lunedì 30 dicembre 2019

Resipiscenze

Ho letto il giornalino comunale natalizio.
Così ho imparato che non avremo più il museo dedicato a Domenico Ghidoni dietro la chiesa, in partenariato con la Parrocchia, che custodisce alcune opere dello scultore da inserire in un percorso unico, secondo il progetto presentato sul giornalino natalizio 2018 e su cui anche le scuole avevano lavorato. Il museo dovrebbe traslocare nel novello polo culturale, a Villa Presti.
Quindi ho imparato anche che Villa Presti non ospiterà più il "polo sanitario"come da progetti lungamente presentati, fin dalla campagna elettorale. Questo finirà nei locali dell'ex cinema Astra, insieme a un'altra farmacia comunale.
Non ho le competenze e le informazioni necessarie per farmi un parere sull'operazione degli studi medici associati alla farmacia. Così a occhio mi pare che si faccia un piacere a dei privati: non possono consorziarsi e comprarlo direttamente loro, l'Astra? Come fecero i medici che ora stanno al centro medico S. Giorgio? Ma può essere che io mi stia perdendo qualcosa. Certamente se tornasse l'ASL, in quei locali, sarebbe un bel colpo.
Allo stesso modo spero che il business plan sulla opportunità di una nuova farmacia comunale sia fatto bene: non capisco come possa essere redditizia una quinta farmacia sul territorio, se è vero che già ora la farmacia comunale cala gli introiti. E' vero che una volta la farmacia comunale era il 50% dell'offerta locale, ora è il 25%, con un'altra farmacia comunale si torna al 40% dell'offerta, ma con costi raddoppiati.
Certamente un "polo sanitario" è molto più sensato all'Astra , per il parcheggio e per l'assenza dei vincoli posti da un immobile di pregio artistico quale Villa Presti.
Quanto al museo, è ovvio che a questo punto se resta sul groppone una Villa Presti vuota vada messo lì, pur perdendo la continuità con le opere del Ghidoni (minus non da poco).
Certo a questo punto restano parecchie perplessità sull'acquisizione di un immobile problematico come Villa Presti.
Comunque, più in generale, non so cosa pensare su questi frequenti cambi di posizione in corsa dell'amministrazione. Qualcosa di simile era già avvenuto con la questione Esselunga, quando dopo mesi di "non dobbiamo un centesimo a nessuno!" si era accomodata la questione con una rinuncia economica.
Segno di una maggioranza che sa cambiare idea? Di elasticità mentale? Di progetti sbagliati già in precedenza, come più d'uno aveva già fatto notare? Di capacità di cogliere le opportunità? Di navigazione a vista? Di annunci iniziali fatti troppo presto, magari annunci elettorali, senza nulla di concreto dietro?
In ogni caso, è vero che la soluzione nuova somiglia molto ai programmi elettorali delle opposizioni. Sarebbe carino e corretto ammetterlo.
A questo punto, io continuo a sperare che anche in una costruttiva resipiscenza sulla questione piscina, annunciata e riconfermata per il 2020 sul giornalino di S. Giacomo. Che il giornalino del prossimo luglio possa portare novità al riguardo?
Comunque, pare che come sempre ci avviamo a una seconda parte di mandato di grandi inaugurazioni, anche di progetti annunciati nella campagna elettorale precedente. Poi la gestione di queste inaugurazioni, dalla piscina alla farmacia, e degli eventuali problemi, toccherà all'amministrazione successiva.

domenica 29 dicembre 2019

I ministri

Due ministri dell'istruzione (ok, uno per la scuola, uno per l'università) non si vedevano da Fioroni & Mussi, governo Prodi II, che doveva accontentare una miriade di partiti.
Diciamo che la similitudine non depone a favore...

martedì 24 dicembre 2019

Allergia alla verità (2)

Leggo sul blog di Aldo Maria Valli questo articolo.
Il pezzo è lungo, e per la maggior parte divaga su posizioni che non condivido. In particolare mi pare che sia molto parziale nello scegliere le citazioni evangeliche: i "segni dei tempi" e "non giudicate, se non volete essere giudicati", o "con la stessa misura con cui giudicate sarete giudicati", dove li lasciamo?
Mi interessa però questo estratto:
Ora credo che la domanda che ogni cattolico deve porsi sia la seguente: ma Gesù dialogava? La risposta è no. Gesù non dialogava. Gesù insegnava. Ecco il punto. A causa della crisi dell’idea di Verità, crisi che la Chiesa ha acquisito dal mondo e fatto propria man mano che è andata secolarizzandosi, i pastori hanno smesso di insegnare e si sono messi a dialogare. La crisi dell’idea di Verità ha infatti innescato la crisi dell’idea di autorità, con tutte le conseguenze che ben conosciamo.
Questa parte è interessante, e riguarda quanto scrivevo qui. Ricordo di aver letto su (forse) la biografia di Paolo VI che il suo dialogo con il mondo non era tanto bidirezionale, quanto un imparare a conoscersi reciprocamente. Non per assumere la posizione del mondo, ma forse per spiegare bene la Chiesa, nella fiducia che un uomo che incontra la Chiesa per come è realmente finisca per abbracciarla.
Tutto ciò probabilmente non è il dialogo nell'accezione corrente del termine, che intende Valli e che Valli sostiene che anche la Chiesa abbia abbracciato.
Però mi sovvengono altri tre punti. Ricordo quando il prof. Savagnone spiegava che se non si ha una verità in testa, e se non se ne è convinti, il dialogo è inutile. Se tutte le "verità" sono uguali, è inutile che discutiamo: ciascuno resterà della sua. Possiamo discutere solo se siamo convinti che la nostra verità possa essere vera anche per l'altro, e se siamo disponibili a verificare perché non risulta così.
Questo approccio mi sembra compatibile sia con quello di Paolo VI che con quello di Francesco, cioè che la fede si propaga per attrazione. Abbiamo bisogno di testimoni, non di maestri; testimoni che testimonino la Verità.
Inoltre ricordiamo che la Verità non è la Dottrina, per quanto importante. E' Gesù.

giovedì 19 dicembre 2019

Il Giuseppe misericordioso

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. [Mt 1,18-19]
Questo è il Vangelo di mercoledì, che poi prosegue con la visita dell'angelo a Giuseppe.
Giuseppe in questo caso si mette "contro" la legge, nel senso che decide di non denunciare Maria, sapendo le conseguenze che il fatto può avere.
Questo prima che arrivi l'angelo: Giuseppe rinuncia a denunciare Maria, pur avendone il diritto.
La giustizia dei giusti non è fatta solo di denuncia, ma anche di perdono; la saggezza dei giusti è saper discernere quando è opportuna l'una o l'altro. Il giusto, poi, sa ascoltare il messaggio di Dio in questo senso.
Questo è un esempio che chi è troppo rigido - come me - dovrebbe sempre tenere a mente.
Un esempio di una situazione in qualche modo simile lo riporta Luigi Accattoli nel suo blog.
Un altro esempio è quello letterario del vescovo Myrel con Jean Valjean in quel capolavoro che è Les misérables.

Aggiunta di domenica 22 dicembre.
Dopo aver risentito il passo anche oggi, mi pare che Giuseppe dica qualcosa anche a tanti coniugi moderni, sulla gestione delle crisi familiari. Al di là del fatto di com'è andata a finire dopo l'intervento dell'angelo, c'è un Giuseppe che si crede cornuto, e non mette la cosa in piazza, non è animato da desiderio di vendetta, non desidera il male della (quasi) moglie.

mercoledì 18 dicembre 2019

Allergia alla verità

Sono reduce dal "ritiro" diocesano di sabato scorso per persone impegnate nel sociale e nel politico.
L'intervento principale è stato tenuto da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; a contorno ha parlato anche il nostro Vescovo. Il tema era la biodiversità e la sostenibilità per le future generazioni, ma gli interventi hanno divagato parecchio, in maniera piacevole.
Metto giù alcuni appunti, conditi da una serie di pensieri miei.
Tarquinio ha lavorato su due famose citazioni, "Il politico pensa alla prossima elezione, lo statista pensa alla prossima generazione" (James Freeman Clarke feat. De Gasperi) e "Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere" (Aldo Moro).
Il discorso è partito dal clima, da Laudato sì, dalla casa comune, ma poi - come detto - si è ampliato. Si è toccato il ruolo dei giornali e dei social network. Oggi la gente si informa spesso su internet e Facebook, social network*, e lì trova di tutto: notizie che confermano ciò che si vuole sentir dire, notizie false.. Allora ho pensato al fatto che la verità non va di moda: in fondo anche il negazionismo climatico è una negazione della verità. E ho ripensato a Benedetto XVI, che intitolò la sua enciclica sociale Caritas in veritate, e che sulla lotta al relativismo ha fatto una battaglia. C'è un nesso tra il rifiuto della Verità da parte del mondo moderno e il rifiuto della verità spiccia, quella dei fatti?
Pensare di informarsi nella propria bolla è in fondo un altro elemento di quell'individualismo imperante, di un certo egoismo: cerco la notizia che mi fa star bene, che mi dà ragione. Rifiuto la responsabilità della verità, di cercarla, di impegnarmi per farlo, di poter avere torto. Rifiuto di accollarmi un dovere civile, per tornare a Moro.
Il Vescovo ha poi esortato i politici cristiani a trovare un modus vivendi con le opposizioni. Ha detto: non è che perché sono maggioranza ho sempre ragione, o perché sono minoranza allora la maggioranza ha sempre torto. Questo vuol dire relativismo? La ragione un po' e un po'? No: l'atteggiamento corretto è quello di mettersi insieme alla ricerca della verità, che in questo caso coincide con il bene comune.
Tra gli altri punti interessanti, Tarquinio ha raccontato che mentre il numero di cristiani che si dedicano al sociale cresce, il numero di chi si dedica alla politica cala, anzi il 90% dei cristiani impegnati nel sociale rigetta la politica. Secondo Tarquinio - e anche secondo me - questa è una tragedia.
Il Vescovo non ha molto raccolto l'argomento; questo si è ripresentato con l'osservazione di uno degli intervenuti, il quale ha sottolineato che la Laudato sì - in teoria il tema del ritiro - è pochissimo conosciuta dai cristiani, e si è chiesto se non sarebbe il caso di fare un lavoro più incisivo nelle parrocchie. Io aggiungo che questo vale non solo per la Laudato sì, ma per tutta la dottrina sociale della Chiesa. Il vescovo ha risposto dicendo che sarà difficile arrivare alle parrocchie**, se ho capito bene bisogna che alcuni cristiani conoscano la Laudato sì (forse quelli impegnati in politica?), mentre a tutti arrivi il senso del cambio di paradigma, di stile di vita.


