava una circostanza chiaramente riconoscibile ma anche molto generica, all'interno di un contesto rilassato e caciarone.

La maleducazione non è sempre un reato, né una cosa automaticamente sanzionabile, per fortuna.

Prendersela con quello striscione mi pare un eccesso di attenzione. Qualcosa di simile al "politicamente corretto" che vuole espungere qualsiasi asperità dal linguaggio, smussarlo, edulcorarlo; qualsiasi conflitto dalla vita.

Detto ciò, complimenti al Milan.
Resto dell'idea che l'Inter fosse complessivamente più forte, e in effetti anche l'Inter, considerata la perdita dei pezzi da 90 Lukaku e Hakimi, ha fatto un bel campionato e tanti punti.
Ma il Milan è stato sul pezzo e non ha mai perso un colpo nelle ultime giornate, quando doveva vincere.

Vista da "fuori", è stato uno spettacolo piacevole.