* Comunque il problema non sono i social in sé, è l'uso che se ne fa: nel mese di novembre Aggiornamenti Sociali proponeva un articolo sull'uso dei social in Camerun e Gabon per proporre un controllo sulla regolarità delle elezioni da parte di gruppi indipendenti, in Paesi in cui i media sono tutti governativi.
** Questo mi ha ricordato quando, in un'altra occasione, mi aveva detto che per la dottrina sociale sui presbiteri non si può contare.

sabato 14 dicembre 2019

Luigino Bruni e la meritocrazia

Qualche giorno fa è uscito sull'inserto Buone Notizie del Corriere un articolo molto interessante di Luigino Bruni sulla meritocrazia.
Bruni fa un excursus storico ricordando che il concetto di merito era inizialmente un concetto religioso ("meritarsi il Paradiso"). Poi, così come il cristianesimo di Lutero diventò il capitalismo, anche il merito è entrato negli ultimi 30 anni nel mondo dell'economia. Un concetto di merito che però ha portato a penalizzare e colpevolizzare i più poveri.
Io sono particolarmente sensibile al concetto di meritocrazia. Ne sono affascinato, non l'ho mai nascosto, e credo che in Italia abbiamo qualche problema di mancanza di meritocrazia, non di eccesso.
Ho trovato però molto interessanti alcuni passaggi di Bruni, che mi aiutano a collocare il merito nella giusta pospettiva.
Prima cosa: se applichiamo la meritocrazia, anche supponendo di premiare davvero il merito, ci sarà qualcuno che rimane indietro. Lo scrivevo già qui quasi dieci anni fa: che ne facciamo degli esclusi?

Inoltre Bruni richiama un concetto che ricordo anche in Caritas in veritate di Benedetto XVI: anche in economia, l'imprenditore di successo è tale non solo per proprio merito, ma anche per cause indipendenti dal suo operato. A livello macroscopico parliamo di rendimenti di fornitori e/o acquirenti (quindi altre aziende), andamento dell'economia in generale, scelte del governo eccetera. A livello "sociale", le aziende funzionano meglio se c'è un tessuto di lavoratori (=persone) onesti, responsabili, affidabili, istruiti, e queste caratteristiche non sono merito del datore di lavoro.
Infine la parte per me più interessante: abbiamo sempre collegato il merito al talento. Chi è più bravo, portato eccetera a fare certe cose va premiato. Questo è un discorso molto "sportivo", campo in cui è più facile verificare il merito: il campione guadagna di più.
Però Bruni si chiede: il talento è un merito? Se uno nasce più dotato di un altro, va premiato per questo? Deve ricevere un ulteriore premio perché ha vinto alla lotteria della genetica? E se no, è invece giusto "pagare" Bolt o Messi come gli altri atleti, perché tutti fanno del loro meglio?

mercoledì 11 dicembre 2019

Truth, o del fact checking

Ieri sera Rai5 ha passato il film Truth-Il prezzo della verità.
Gran cast (Robert Redford, Cate Blanchett), ma non ne avevo mai sentito parlare. In effetti, scopro su Wikipedia che è passato piuttosto sotto traccia.
Non un film memorabile, in effetti. Ne parliamo fra poco. Però è un film che esemplifica in modo piuttosto preciso quello che scrivevo nello scorso post sul fact-checking.
Nel film, una notizia probabilmente vera (l'accusa al presidente George W. Bush di essersi "imboscato" ai tempi del Vietnam), che rimane probabilmente vera per tutto il film, forte di molte conferme indirette, logiche, verbali, "probabilistiche", viene smontata dall'opposizione perché presentata facendo affidamento su documenti di cui non si riesce a provare l'autenticità. Anzi, fino alla fine del film restano indizi sia per il fatto che i documenti siano veri (in particolare secondo il discorso finale della protagonista, Mary Mapes, che si basa sulla "logica") sia che siano falsi (la redazione "tecnica" dei documenti rende improbabile - non impossibile - la loro autenticità).
L'idea finale che il film trasmette è che il contenuto dei documenti sia vero, pur non essendo i documenti autentici ma riprodotti.

E qui ci agganciamo a quanto scrivevo nel post scorso: se fai del fact-checking devi essere inattaccabile. Piuttosto non presentare ciò di cui non sei certo al 100%.
Il discorso che fanno i protagonisti, "hanno annegato la verità sotto una pioggia di tecnicismi, pignolerie, hanno parlato di macchine da scrivere per non parlare dei fatti", è vero. Chi puntava a smontare il fact-checking ha usato una tattica a suo modo subdola, finanche scorretta: smontare una parte dell'inchiesta per delegittimarla tutta.
Però la verità è tale se è corroborata dai fatti.
Il discorso che essa supera alcune pignolerie marginali può essere accettabile qualche volta, ma è pericolosamente sulla stessa china dei fatti "non veri, ma verosimili", tipo "i musulmani protestano in via Corsica" di cui parlavo la volta scorsa.

Tornando al film, esso risulta debole proprio perché la causa che difende non è inattaccabile. E' un film "a tesi", come ce ne sono tanti. Ma di solito questi film hanno un "lieto fine", se non sulla pellicola, almeno delle sovraimpressioni finali, in cui si spiega quanto avessero ragione i "buoni", come gli sia stata fatta giustizia postuma. Stavolta le sovraimpressioni finali non rendono ragione di ciò, anzi rendono (onestamente) conto che i procedimenti giudiziari hanno dato torto ai protagonisti.
Anche sulla sceneggiatura, mi pare che ci siano alcuni buchi: come mai un'inchesta già iniziata quattro anni prima rimane nel cassetto per quattro anni e poi salta fuori all'ultimo minuto utile, senza lasciare il tempo per le verifiche? Ha senso una cosa così? Può una professionista affermata come la protagonista affidarsi a delle copie di documenti di una fonte praticamente sconosciuta? E' difficile non farsi venire il dubbio che espone anche la commissione d'indagine finale: è possibile che le convinzioni della protagonista abbiano avuto una parte nel farla propendere per l'autenticità dei documenti?
Forse l'intenzione della pellicola era solo una riflessione sul giornalismo, ma certo non si crea empatia con i protagonisti, se questi ti lasciano sempre il dubbio sulla correttezza dei loro comportamenti (basta vedere come hanno trattato la fonte).
Chicca in negativo gli osceni tentativi di traduzione dei "giochi di parole" e degli acronimi (CYA, FEA).

domenica 24 novembre 2019

Comunicazione politica e fake news

Nei giorni scorsi mi sono imbattuto nel profilo Medium di Fabrizio Martire.
Segnalo in particolare due articoli, che parlano di fake news e comunicazione politica a Brescia.
Ragioniamo sulle notizie false. Martire fa un encomiabile lavoro di decostruzione della notizia. E' un esempio di quello che si chiama fact-checking.
Però sono piuttosto scettico sul fatto che questo abbia un qualche impatto.
Dirò di più: io mi sono "raffreddato" parecchio al riguardo. Anni fa invocavo il fact-checking (d'ora in poi FC) anche in diretta nei talk show. Oggi sono molto più scettico.
Non perché non serva: servirebbe tantissimo, smontare le bugie. Il problema è che è complicato, più di quanto sembri a prima vista, e spesso bisogna poi controllare se il FC è fatto bene. Io personalmente cerco di farlo, ma so che è una cosa che non posso verosimilmente chiedere alla "massa". Inoltre dopo qualche anno di tentativi il FC è un po' screditato, come elemento "risolutivo" nei dibattiti, per molti motivi.

martedì 19 novembre 2019

Millenarismi politici

Domenica sono stato a Messa a Marcheno. La celebrazione era presieduta da don Maurizio Rinaldi, direttore dell'area pastorale per la società, in occasione dell'inaugurazione del centro d'ascolto Caritas.
Nella lunga e articolata omelia, don Maurizio ha fatto riferimento ai millenarismi, collegandoli ad alcuni avvenimenti politici: "Ogni tanto saltano fuori dei movimenti che dicono: Ho io la soluzione".
Questa similitudine mi ha dato da pensare. Credo che don Maurizio abbia ragione quando denuncia la semplificazione insita nei millenarismi: va tutto male, sta per crollare tutto, fate come dico io*. Rubo da qui questa frase:
il proscenio della politica è battuto da molti Cavalieri dell’Apocalisse che si sentono investiti da una funzione salvifica; demiurghi di una palingenesi che con la politica seria fa a pugni.
Ma credo che ci sia anche un ulteriore spunto di riflessione. I millenaristi sono convinti di vivere in tempi "speciali", particolarmente cupi, in cui non funziona niente. Mi tornano alla mente alcune conversazioni con dei testimoni di Geova, al riguardo. In ambito politico, questo si può rispecchiare in due cose: 1) nella convinzione che tutto quanto sia sbagliato, tragico, da rifare; 2) nelle previsioni catastrofistiche sull'andamento dell'ambito di discussione (che sia il paese o il Paese). "Se ci teniamo questo governo / Se sale al governo XXX l'Italia fallirà in sei mesi!".

Quali insegnamenti si possono trarre, allora, da questo parallelismo?
Per quanto riguarda l'interpretazione dei segni dei tempi, ho letto da qualche parte che è naturale per ciascuno sopravvalutare i propri tempi, e avere anche l'ambizione o la speranza che questi siano tempi speciali. E' un meccanismo psicologico. Politicamente, i tempi sono di solito speciali in negativo: "Ai miei tempi...", per non parlare di "Si stava meglio quando si stava peggio". Questo ci insegna a stare attenti alla laudatio temporis acti.
Per quanto riguarda i profeti di sventura, per stare al lessico biblico, bisogna sempre pesare queste previsioni catastrofiche. E' da un bel po' che sento che l'Italia non può sopportare i governi di Berlusconi / dei comunisti / dei grillini eccetera, eppure non siamo ancora qui. E come dimenticare le previsioni di Confindustria sul crollo del PIL con annessa invasione delle cavallette in caso di no al referendum costituzionale di Renzi?
Questo ci consola fino a un certo punto: se vogliamo essere ottimisti, diciamo che tutti i governi cercano di agire senza strafare, con un certo grado di prudenza, e pensando al bene del Paese, perciò se fanno danni sono limitati. Se invece vogliamo pensar male, può essere che le cose non crollino nonostante i governi, perché il sistema ha una sua resilienza (pensare bene) oppure perché la democrazia è così vuota che il sistema è indipendente da elezioni e politica (pensar male). Come diceva Mussolini, governare gli italiani non è difficile, è inutile...
Ciò non ci deve distogliere dal pericolo della brutta china, o della rana bollita**: se ci si abitua pian piano al male, può essere difficile percepire la soglia dell'intollerabile.
L'equilibrio tra millenarismo e apatia può essere complicato.

* So che il Vangelo di domenica era un annuncio degli ultimi tempi "serio", quindi sembra che don Maurizio ce l'avesse con Gesù, ma vi assicuro che non è così :-) Il discorso filava bene, solo non fatemi riportare mezz'ora di predica...
** che, ricordiamolo, non è scientifico, è una metafora.

venerdì 15 novembre 2019

Legge morale e cielo stellato

Nel libro che ho appena finito di leggere, Contro la democrazia, a un certo punto l'autore espone un parallelismo tra il voto e l'ecologia.
La sua intenzione è dimostrare che non ci sono incentivi al voto informato e responsabile: se uno vota "male", le probabilità che il suo voto conti qualcosa - ovvero che lui ne abbia delle conseguenze - sono bassissime. Allo stesso modo, se uno si impegna e spende tempo e impegno per informarsi, il suo sforzo non sarà gratificato da un effetto diretto.
Come esempio, Brennan parla della responsabilità ambientale. Lui dice: "anche se io domani mattina cominciassi a lasciare a casa l'auto, differenziare ogni virgola, tenere il riscaldamento a 18°, comportarmi da perfetto ambientalista, l'inquinamento globale non diminuirebbe per nulla".
Questo è vero. E' il problema di tutte quelle questioni in cui il contributo singolo è infinitesimo, e l'effetto globale è dato dal cumulo di infinitesimi per un numero altissimo di contributi. Un liceale può spiegare che zero per infinito può dare un risultato molto grande. In un certo senso è come quando tagli le tasse: tagliarle di pochissimo, di un'inezia a ciascuno costa molto caro all'erario.
Ma allora significa che per mantenere un atteggiamento ecologico bisogna cercare un'altra motivazione.
A volte possono essere le sanzioni, ma - per i comportamenti di ciascuno - quanto spesso? Qual è la probabilità che prendiamo una multa per non aver differenziato? Chi viene a controllare a quanto è impostato il termostato di casa? Mi pare che non ci sia molto spazio per agire in questo senso, a meno di trasformarci in uno Stato di polizia.
Dunque, l'ecologia dei piccoli gesti si basa solo su un rinnovato impegno morale di ciascuno.
Forse sarebbe meglio dire "etico", ma preferisco "morale": ci vuole la convinzione di fare qualcosa di buono. Questo buono è solo marginalmente per noi: seppure anche noi stessi possiamo godere dei miglioramenti ambientali, i tempi del cambiamento sono tali che si lavora soprattutto per le generazioni future. La morale dell'ecologia ci fa pensare agli altri.
E' interessante questo ritorno di moda dell'etica della responsabilità sociale.
La legge morale in me preserva il cielo stellato sopra di me, per parafrasare quello famoso.

mercoledì 13 novembre 2019

Contro la democrazia

Ho finito di leggere Contro la democrazia, di Jason Brennan.
L'ho scoperto qui. Il libro è abbastanza godibile, un po' pedante in alcune parti con asserzioni molto cautelative e spiegazioni molto legate a proposizioni logiche più che a ragionamenti. Comunque direi che alla fin fine la lettura non ha aggiunto molto all'articolo linkato sopra.
Ho trovato particolarmente interessante la scoperta, ripresa nell'introduzione di Sabino Cassese, che l'articolo 48 della Costituzione prevede già delle restrizioni al suffragio universale, e fra queste l'indegnità morale. Considerando che per i costituenti il voto è un diritto ma anche un "dovere civico" (sempre art. 48), direi che nel 1948 il concetto di voto era più equilibrato tra diritto e responsabilità. Oggi ci pare ovvio che sia un diritto, infatti abbiamo tolto praticamente tutti i limiti al diritto di voto, ma una volta c'era qualche traccia "funzionalista" nell'interpretazione della democrazia. Per esempio, fino alla legge Basaglia i disabili mentali non votavano. Oggi possiamo permetterci che votino perchè 1) sono pochi e 2) tra l'altro molti non votano nemmeno, ma se venissero meno queste due condizioni siamo sicuri che non ci porremmo il problema?
Io sono personalmente legato all'idea del voto come diritto inalienabile, ma l'idea di attribuire più voti a qualcuno (invece di togliere il diritto a qualcun altro) mi pare che non leda questo principio.
Tra le debolezze del libro, vedo che - per giustificare un'attribuzione diseguale di voti - spesso si insiste sul fatto che il voto di ciascuno pesa praticamente zero. Ma allora perché scannarsi per regolarlo?
Se il voto vale poco o nulla, inoltre, non è solo un caso statistico: vedo che anche Brennan "ammette" che spesso i governanti fanno un po' quello che vogliono, o meglio: non seguono i programmi e le promesse elettorali alla lettera perché si comportano secondo quello che "bisogna" fare, secondo i vincoli internazionali e di realtà. E questo è un bene, credo.
Però resta il problema che alcune cose di immagine a costo nullo, e quindi non sottoposte ai vincoli di realtà, si sbilanciano molto sul desiderio democratico (leggi: sulla pancia dell'elettorato): si pensi a "chiudiamo i porti", per esempio, o alla questione delle aperture domenicali degli esercizi commerciali.
Ho trovato infine molto chiara l'esposizione del fatto che la politica tende a creare delle tifoserie. Ci divide, ci rende sospettosi l'un l'altro. Più volte ho scritto che questo fatto è ciò che non mi piace della politica comunale e dell'atteggiamento che abbiamo noi cattolici nei confronti della politica / dei politici: si rovinano dei rapporti personali. Su questo dobbiamo crescere tutti, non è solo questione di populisti e democratici "classici".

sabato 9 novembre 2019

Montalbano sono

Lunedì sera ho visto una puntata di Montalbano. Poi ho appurato che era una puntata del 2013, Il gioco di specchi.
Confesso: è la prima volta. Non mi ha mai incuriosito granché.
Oltre che la prima, mi sa che è stata anche l'ultima volta.
Mamma che ciofeca. Non capisco come si possa guardare un prodotto così scadente.
Intanto, mi dà fastidio dover stare concentrato per capire quello che stanno dicendo i personaggi. Non lo trovo godibile. Troppo dialetto, troppa inflessione.
Poi mi fa specie come viene dipinta la Sicilia. Un posto dove tranquillamente si mettono bombe, si spara per strada, si ragiona come se niente fosse di faide, di avvertimenti, di omertà... Delle due l'una: se la Sicilia è veramente così, mi fa specie; se invece è tutto uno stereotipo, una macchietta, allora non si fa un buon servizio a quella terra.
Ma lo stesso discorso vale per tutti gli elementi della sceneggiatura: il carabiniere praticamente analfabeta è un'offesa per l'Arma, gli atteggiamenti delle persone sono delle "terronate" eccessive (vedi la reazione della mamma di Arturo alla sua storia con la malafemmena, o la scenetta col vecchio che non parla con la figlia, ma anche altre). Non si possono perpetuare così questi stereotipi.
Idem per i personaggi maschili: Augello e Montalbano sciupafemmine. Sempre. In ogni caso. Che immagine è? Al di là della discutibile valenza educativa, sembra di leggere del principe del Gattopardo.
Ma parliamo pure della sceneggiatura, infarcita di spiegoni per spiegare l'ovvio, di "misteri" che misteri non sono (senti una botta che fa sobbalzare l'auto, il giorno dopo trovi una pallottola nella fiancata, e non colleghi le cose?), di scenette poco o nulla credibili che risolvono situazioni. Ad esempio quando Montalbano va a pranzo, a un certo punto si affaccia alla finestra del ristorante, con fare da spettatore, e guarda caso proprio in quel momento inizia la scenetta del piatto tra camerieri, che stanno recitando in modo così naturale che sembra di vedere Montalbano a teatro. Oppure quando il collega di Montalbano va al negozio di moda e casualmente la signora Lombardo - che in quel negozio ci lavorerebbe - si mette a truccarsi in maniera vistosa e visibile. Cosa molto credibile, in vista di un incontro clandestino. Così clandestino che avviene dietro a una tenda mezza scostata.
Ma per carità.
E poi case accessibili a tutti, sempre aperte, gente che va e viene notte e giorno. Ma ceeeerto.
Alla fine mi ha preso così poco che negli ultimi minuti mi sono messo a fare i fatti miei, pur con la TV accesa, con solo un occhio a vedere distrattamente dove andavamo a parare.
Che ciofeca, veramente.

mercoledì 6 novembre 2019

Sequela e previdenza

Vangelo di oggi: Luca 14,25-33:
In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?
Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace.Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
A me pare che le due piccole parabole portate a esempio da Gesù siano piuttosto fuori posto.
Se leggiamo i versetti 25-27 e 33, il discorso fila: è un discorso sula necessità della rinuncia radicale per la sequela.
I versetti centrali, 25-32, portano due esempi che sembrano parlare invece della necessità di essere previdenti, prudenti. L'esempio del re e della guerra sembra addirittura un'incitazione al compromesso, altro che radicalità. Non vedo che c'entrino questi esempi col discorso di contesto.
Per il re si può pensare che in un certo senso "rinuncia" a ciò che è nella sua disponibilità, a usare i suoi diecimila uomini, alla guerra. Per il costruttore, invece, mi pare che addirittura si tenga i beni (i suoi soldi), invece di sperperarli.
L'unico nesso che so trovare: forse l'esortazione è a non intraprendere la sequela se non si è sicuri di poter andare fino in fondo, cioè di essere capaci a rinunciare a tutto.

lunedì 4 novembre 2019

Non l'avresti neppure creata

Dalle letture di ieri, 3 novembre (Sapienza 11,23-25):
Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento.Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata.Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza?
Questo passo riassume tutte le mie perplessità sulla dottrina riguardante l'omosessualità. Che posto ha nel disegno di Dio?

domenica 3 novembre 2019

Per cimiteri

In questi giorni, come centinaia di migliaia di italiani, sono stato nei cimiteri a visitare le tombe dei cari defunti.
Il clima non è esattamente quello più adatto al raccoglimento e alla preghiera, per via degli incontri con le altre persone convenute sul posto. Nulla di tragico: in fondo viviamo tutti di relazioni.
Però al cimitero si possono fare anche incontri di un altro tipo. Si incontrano le persone morte. Si vedono le tombe, si ricostruiscono volti, storie.
"Ah, quella dev'essere la mamma di quel mio compagno di classe".
"Questo è morto molto giovane." "Lo conoscevi?" "No, magari chiedo a mio padre, vedo che sono coetanei".
"Questo ha fatto il panettiere per decenni. Era nel negozio dove adesso c'è la profumeria".
Ho sempre pensato che i cimiteri siano una delle cose che ci rendono più umani. Perché il culto dei morti è una delle caratteristiche che ci distinguono dagli animali, pur ricordandoci che - come gli animali - condividiamo il limite della mortalità.
Ma il fatto che il culto sia portato tutti insieme è segno di relazioni, anche nella morte. Del fatto che viviamo in un paese, in una trama di intrecci, conoscenze, incontri. In una parola, di comunità.
Mi dispiace che con l'uso di portare a casa le ceneri di chi si fa cremare questo aspetto venga meno. Il culto è ritirato, personale. Ci saranno senz'altro mille motivi, affettivi, sentimentali... non voglio giudicare, ciascun caso è diverso dagli altri e ciascuno valuta liberamente la sua scelta.
Non posso comunque evitare di pensare che è un altro segno di una società che sceglie il segno dell'individualismo sopra il senso di comunità.

martedì 29 ottobre 2019

Cristiani a cinque stelle?

E niente, ci penso da quando ho scritto l'ultima chiosa a questo post:
Osservo che l'unica esperienza recente di partito nato senza un politico come leader è il MoVimento 5 Stelle. Che un leader ce l'aveva, ma non veniva dalla politica; e che nacque anche da gruppi sul territorio.
Il vescovo di Brescia, da un paio d'anni, esprime il desiderio di mettere in campo percorsi che in una prospettiva di medio periodo (non breve, ma nemmeno lungo, quindi) possano forse portare a un partito di cattolici (forse significa che non è detto che succederà, ma non lo si esclude a priori). L'ho sentito dire: "Se ce l'hanno fatta altri, perché non noi?"

giovedì 24 ottobre 2019

Suocera contro nuora

Oggi non è proprio una parabola sbagliata, quanto una curiosità.
Luca 12,49-53:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Quindi prima di Gesù suocera e nuora andavano d'accordo. Ne abbiamo anche le prove: la storia di Noemi e Rut, ma anche la storia di Pietro e la suocera. Che infatti avviene al capitolo 4 di Luca, cioè prima. Da quel momento innanzi Pietro non farà più guarire la suocera!

sabato 19 ottobre 2019

Cattolici e politica, ancora

Ho letto la riflessione pubblicata da Antiseri e Felice sulla presenza di un partito di cattolici in Italia.
Casualmente, il tema è stato affrontato anche da Occhetta nella mia precedente lettura, così come - tangenzialmente - da padre Costa su Aggiornamenti sociali.
La posizione dei due gesuiti è quella classica degli ultimi 15 anni: non è più il tempo dell'unità politica, la pluralità di opzioni è un dato di fatto.
Antiseri e Felice - per me abbastanza sorprendentemente - portano una posizione diversa, che mi pare un po' una novità.
E' vero che qualche volta la nostalgia della DC ritorna. La prima volta, a mia memoria, fu il convegno di Todi 2011 citato da Antiseri e Felice, ma quella volta l'esperienza di Monti "impaurì" le gerarchie e alcuni cattolici, che bloccarono la Todi 2 dell'anno dopo per paura che sembrasse un endorsement a Scelta Civica.* Anche la CEI di Bassetti (breve riassunto qui) si muove con molti mal di pancia rispetto ai partiti attuali, che - specie l'anno scorso - hanno portato qualche volta ad accarezzare l'idea di un nuovo soggetto politico. Per ora è rimasto tanto rumore per nulla, e un "movimento", Politica Insieme.

Non so cosa pensare, e in ogni caso non la vedo rosea.

domenica 13 ottobre 2019

Ricostruiamo la politica (2)

Ho proseguito e terminato la lettura del libro di padre Occhetta.
Sulla parte che riguarda l'immigrazione, mi pare illuminante la constatazione della perdita del senso di prossimità. Dell'abitudine alla relazione con l'altro. Mi chiedo se non c'entri la diffusione dei social, che comportano la disabitudine al rapporto personale e il contatto solo con i simili selezionati. ormai l'unico ambiente in cui ci si relaziona con estranei non selezionati è la classe scolastica da piccoli. Per il resto, Occhetta richiama le parole del Papa sull'accoglienza secondo "quanti posti si hanno". Al solito, non si spiega cosa fare se 1) la risposta è "abbiamo 0 posti" (tipo Ungheria) e soprattutto se 2) si presenta a bussare alla porta l'(N+1)-esimo richiedente a fronte di N posti. Ma non si tratta di un trattato sull'immigrazione, quindi me lo farò andare bene così.
La parte sulle riforme costituzionali mi ha un po' stupito. Quella sì che è invecchiata: le riforme proposte sono quelle della "commissione dei saggi" di Napolitano del 2013, con una certa somiglianza con quelle bocciate dal referendum di Renzi. Mi ha incuriosito vedere che in quelle bozze c'era una riduzione dei parlamentari a 450 per la Camera e 150-200 per il Senato: in questo, invece che invecchiato, il libro di Occhetta è stato premonitore...
Mi ha stupito anche leggere un appoggio - definito come naturale per la parte cattolica - a forme di sempresidenzialismo o premierato, accompagnate da un Parlamento snello. Questo nel quadro di un'auspicata democrazia dell'alternanza. Su questo sono d'accordo: abbiamo visto che - come aveva ben capito Moro - avere un partito unico "costretto" a governare per 40 anni non è stato, alla fine, positivo. Questo vuol dire che non possiamo pensare di rimettere in piedi un proporzionalone per tenere Salvini lontano dal governo, come ai tempi della conventio ad excludendum verso il PCI. Certo, c'è un passaggio più avanti in cui dice che è necessaria l'alternanza rispetto ai populisti, ma voglio sperare che il valore dell'alternanza rimanga tale in ogni caso.
Sono infine d'accordo con l'autore quando evidenzia il problema del finanziamento dei partiti (che da quando non è pubblico è ancor meno trasparente); è anche vero che vedo molto difficile oggi trovare il modo di reintrodurlo in forma pubblica. Si potrebbe forse legare il finanziamento a una nuova legge sulla registrazione dei partiti, lasciandola opzionale: i partiti che accettano le regole della legge vengono anche finanziati.
La parte dedicata alla presenza dei cattolici insiste sul lavoro prepolitico, e indica alcuni ambiti di riflessione: la vita, il carcere, il lavoro.
Lungi da me non essere d'accordo con questa impostazione, ma - come accennavo la volta scorsa - mi pare che ricostruire i corpi intermedi sia un vaste programme. Infatti non sono in crisi solo i partiti e i sindacati, ma anche tutti i corpi intermedi cattolici, dall'AC alle ACLI e via dicendo.
Come si fa a ricostruirli? Quali azioni pratiche mettere in campo? Come si crea un pensiero cristiano? favorendo le scuole di formazione? Con cicli di conferenze in ogni parrocchia? Favorendo votazioni anche per i temi parrocchiali? regalando il libro di Occhetta a tutti i parrocchiani? (scherzo ma non troppo).
Tra l'altro, anche sui singoli temi di cui parla Occhetta, mi pare che - con l'eccezione forse del lavoro - la posizione cattolica sia minoritaria nella società. Non si trovano interlocutori disposti a ragionare in termini che non siano di libertà assoluta sulla bioetica, così come è difficile che il sentiment popolare sia favorevole alle pene alternative al carcere. Anzi, su entrambi questi temi la classe dirigente ha fatto finora da "freno", ottemperando al suo ruolo di calmieratore antipopulista.
Alla fine, sulle prospettive pratiche da mettere in campo, l'autore dice che le scuole di politica sono "desuete, parziali e non dialogiche", e poi descrive un'esperienza che a me pare parecchio simile. Forse con "scuole di politica" intende quelle dei partiti?
In definitiva, un buon volume per avere un bigino delle più recenti elaborazioni del cattolicesimo democratico, ma certamente non risolutivo (come nessun volume lo può essere).
Ho comunque preferito il vecchio I cattolici e la politica oggi, di Giuseppe Savagnone.

mercoledì 9 ottobre 2019

Ricostruiamo la politica (1)

Sto leggendo Ricostruiamo la politica di padre Francesco Occhetta.
Ho letto solo la prima parte, per ora: quella in cui l'autore analizza le caratteristiche dei populismi.
Si tratta di un bel riassunto delle analisi che si fanno di solito sull'argomento. Le caratteristiche rintracciate sono quelle classiche: disintermediazione, accento sulla democrazia diretta, comunicazione emozionale, leaderismo carismatico.
Forse ho trovato poco approfondimento sulla caratteristica della ipersemplificazione, mentre ho trovato sorprendente - ma tutto sommato centrata - l'analisi sul populismo come subdola via per sostituire le decisioni politiche con decisioni "tecniche".
Ma la caratteristica su cui sono più d'accordo - e che mi preoccupa di più - è il fatto che i populismi escludono e negano legittimità a delle parti (politiche, del popolo), alle minoranze. Il populista rappresenta "il popolo", e quindi chi non è d'accordo si pone fuori dal "popolo", e quindi non è titolare di sovranità.

mercoledì 25 settembre 2019

Dalle ordinazioni diaconali

Oggi parliamo ancora un po' di preti.
Sabato sono stato alle ordinazioni diaconali.
Ho quindi avuto occasione di vedere nuovamente (come ogni anno) i futuri preti rispondere con il rituale "Lo prometto!" alla domanda "Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?".
Siamo in un periodo di grandi spostamenti e nomine, in Diocesi.
E come sempre si ripete l'edificante spettacolo dei preti che rifiutano destinazioni, suggeriscono, cincischiano, si impuntano*. Può essere che abbia già scritto della cosa, perché ogni volta mi scandalizza.
Una volta, parlando con un prete, mi diceva: "Eh, ma l'obbedienza non è mica cieca e assoluta**, incondizionata. Siamo gente che pensa anche noi. Si parla, si discute, si valuta, se vede se la richiesta è utile per il bene di tutti, della comunità ma anche della persona, e poi si decide".
Tutto molto buon senso, vero?
Bene. Proviamo a prendere la stessa frase, sostituiamo la parola "obbedienza" con la parola "fedeltà" e applichiamola al matrimonio. L'obbedienza al Vescovo è uno degli impegni solenni che i presbiteri assumono nel sacramento. La fedeltà è uno degli impegni solenni che gli sposi assumono nel sacramento.
Suona altrettanto bene, vero? La fedeltà non è mica cieca, assoluta. Si valuta, caso per caso, quello che fa bene agli sposi ma anche a come sto bene io, come mi piace.
Resto dell'idea espressa qui: a certi preti manca la fede nel sacramento, nel fatto che la grazia possa portarli a superare anche le difficoltà umane. Come a certi sposi, d'altra parte.

* E tra l'altro stupisce sempre di come queste cose si vengano a sapere facilmente. Certi preti sono delle perpetue in stile gazzettino padano. Se ne è accorto anche il Vescovo: "Tra le note negative, la mancanza di riservatezza, ma su questo si può lavorare". E tanto...
** Attenzione: "filiale rispetto e obbedienza", dice la formula. "Filiale" è il rispetto, non l'obbedienza. Anche perché l'obbedienza filiale tante volte è un ossimoro... Invece tanti preti ubbidiscono al vescovo proprio come fanno i figli adolescenti ai genitori: di testa loro.

lunedì 16 settembre 2019

Scuotere l'albero

Ovvero un mini bilancio del governo gialloverde ormai passato alla storia.
In due parole (letteralmente): pensavo peggio.
Ragionando per capitoli: sul lavoro, dopo una breve flessione i numeri degli occupati sono cresciuti, fino ad arrivare a superare il numero alla data dell'insediamento. Sono aumentati anche gli occupati stabili. Non è tutto oro ciò che luccica: le ore lavorate sono più o meno stabili. Lavorare meno per lavorare tutti? Comunque, risultati non negativi.
Sull'economia, si conferma il trend degli ultimi 20 anni: siamo sempre qualche decimale di punto sotto la prestazione europea. Su balla sempre da un -0.1% a un -0.4%, tolta la parentesi della crisi dello spread del 2012. In questo senso la prestazione è negativa in assoluto, senza infamia e senza lode in confronto agli altri governi. Evidentemente l'Italia è così ingessata che l'azione del governo è "inutile".
Sull'immigrazione, il discorso si fa complesso. Riassumo quanto scritto qui:
  • c'è stato un forte calo di sbarchi in Italia;
  •  c'è stato un calo di arrivi in Europa, ma non così forte;
  • ergo: gli immigrati continuano a partire dall'Africa, ma preferendo altre rotte;
  • questo ha fatto sì che altri Paesi (Spagna) si sono dovuti accorgere della questione;
  • i vari bracci di ferro con le navi ONG hanno spesso avuto come risoluzione una promessa di redistribuzione tra Paesi europei;
  • tutto ciò sulla pelle dei migranti, assistiti ma bloccati al largo per 1-2-3 settimane.
  • Resta inoltre sullo sfondo la questione degli sbarchi autonomi incontrollati.
Mi pare che Salvini abbia forzato (con modi probabilmente illegali) una condivisione europea del problema. Anche gli sbarchi autonomi - in quanto non registrati - permettono a quei migranti di proseguire clandestinamente per il Nord Europa. E' un risultato. Prendo in prestito l'espressione di Nicola Graziani (AGI) alla rassegna stampa di sabato sera: il governo ha "scosso l'albero", con una certa brutalità, e qualche frutto è caduto.
Graziani diceva che anche sull'economia il governo precedente ha "scosso l'abero": i proclami di nazionalizzazione di autostrade e banche da parte di Di Maio hanno riportato al centro del dibattito - di nuovo in modo rozzo e brutale - l'intervento statale in economia, che oggi è sdoganato nel discorso pubblico italiano e forse anche in quello europeo.
Il problema di queste scosse d'albero da elefanti in cristalleria, è che purtroppo hanno riguardato anche lo sdoganamento dell'odio pubblico e i diritti delle minoranze.
Inoltre c'è l'altra faccia della medaglia anche per i risultati economici non così disastrosi: è stata tutta spesa a deficit, con coperture rinviate a domani (privatizzazioni fantasmagoriche e clausole IVA). Questa è l'ipoteca più pesante sul futuro. E anche il nuovo governo giallorosso sembra intenzionato a proseguire su questa strada, approfittando della benevolenza europea verso chi ha estromesso l'orco Salvini.

venerdì 6 settembre 2019

The mule - il corriere

Grazie ai cinema estivi all'aperto ho visto l'ultimo film di Eastwood.
Un gran bel film. Non all'altezza di capolavori come Changeling, Million dollar baby, Gran Torino, ma una bella prova dopo il non memorabile Sully.
Si vede che il vecchio Eastwood ci sa fare, dietro la macchina da presa. Ma non è solo questo: il film fa pensare. Una vita spesa, bene o male, pensando a sé stesso. Una vita riscattata nel rapporto con la nipote, ma soprattutto nel rapporto con la morte della moglie. Ma per farlo, l'utilizzo di un metodo non discutibile, no: una via completamente esecrabile. Eppure accettata e perseguita. E accettata prendendosene le responsabilità fino in fondo, come in tribunale: "Colpevole".
Secondo me è mancata una riflessione esplicita su questa cosa, sul fatto che non stava contrabbandando fiori, ma droga. Me la sarei aspettata alla fine, in tribunale, anche solo per rivendicare il male fatto a fin di bene. Ma forse questo è Eastwood, il suo essere anarchico e libertario fino al trasportare droga, se decide di farlo. Ma con dei valori piantati nel cuore, e non perseguiti per legge.

domenica 1 settembre 2019

Le vergini stolte

Ieri il Vangelo ha proposto quella che secondo me è la regina delle "parabole sbagliate": la parabola delle vergini stolte (Mt 25,1-13).
Anche in questo caso il senso è chiaro: estote parati. Lo esplicita Gesù stesso, al versetto 13:
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.
E fin qui tutto bene. Ma l'esempio scelto è sviluppato come si sa: le vergini si preparano per l'arrivo dello sposo. Questi arriva tardissimo, a mezzanotte, allora le vergini stolte si accorgono che il loro olio sta per finire, mentre le cosiddette sagge hanno fatto scorta.
Le stolte, quindi, chiedono alle compagne:
Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.
Come rispondono le vergini cosiddette sagge?
Potrebbero ricordare gli insegnamenti di Gesù all'inizio dello stesso Vangelo (Mt 5,38-45): "Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle", anche a discapito di te stesso: "a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due". E potrebbero quindi dare volentieri il loro olio a chi lo chiede.
Potrebbero ricordare la parabola del Samaritano, che paga da sé per l'altro in difficoltà, e offrirsi magari di andare a cercare altro olio, pur sapendo che è notte e sarà difficile trovarlo.
Potrebbero comportarsi come il ragazzo del lago di Cafarnao, che condivise i cinque pani e i due pesci che aveva, anche se sembravano pochi. Potrebbero quindi mettere in comune l'olio con le loro compagne*.
Come rispondono quindi?
No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.
Cioè: arrangiatevi (detto con parole educate). Tra l'altro con quella indicazione di andare a comprarne dai venditori, in piena notte, che sa tanto di presa in giro.
E lo fanno in gruppo. Nemmeno una che si comporti evangelicamente. Praticamente una baby gang che bullizza le compagne.
Ma ripensandoci, forse più che "baby", queste vergini devono essere delle zitelle inacidite. Per forza restano vergini, non se le piglia nessuno!

* Tra l'altro stiamo parlando di ebree, per cui la "moltiplicazione" dell'olio di Channukah è storia ben nota.

mercoledì 28 agosto 2019

Come gestire una crisi di governo

Gestione della crisi da parte del PD, ovvero manuale per la trattativa perfetta:
  • direzione del 26 luglio: "in caso di crisi, elezioni, non esiste alcuna ipotesi di alleanza con i Cinque Stelle". Approvata all'unanimità.
  • 11 agosto: un senatore semplice del PD dice che la cosa sopra approvata all'unanimità è folle.
  • direzione del 21 agosto: mandato a trattare con richiesta di "profonda discontinuità con il governo gialloverde" e cinque punti: "Appartenenza leale all’Unione europea; pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa, a partire dalla centralità del Parlamento; sviluppo basto sulla sostenibilità ambientale; cambio nella gestione di flussi migratori; svolta delle ricette economiche e sociale".
  • Nei giorni successivi, svolgimento del tema:
    profonda discontinuità -> vogliamo Conte primo ministro
    democrazia rappresentativa -> vogliamo la votazione su Rousseau
    cambio nella politica migratoria -> Trenta e Toninelli controfirmano il divieto di sbarco alla ONG Elenoire
  • 27 agosto, mattina: Di Maio chiude la trattativa se non si accetta Conte.
  • 27 agosto, pomeriggio: il PD cala le braghe accetta Conte, dimostrando chi dei due ha più paura delle elezioni.
  • 28 agosto, mattina: direzione PD vota all'unanimità la disponibilità a fare il governo, evidentemente convinta dallo svolgimento di cui sopra.
Avete presente quando si dice che qualcuno sa vendere ghiaccio agli eschimesi?
Ecco, Zingaretti dev'essere l'eschimese che lo compra.

(Comunque non c'è solo lui, eh: oggi Salvini delira al Quirinale parlando di manovre esterne, Merkel, Macron eccetera, "non è un Conte bis, è un Monti bis". Poi scopriamo da Grillo l'ipotesi dei ministri tutti tecnici, che conferma i deliri di Salvini.)

lunedì 26 agosto 2019

Le nozze regali

Il Vangelo di qualche giorno fa proponeva la parabola delle nozze del re (Mt 22,1-14).
Il senso morale è chiaro: estote parati, siate sempre preparati, e c'è quel monito al versetto 14 che suona piuttosto inquietante:
Perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti.
Ma la storia usata per raccontare il concetto è deboluccia.
Va bene, il re invita e gli invitati adducono ogni genere di scusa.
Però che arrivino addirittura a uccidere i servi... qui siamo all'iperbole. E il re cosa fa? Li fa uccidere - e va bene, c'era la pena di morte - e brucia le loro città. Quindi, ricapitoliamo:
  1. il re invita a nozze
  2. gli invitati uccidono i messaggeri che portano l'invito
  3. il re brucia le città degli invitati

Tra l'altro mi sfugge cosa vorrebbe significare nell'allegoria il punto 3. Se il punto 2 simboleggia la crocifissione di Gesù, il 3 è la distruzione del tempio a opera di Tito? Quindi dobbiamo interpretare la parabola con un significato storico, ormai esaurito, e non come un monito sempre valido?

Poi la situazione si normalizza. Il re ha un sacco di roba preparata e cucinata, ai tempi non ci sono i frigoriferi e i congelatori, piuttosto di buttare via la roba il re invita i passanti per strada.
Però pretende che siano vestiti a festa.
Questa cosa non l'ho mai accettata. Erano in giro così come si trovavano! Non puoi fargliene una colpa, non lo sapevano! L'unica spiegazione che mi dò è che l'invito fosse nella forma "Fra tre ore ti aspetto a cena", e quindi il re faccia buttare fuori chi non passa a ripulirsi. Ma questa è evidentemente una costruzione mia, non presente nel testo.
Comunque, se il senso è l'estote parati, perché non sappiamo né il giorno né l'ora (come giustamente si insegna in un sacco di altri passi), la similitudine non è corretta. Noi infatti sappiamo che da un momento all'altro saremo invitati alla festa, quindi è giusto richiedere che siamo preparati. Quei poveri invitati dell'ultima ora non ne avevano idea.

giovedì 22 agosto 2019

Due forni di ferragosto

Così, Salvini riapre sempre pù chiaramente a Di Maio.
Se Di Maio fosse un Andreotti, potrebbe stravincere da questa situazione.
Primo: portare abbastanza avanti un discorso con il PD.
Secondo: tornare da Salvini e accettare di riprendere il governo precedente.
Si ribalterebbero i rapporti di forza, perché d'ora in poi Salvini sa che non può far cadere lui il governo, perché Di Maio ha sempre pronta l'alternativa per non andare a votare. Il M5S potrebbe far pesare il fatto di essere l'unico governo possibile per Salvini per portare avanti la sua agenda. Come se Salvini fosse un Alfano qualsiasi.

lunedì 19 agosto 2019

Crisi di ferragosto

O dei colpi di sole.
My two cents sulla situazione politica, prima che domani la situazione cambi ancora con Conte in Parlamento.

sabato 17 agosto 2019

Sull'ecologia e sulla plastica monouso

Non mi ero mai informato sulla questione dell'abolizione della plastica monouso.
Mi sono imbattuto in questo articolo. Da leggere con i commenti allegati, che offrono alcune precisazioni molto importanti.
Quello che pensavo è che è stupefacente come una decisione tutto sommato così impattante come l'abolizione della plastica monouso sia passata essenzialmente in cavalleria, senza discussione, senza proteste, con il favore di tutti.
Mi pare piuttosto in contrasto con quanto successe quando si decise di far pagare i sacchetti della frutta. Allora ci furono levate di scudi per un aggravio di spesa di qualche centesimo la settimana.
Oggi l'abolizione del monouso - sostituito da monouso compostabile, decisamente più caro - passa senza batter ciglio.
A me pare un buon segno. Ci stiamo abituando sempre più a una mentalità ecologica che comporti dei sacrifici.
E' praticamente inutile? Non fa nulla. L'educazione, il cambio di mentalità sono comunque una ricaduta positiva. E comunque sostenere che la direttiva sia sbagliata (attenzione: cosa che l'articolo non fa esplicitamente) perché riguarda solo uno zero virgola mi pare un atteggiamento benaltrista.
Ciò non toglie che è bene essere consapevoli di alcune cose:
  • che l'impatto sarà minimo;
  • che il motivo, forse, è nel fatto che la Cina non è più disponibile a smaltire la plastica europea;
  • che è stata fatta una scelta che non danneggia le multinazionali e non tocca quello che è il problema grosso, cioè le bottiglie di plastica.

martedì 13 agosto 2019

La pecorella smarrita

Ok, oggi è facile: leggiamo la parabola in qualsiasi versione.
Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli. (Mt 18,12-14)
Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. (Lc 15,3-7)
Chi lascerebbe 99 pecore nel deserto o sui monti in cambio di una?
Prima si mettono al sicuro le altre 99, poi semmai si va a cercare l'altra.
La morale è chiara, ma il pastore non è proprio verosimile...



venerdì 9 agosto 2019

Democrazia avvelenata (2)

Proseguo il discorso iniziato qui.
Ho finito la lettura. Il libro non è scorrevole, ma alla fine è risultato gradevole. La prima e la terza parte sono un bel compendio di cattolicesimo liberale, e sono un florilegio di citazioni, che come fonti non vanno mai male.
Ho trovato particolarmente convincente e affascinante la trattazione prospettata dal professor Felice nella sua sezione: la società aperta, poliarchica, pluriarchica, inclusiva è senz'altro un modo molto efficace di perseguire il bene comune. Tutto molto bello, persino troppo: il dubbio è che la cosa non sia troppo realistica, come accade per molte "visioni" teoriche. O meglio: questo tipo di società funziona se c'è anche della virtù negli uomini. Gli intangibles, come li chiamano gli americani, fanno la differenza.
Riflettevo inoltre, in questi giorni, sul concetto di "contendibilità", di "concorribilità" che caratterizza queste società.
Felice traccia un reciproco legame tra società, democrazia ed economia, come se l'apertura e l'inclusività di queste componenti non possano che andare a braccetto.
A me pare che il mondo politico italiano degli ultimi anni abbia dimostrato una grande contendibilità. Abbiamo alternato Berlusconi, Renzi, Salvini, Di Maio. Tutte persone per cui l'ascensore sociale ha funzionato bene, tutto sommato. Non aristocratici di famiglia o "figli di".
Invece l'economia italiana mi pare molto più restia alla contendibilità. Il capitalismo familiare è un capitalismo ereditario. I gruppi di potere sono sempre quelli. La situazione è piuttosto incancrenita, e infatti sappiamo che a livello sociale l'ascensore è ormai bloccato da tempo.
Le due cose quindi non vanno esattamente di pari passo.

martedì 6 agosto 2019

Sicurezza bis

Con un battutone, potremmo dire sicurezza della poltrona.
Fuor di battuta, fatico a capire come il Movimento 5 stelle gestisca il braccio di ferro parlamentare con la Lega - confronto in cui, ricordiamolo, ha il doppio dei parlamentari.
Ieri ho sentito su Rai News un senatore pentastellato che interveniva. Il succo del discorso era: del decreto non mi piacciono un milione di cose, lo voto perché bisogna andare avanti, ma domani non cederemo di un millimetro. Il "domani" sarebbe il voto parlamentare sulla TAV?
Quindi si cede su un cavallo di battaglia di Salvini, ma in cambio si tiene duro su una mozione 1) inutile, perché Conte ha già detto che la TAV si farà e persino Toninelli ha detto che la mozione impegna il Parlamento e non il Governo; 2) che probabilmente non avrà la maggioranza, per via della saldatura di tutti i favorevoli alla TAV; 3) su cui tra l'altro Salvini fa comunque la voce grossa, giusto per far capire chi è il capo. Non mi sembra un piano geniale.

Se non fosse che ci sono in ballo le poltrone, tra cui soprattutto la sua, consiglierei a Di Maio di muoversi così: "E' evidente che non andiamo d'accordo, non possiamo andare avanti così, e la Lega ha tradito il contratto sulla TAV. Detto questo, non siamo degli irresponsabili, e siamo disponibili ad arrivare a fine anno per fare la finanziaria e disattivare le clausole IVA. Toglieremo il sostegno al governo il primo gennaio, non siamo disponibili ad alcun altro esecutivo e voteremo in primavera. Naturalmente da qui a fine anno faremo pesare la nostra ampia maggioranza parlamentare e la nostra agenda, anche a colpi di fiducia. Per esempio, tempo e soldi per la Flat Tax non ci sono. Se la Lega vuole far cadere il governo prima, lasciando l'Italia senza governo per la legge finanziaria, non ha che da rifiutare la fiducia su uno dei nostri provvedimenti, e si prenderà la responsabilità di non aver saputo aspettare almeno qualche mese."

venerdì 2 agosto 2019

Democrazia avvelenata (1)

Sto leggendo questo libro.
Per ora ne ho letta solo una piccola parte, iniziando con l'intervento di Antiseri. Si tratta di una specie di bigino di Popper. Interessante, per avere tutto in breve e a portata di mano. In particolare non credo di aver mai realizzato che i filosofi presocratici non solo proponevano le loro visioni sull'arché, ma si confutavano tra di loro. Un esempio (il primo?) di pensiero critico, di dibattito scientifico. Per Antiseri, i presocratici desacralizzano il divino (le spiegazioni magiche e fideistiche dei fenomeni) e la natura, aprendo la strada al pensiero critico, alla discussione, alla speculazione, basi per la democrazia e il metodo scientifico.
Appare vagamente contraddittorio quanto scrive l'autore sul cristianesimo. Da una parte, gli dei che sono arrivati a noi non sono quelli greci - cioè di coloro che hanno aperto la strada - ma il Dio cristiano, perché è il Dio che desacralizza l'Autorità e lo Stato (il re non è Dio, la laicità eccetera) e la natura (no a fenomeni panteistici, animisti, magici). Ecco che secondo l'autore, corroborato da varie altre citazioni, il cristianesimo è la rivoluzione liberale, che apre la strada sia all'individualismo personalistico che alla scienza. Mi pare che si dimentichi che il cristianesimo rifiuta di adorare Cesare (desacralizzazione dell'Autorità) ma per secoli tenta di sostituirsi a Cesare, come fonte di assolutezza (o di assolutismo). Un'interpretazione come quella di Antiseri presuppone la libertà religiosa, un passo che come cristiani abbiamo fatto solo da 50 anni.
C'è poi la denuncia dei rischi correlati alla perdita delle radici cristiane dell'Europa. Una conseguenza, secondo me, di quanto si diceva sopra: la desacralizzazione dell'Autorità è se è desacralizzazione di ogni autorità, compresa quella cristiana.

Mi ha fatto riflettere una frase: "Rimane l'idolatria del potere sugli altri, considerati e trattati come oggetti delle proprie voglie".
Mi ha fatto pensare alla pornografia. Finora ho sempre trovato difficilmente contestabile la pornografia: si tratta di un'attività di adulti fruita da adulti.
Però è difficile negare che chi guarda uno spettacolo pornografico (in gran parte maschi) non abbia pensieri tipo "Mi piacerebbe avere qui una donna che mi faccia questo e quello", o "a cui fare quest'altro". L'altro come oggetto per il proprio godimento. A piena disposizione. Sotto il mio comando. Una mentalità di sfruttamento. Mi pare che ci sia una certa parentela con i casi di femminicidio: l'altra a mia disposizione, non libera di uscire dalla mia disponibilità.
Non sto creando connessioni causali. Entrambi i fenomeni possono essere conseguenze di una radice comune, l'egoismo individualista. Oppure potrebbero essere scorrelati.
Forse sto rampognando come quando una volta si diceva che i fumetti, o i cartoni giapponesi rincretinivano i bambini, o portavano alla violenza. Però il meccanismo mi sembra diverso. Anche io ho giocato a Wolf3D e a un mucchio di giochi in cui è necessario ammazzare i nemici. Però non per questo ho sviluppato l'impulso a uccidere. L'impulso a uccidere il prossimo non è naturale, o perlomeno è ben vincolato da un tabù tra i più profondi della nostra specie.
La pornografia invece fa leva sull'impulso sessuale, che è uno dei più naturali del mondo. Mi paiono due piani di "influenzabilità" ben diversi.

mercoledì 31 luglio 2019

La perla preziosa

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».
Vangelo di oggi (Mt 13,44-46).
Per la prima analogia, niente da dire: se uno trova un intero tesoro sepolto in un campo, sicuramente può andare e vendere tutto pur di acquistare il campo: si presume che il tesoro valga molto più del campo, e che quindi l'uomo investa un tot, fosse anche tutto quello che ha, per dissotterrareun tot molto maggiore e guadagnarci. Semmai si potrebbe obiettare sulla correttezza nei confronti del venditore del campo: "Tu sapevi che c'era un tesoro, non me l'hai detto e hai acquistato sottocosto!".
Gesù ci invita quindi a essere "furbi"? Direi piuttosto che l'analogia è con il fatto che il Regno di Dio ci è donato immeritatamente, godiamo di grazia sovrabbondante ai pochi o nulli meriti con cui la ripaghiamo.
Quello che torna meno è la seconda analogia: un mercante trova una perla preziosa. Se la compra a prezzo di mercato, cosa ci guadagna? Se la perla vale 100, lui vende i suoi averi per 100, poi usa 100 per comprare la perla, si ritrova con una perla che vale 100 e senza più nemmeno i mobili di casa... Un mercante piuttosto sprovveduto...
Manca l'elemento di guadagno della compravendita. Il centuplo quaggiù, se vogliamo. Questo mercante farà il cambio solo per amore dell'idea di avere una pietra unica. Forse significa per fede?

venerdì 26 luglio 2019

La parabola del seminatore

Oggi il Vangelo presenta la spiegazione della parabola del seminatore.
In tanti anni non avevo mai osservato una cosa.
Il seme che cade tra spine, germoglia e poi viene soffocato non è la vita di fede che va persa nelle difficoltà.
E' invece la vita di fede che viene soffocata dalle preoccupazioni materiali: gli affari, i soldi, il mondo. Questi non sono distrazioni. Sono i rovi che soffocano la fede.
Le difficoltà, i dolori, le tribolazioni, sono menzionati da Gesù sotto la fattispecie del seme che non trova terreno abbastanza profondo.
Se ci facciamo sopraffare dai dolori è perché la nostra fede non è abbastanza profonda. Cioè: è "colpa" nostra. Piuttosto cattivello, questo giudizio di Gesù.
Meditate, gente, meditate.

In realtà Gesù parla delle tribolazioni a causa della Parola. Si parla forse allora del martirio. Per accettare le persecuzioni per la fede ci vuole molta fede, questa è abbastanza una tautologia. Se prendiamo per buona questa limitazione, allora forse i dolori e le malattie ricadono di nuovo nel mondo. Interpretazione già più accettabile.

mercoledì 24 luglio 2019

Magellano con i Fuori teatro

Ieri sera, nell'ambito della rassegna Un libro, per piacere, sono stato in biblioteca a vedere lo spettacolo su Magellano messo in scena dai Fuori teatro.
Bello. Proprio bello. Da proporre alle scuole dalle medie in su. Peccato che nel calendario prossimo venturo non lo veda: l'avrei rivisto volentieri. Terrò d'occhio il loro sito.

lunedì 15 luglio 2019

Notiziola inutile

Vanitas vanitatum: facendo seguito alla vanteria qui, comunichiamo urbi et orbi che il nuovo record personale sulla tratta Pezzoro - Ratù - Redentore è 1h45'.

lunedì 1 luglio 2019

E ora, expedit?

Dopo l'Unità d'Italia, come sappiamo, papa Leone XIII ordinò il famoso "non expedit". Per i cattolici era dichiarato non opportuno partecipare alla vita politica.
C'era la questione romana, certo. Ma c'era anche un clima ostile alla Chiesa, con le leggi eversive e il clima diffuso di anticlericalismo dello Stato liberale.
Si ritenne che i cristiani non potevano essere rappresentati nelle istituzioni, queste non erano (più o ancora) casa loro.
Mi chiedo se non ci siano delle somiglianze in questo periodo. E' evidente lo spaesamento dei cattolici. L'assenza di una proposta politica votabile e accettabile, se non turandosi pesantemente il naso. E se fosse il tempo di un nuovo non expedit?
Naturalmente da interpretare, come quello di 150 anni fa, come "preparazione nell'astensione". Quel periodo fu fecondo di un lavoro nella società, con l'Opera dei congressi, l'associazionismo eccetera. Dio sa quanto ci sarebbe bisogno di un progetto culturale simile in questo periodo.
Certo ci sono grandi differenze: il Papa non ama occuparsi direttamente di Italia, e il non expedit dovrebbe venire dalla Cei - con i problemi di autorevolezza che questa cosa comporta; ma soprattutto la società è abbondantemente più impermeabile all'influenza cristiana. Quindi il non expedit si trasformerebbe in una sorta di opzione Benedetto. Mah.

giovedì 27 giugno 2019

Su Sea Watch

Alcuni pensieri per punti sul ben noto caso Sea Watch.
Come detto nello scorso post, Salvini ha sfruttato finora la fumosità del diritto pattizio internazionale, e l'impossibilità di forzare l'attuazione letterale degli accordi.
  • E' evidente che l'azione di Sea Watch è politica, in senso ampio: il mancato rispetto della zona SAR libica ne era già un indizio, così come il rifiuto di portare i migranti a Tunisi, tutte cose che - in punta di diritto, non discuto l'opportunità ideale o civica di queste scelte - sarebbero state legalmente corrette.
  • La scelta del governo di iniziare il braccio di ferro, facendosi forza del decreto sicurezza bis, è legittima. Questo al momento, cioè finché il decreto non sarà impugnato o dichiarato incostituzionale, cosa che secondo me avverrà immancabilmente, prima o poi. Altro elemento di ambiguità di Salvini.
  • Di fronte a questa scelta legittima del governo, e all'intento politico della nave, c'erano una pluralità di scelte: il braccio di ferro, la scelta di un'altra destinazione. Tutte comportavano la permanenza dei migranti a bordo di Sea Watch per più giorni, che evidentemente era stata messa in conto.
  • L'azione politica di Sea Watch è evidentemente rivolta verso il governo italiano, e solo quello italiano. Se si fosse voluto fare un'azione politica nei confronti dell'Europa, preso atto del divieto di ingresso in acque italiane, la nave avrebbe potuto fare rotta verso la Corsica, Corfù, le Baleari, per provocare una reazione di quei Paesi. Ciò avrebbe (finalmente) coinvolto l'Europa.
  • Quindi l'atteggiamento sa un po' di "Salvini cacca pupù", e non di "l'Europa si deve svegliare". Per quanto io possa concordare con la prima affermazione, mi fa un po' specie questa parzialità.
  • Ora, con l'ingresso in acque italiane, la capitana si pone sullo stesso campo di Salvini: viola le norme scommettendo sull'impossibilità di farle rispettare, perché non cannoneggeremo la nave. In pratica accetta di giocare nello stesso campionato di Salvini. Stanno giocando a chi ce l'ha più duro, e mi fa molto piacere che Salvini venga battuto a questo gioco da una donna.
  • Ciò non toglie che mi dispiace che si sia persa un'occasione per europeizzare la questione.
  • Tutto ciò sulla pelle di 42 persone. Mi chiedo se la disobbedienza civile non dovrebbe essere fatta senza mettere in mezzo innocenti come scudi umani. Se la scelta è questa, sarebbe stato meglio per loro forzare il blocco dopo 2-3 giorni, non tirarla in lunga con un ricorso alla Corte Europea che era già stato respinto in una precedente occasione.

martedì 18 giugno 2019

I meriti di Salvini

Diamo atto a Salvini di avere alcuni meriti, a un anno dal suo insediamento al Viminale.
Elaboro qualche dato ufficiale, da qui e qui.

Arrivi per anno:
2016: in Europa 369727, di cui 181436 (49%) in Italia. Morti totali: 5096 (1.38% degli arrivi)
2017: in Europa 184316, di cui 119369 (65%) in Italia. Morti totali: 2139 (1.16% degli arrivi)
2018: in Europa 141472, di cui 23370 (17%) in Italia. Morti totali: 2277 (1.61% degli arrivi)

Ma è più interessante spezzare i dati da metà anno, per questioni politiche:
luglio 2016 - giugno 2017: in Europa 238816, di cui 194968 (82%) in Italia
luglio 2017 - giugno 2018: in Europa 139484, di cui 52192 (37%) in Italia
luglio 2018 - giugno 2019: in Europa 114543, di cui 18977 (17%) in Italia

La prima riga corrisponde agli ultimi mesi del governo Renzi (ministro dell'Interno Alfano) e ai primi del governo Gentiloni (con Minniti).
A giugno-luglio 2017 Minniti conclude gli accordi con i ras libici. Nell'anno successivo gli sbarchi in Italia calano del 56%.
Nell'ultimo anno gli sbarchi in Italia calano di un ulteriore 62%.

Quindi è assolutamente vero che un grosso calo degli sbarchi fu ottenuto da Minniti; è vero che però Salvini ha ottenuto un calo ancora più consistente, nonostante partisse da una base già più bassa.
Allora forse c'era qualcosa di vero, nei discorsi sul "pull factor" delle varie operazioni Mare Nostrum, Triton, ONG eccetera.
E' vero che ci sono anche sbarchi autonomi, forse non registrati, ma mi sento di dire che siano tendenzialmente rumore statistico.

Quindi non era vero che gli sbarchi in Italia erano un fenomeno ineluttabile.
Come non era vero che eravamo obbligati a ricevere tutte le navi, come ci insegnavano molti giornali (primo fra tutti Il Post) in base a convenzioni di diritto marino.
Chiaramente aveva ragione chi evidenziava che i trattati internazionali sono politica internazionale, e non legge (perché non c'è un giudice a farli rispettare): se c'è la volontà politica le navi si tengono fuori e si forzano i ricollocamenti (nonostante il trattato di Dublino).

Tutto ciò non vuol dire che le migrazioni tout court si possano fermare. I numeri totali degli arrivi in Europa sono calati, ma non in modo così decisivo (parliamo di un -20% sull'anno prima dal 2017 in poi). La gente parte comunque, eliminato il pull factor verso l'Italia trova altre vie. Nelgi ultimi sei mesi si sono popolate di nuovo la rotta spagnola (che segna ogni anno record su record) e quella balcanica.
In altre parole, Salvini ha forzato una condivisione europea con alcuni altri Paesi (litoranei). Già qualcosa, rispetto a periodi in cui l'82% dei migranti era in carico all'Italia.

Il numero di morti è in calo continuo, ma anche la pericolosità della migrazione non è molto peggiorata: è rimasta fino all'anno scorso all'incirca sempre attorno a 1.5 decessi (rilevati) ogni 100 arrivi.

Questo solo per i freddi numeri, eh.
Non vuol dire che Salvini abbia il diritto di trattare come fa la gente sulle navi (anche se in Libia probabilmente sono stati peggio).
Non vuol dire che sia morale andare a fare gli accordi con i ras libici.
Inoltre restano aperti tutti i problemi delle centinaia di migliaia di persone che arrivano - come detto - in ogni caso in Europa, e di quelle che sono già arrivate in Italia negli anni scorsi. E vedremo cosa farà la Spagna, che ogni anno vede raddoppiare gli arrivi.
Chissà se Macron schiera già la Guardia Nazionale sui Pirenei.

venerdì 14 giugno 2019

Individualismo vs...

Da un po' di tempo partorisco questo post.
Ricordo quando ci fu la discussione sulle unioni civili. L'obiezione che si portava rispetto all'impegno della sinistra sul tema era che si portassero avanti i diritti dei gay mentre si smantellavano i diritti dei lavoratori.
Più d'uno sosteneva che non è così, che è una falsa contrapposizione, perché i diritti si promuovono tutti insieme. Questa cosa mi è tornata in mente qualche giorno fa, leggendo Cani Sciolti, il fumetto di Gianfranco Manfredi che parla degli anni della contestazione. Manfredi ricorda la saldatura delle lotte di varie categorie e per diversi obiettivi (divorzio, aborto, casa, salari), con lo slogan "Vogliamo tutto". Uno scambio in rete, sempre in questi giorni, mi ha invece proposto una lettura diversa.
Un internauta faceva notare che i diritti civili sono diritti individuali. I diritti dei lavoratori sono collettivi. Dopo la caduta del Muro la sinistra si è trovata senza la bandiera (in verità scolorita da un decennio) della lotta di classe, e ha preso in mano la bandiera dei diritti civili. Ma questo ha voluto dire cedere all'individualismo, che è un tratto proprio del capitalismo - o meglio: del consumismo.
La società che perde coscienza di classe e che vede ciascuno come singolo individuo, impegnato nel cercare di realizzarsi, anche a discapito dell'altro, con l'uso di status symbol e in definitiva arricchendosi e facendo acquisti, è quella tipica del consumismo. Pensiamo agli yuppies degli anni '80. In quel periodo hanno preso forza le battaglie per i diritti omosessuali.
Ma la sinistra storica si basa sul fare gruppo, sul "sortire insieme" dai problemi, per dirla con don Milani. Questo mi fa pensare due considerazioni in un certo senso opposte.
Fare gruppo vuol dire inevitabilmente individuare dei tratti identitari. A volte anche definirsi per contrapposizione: i proletari contro i padroni. Oggi la sinistra mi pare allergica a questo tipo di impostazione "esclusiva", che segmenta la società, che viene percepita come settaria.
Ma la tendenza dell'uomo a percepirsi come simile ai "vicini" è un tratto naturale. Questo non vuol dire che non possa essere controllato e razionalmente limitato, ma l'istinto è quello.
La bandiera dei gruppi, delle tribù, è quindi rimasta in mano alla destra, che ha sempre usato un "noi vs. loro" (fascisti vs. resto del mondo, per ipersemplificare), ma - a differenza della sinistra - non ha mai preso a "vergognarsene".
Però (seconda considerazione) forse la sinistra si "vergogna" del settarismo perché è riuscita nel "vogliamo tutto": la sinistra ha esteso il concetto di uguaglianza fino a ricomprendere tutte le categorie, e tutti gli argomenti. Non solo la classe operaia, ma anche i gay. Non solo i salariati, ma anche i neri. Non solo i lavoratori, ma anche i pensionati e gli imprenditori. Questa estensione è (per ora?) solo sul piano teorico, formale, non sul piano concreto (per esempio delle retribuzioni), ma in effetti potrebbe essere catalogata come un successo della sinistra, che storicamente si batte per l'uguaglianza. Però "tutti uguali" finisce per voler dire che non c'è nessun gruppo da contrapporre, nessuna lotta, neppure di classe.
E se non c'è più un "noi", ci sono solo tanti "io". L'essenza del capitalismo. Il "noi tutti" è un concetto quasi religioso ("tutti figli di Dio"), ma anche la religione sa che la Gerusalemme celeste non è di questo mondo. Oggi un modello strutturato in noi vs qualcun altro non ha più nemmeno un nome. Il comunismo non c'è più. Il nazionalismo esprime un tipo specifico di "noi", che non è l'unico possibile. Forse va bene "comunitarismo"? Ma è storicamente un'altra cosa.
Con tutto ciò cosa voglio dire? Non lo so neanche io. Quindi smettiamola con questo sproloquio sociologico-filosofico-politico senza averne le basi.

martedì 11 giugno 2019

Legge, Vangelo, libertà

Probabilmente stimolata dall'intervento dei Vescovi laziali di cui parlavo nello scorso post, Costanza Miriano interviene con un pezzo che parla del rapporto generale tra fede, amore, giustizia, legge.
Volevo metterlo in aggiunta al post precedente, ma è così aderente al mio pensiero e molto meglio scritta che lascio qui tutto il testo, a riferimento per il futuro.
Il bene non si può imporre per legge.
Il male - anche quello sociale, si ricordino le "strutture di peccato" di Giovanni Paolo II - viene dal peccato.
Contemporaneamente, il cristiano è chiamato a andare oltre la legge, oltre la giustizia - che è la forma minima di carità, ci ricordava Benedetto XVI.
Ciò non esclude il fatto di potersi battere perché le leggi siano fatte come minimo secondo giustizia, e tendano alla carità. Ma queste cose funzionano solo se c'è l'adesione in coscienza dei cittadini.
Ecco il testo di Costanza Miriano.

Sono circa due anni che scrivo questo articolo. Lo scrivo, lo sottopongo a mio marito, a qualche amico, ne parlo con qualche sacerdote, poi lo butto. E sì che di solito scrivo senza quasi rileggere, per il mio blog. Ma qui siamo su un campo minato. Qualunque cosa si dica su questo tema viene letta subito in chiave politica, o meglio partitica, che è quanto di più lontano dal mio intento.
In attesa di andare a messa per celebrare la Pentecoste e chiedere lo Spirito Santo, ci riprovo.
Io credo che ci sia una grande confusione in merito alla questione della solidarietà, e provo a spiegarla così come l’ho spiegata alle mie figlie più piccole, ché magari, semplificando le cose e togliendo i riferimenti a polemiche e partiti che loro neanche conoscono, la cosa viene meglio, e si ripassa anche il Catechismo.
L’uomo è ferito dal peccato originale, e tende al male, per questo esistono le leggi, la Legge. Perché mi impedisce di fare i miei comodi quando questi danneggiano i diritti di qualcun altro. Se l’uomo fosse solo ricolmo di Spirito Santo non ci sarebbe bisogno di legge, tutti faremmo il bene senza sforzo, tutti condivideremmo i nostri beni, il tempo, tutto quello che abbiamo, facendo a gara nello stimarci gli uni con gli altri, e nessuno sfrutterebbe le risorse dei paesi poveri per arricchirsi, tutti avrebbero la possibilità di vivere nel paese dove nascono, tra i propri cari, con le proprie risorse, che sono sufficienti a far vivere bene tutti, se si studia e si progredisce, e si impara a usare bene quello che la natura ci dà. Chi si impegnasse di più, chi avesse più capacità e fosse più serio degli altri, avrebbe più risorse, ma grazie alla pienezza dello Spirito Santo sarebbe anche più capace di condividerle.
La legge però non ha questo compito, la legge e la politica devono solo garantire il rispetto dei diritti, fino a che non ledono quelli degli altri, insomma, mettere ordine, costruire una società armoniosa e organizzata in modo intelligente, sconfiggere il caos al quale ci consegna il nostro mondo interiore ferito dal peccato originale.
La Chiesa fa bene a invitarci ad andare oltre la legge, ma può farlo solo se prima ci ha insegnato a pregare, pregare senza interruzione, chiedendo, mendicando lo Spirito Santo perché ci faccia incontrare Cristo. Allora, pieni della gioia di questo incontro, pazzi del suo amore, risorti già adesso in questa vita perché abbiamo scommesso tutto sul Risorto, su quello che ha vinto la morte, allora possiamo nel sacrario intimo e inviolabile del nostro cuore decidere di andare oltre la legge, e di amare anche quando non è giusto, perché questo è l’amore. Di amare i nemici, di amare chi si prende quello che è nostro, di dare anche la tunica a chi ci prende (e non “ci chiede”, il vangelo dice proprio “ci prende”) il mantello. Solo da Cristo può venire la grazia di questo amore. Solo se hai incontrato Cristo puoi andare in missione, puoi aiutare una famiglia anche se non hai niente o quasi da parte per la tua, puoi fare un passo che – per l’uomo – non è “giusto”, ma è oltre la giustizia e la ragionevolezza.
Non credo che sia compito di un governo stabilire che questo modo di amare “pazzo” sia la legge, non lo può fare perché questo lo fa solo lo Spirito Santo, che non può agire se noi non lo mendichiamo giorno e notte, pregando senza interruzione come dice san Paolo. San Francesco lo aveva ottenuto, ma tutti si dimenticano che dopo l’incontro con Cristo lo aveva chiesto a forza di digiuni e preghiere e penitenze che lo hanno portato alla morte precoce.
Quindi hanno ragione i governi che cerchino di stabilire una società ordinata, che tuteli e protegga se stessa nel rispetto delle leggi, che siano ordinate a una gerarchia del bene. I paesi dove è altissima la disoccupazione e bassissima la natalità devono investire anche per aumentare il lavoro e le nascite (che poi le due cose sono correlate).
Contemporaneamente hanno lo stesso ragione i nostri pastori a ricordarci di pregare e digiunare per chiedere la grazia di saper fare la volontà di Dio, perché quando saremo pieni di Spirito Santo, abitati solo da lui, sapremo andare oltre la gerarchia del bene. Ma questa condotta non può essere una cosa imposta dalla legge (abbiamo visto cosa è successo con il comunismo), perché va contro la natura umana quando priva della grazia, bensì solo scelta e abbracciata per grazia, individualmente (questo sono i santi) e non imposta per legge statale.
Amare oltre misura non può essere un dovere stabilito per legge.
La stragrande maggioranza di sacerdoti che conosco, e che amo come una figlia, quelli che vogliono appartenere solo a Cristo, e danno la vita nel silenzio, senza curarsi delle polemiche mediatiche e politiche, hanno molto chiaro tutto questo. Pochi altri, quelli che hanno manie di protagonismo politico, no. Non parlano di peccato orginale e di preghiera, di come solo Dio ci possa dare la miracolosa possibilità di essere buoni. Hanno dimenticato che il solo loro compito è stare con Cristo e farcene innamorare.
Ecco, perdonate la semplificazione, ma le mie figlie almeno hanno capito, e io mi sono tolta un peso dallo stomaco.

venerdì 7 giugno 2019

Ancora sui migranti

Proseguiamo sul discorso migranti.
Leggo che i vescovi del Lazio hanno scritto un messaggio per la Pentecoste.
Leggo le reazioni sul blog di Aldo Maria Valli, vaticanista piuttosto critico con l'attuale papato.
Prendo l'occasione per ricapitolare alcuni pensieri.

mercoledì 5 giugno 2019

E' finita la SFISP

E dalla scuola di quest'anno ho imparato che:
  • l'identità non esiste, è fluida, è un pretesto usato come clava;
  • i latini arrivano in ritardo e gli africani hanno una propensione al lavoro diversa;
  • e comunque le storie personali sono sempre una diversa dall'altra, e generalizzare è sbagliato;
  • ma quando ti trovi davanti a certe storie ci vuole un bello stomaco;
  • le posizioni sull'immigrazione sono tutte legittime, per ciascuna si può trovare qualche elemento su cui dire "ha ragione";
  • l'Italia non ha un problema di razzismo;
  • i diritti delle donne sono un tasto sensibile;
  • eppure non trattiamo l'immigrazione islamica come diversa da quella generale;
  • i costi dell'immigrazione rimangono un mistero;
  • così come l'approccio politico alla stessa.
(lista di affermazioni tutte vere, tutte variamente uscite dalla scuola o dai lavori di gruppo, da leggere più o meno seriamente).
Speriamo che sia servito a qualcosa!

mercoledì 22 maggio 2019

Il saluto a don Mario

La scomparsa di don Mario Benedini non è giunta inaspettata.
Al di là dei personali ringraziamenti per tutto ciò che ci ha insegnato, nel contesto della pastorale sociale, c'è un ultimo ringraziamento che io e Francesca sentiamo di dovergli: quello per il funerale di domenica scorsa.
Una cerimonia caratterizzata da una composta commozione, dalla serenità della fede, da un senso di compiutezza. Non mi viene una parola migliore: nonostante quello che lui diceva, riportato dal fratello ("c'è così tanto da fare, e io non posso più fare!"), si respirava il senso di una vita compiutamente vissita nell'anelito al bene. Nel fare il bene. Nel prendersi cura degli altri. Ma, più in generale, nel ricercare e perseguire il bene. Non so se riesco a spiegarmi, credo di no.
Credo che questa sia una buona definizione di vita degna di essere vissuta: lo è finché si può fare del bene*.
Non c'entra nemmeno molto il successo che si ottiene: come ha detto il Vescovo in un'altra occasione, don Mario ha tenuto acceso il lumicino dell'impegno sociale in anni difficili, di spaesamento e disaffezione.
Molto bella l'immagine di don Mario che ora contempla la Gerusalemme celeste. La soddisfazione finale del suo impegno per la società.

* EDIT: o forse anche cagionarlo, dare la possibilità ad altri di farlo.

domenica 19 maggio 2019

Il posto sbagliato remix

Cinque anni fa scrivevo questo.
A perenne monito di quanto sbagliassi (e continuo a sbagliare) le previsioni.
Il quinquennio di Allegri è stato bello, molto bello.
La sensazione che si fosse arrivati a fine ciclo c'era da qualche tempo. Allegri è stato probabilmente il miglior allenatore possibile negli anni scorsi, quando in Europa la Juve era un'outsider. Due finali raggiunte senza essere - sulla carta - nelle prime due squadre del continente sono tanta roba.
Dall'anno scorso, però, la Juve non è più un'outsider. Conta persino relativamente che a livello tecnico sia vero oppure no, che la rosa sia davvero nelle prime 2-3 d'Europa: l'acquisto di Ronaldo vuol dire che la Juve è in automatico una pretendente al titolo. La Coppa non è più un sogno, ma un obiettivo.
Per questo approccio, capisco la voglia di un allenatore che imponga il proprio gioco. Vedremo chi sarà, ma in giro non mi sembra ci sia tantissimo con queste caratteristiche.
Più che altro mi preoccupa la difesa. La BBC non c'è più. Szczesny è un bravo portiere, almeno al livello del Buffon dell'ultimo biennio, ma rispetto al Buffon al top è ovviamente inferiore. Barzagli è un ex giocatore. Bonucci è tornato dal Milan con qualche incertezza in più, e comunque ha sempre avuto bisogno di qualche copertura degli altri due. Chiellini è sempre il miglior difensore d'Europa, ma ha 35 anni e fisicamente si ferma sempre di più.
Vedremo. Visto che non si può rifondare completamente la difesa in un anno, potrebbe essere l'occasione per trasformare la squadra puntando sull'attacco?