venerdì 30 dicembre 2022

Victoria Lomasko

Ieri siamo stati a Brescia a vedere The last Soviet artist, mostra dedicata a Victoria Lomasko, illustratrice dissidente russa.

Questa mostra prosegue la bella tradizione delle esposizioni natalizie dedicate a artisti dissidenti e perseguitati. Lo scorso anno avevo già commentato la mostra di Badiucao.

La mostra di quest'anno mi è piaciuta meno. Badiucao è un artista a tutto tondo, mentre la Lomasko è una illustratrice. Anche l'allestimento secondo me non è ottimale: lo scorso anno le opere erano ben spiegate e contestualizzate; quest'anno meno. Forse la mostra si capirebbe meglio partendo dal fondo.

Essa si chiude infatti con la sezione "Five steps", in cui l'artista ripercorre la sua esperienza dell'ultimo anno. Cinque opere, ma soprattutto cinque pannelli di testo, quasi diari, molto significativi. Con questi si capisce molto dell'esposizione precedente.
E' saldamente antiputiniana, è fuggita, si vergogna delle stragi russe.
E però rifiuta la colpevolizzazione del popolo russo intero, risponde a tono a Zelensky quando chiese di chiudere le frontiere a chi scappava dalla Russia, contesta (più o meno) le sanzioni osservando che metteranno in difficoltà il popolo russo. E' per spingerli a ribellarsi? Ma, scrive l'artista:

Per andare contro una dittatura bisogna essere pronti a morire. Una decisione del genere ognuno deve prenderla da solo.

Ampliando lo sguardo: lei ha fatto un viaggi nei Paesi ex sovietici per vedere cosa era rimasto dell'"amicizia" che gli insegnavano alle elementari. Si rammarica che questa guerra abbia cancellato la possibilità di un futuro che lei definiva "post-post-sovietico" per quelle nazioni. Percepisce il suo essere nata in un'utopia non realizzata, in cui però tutti avevano un'istruzione, un lavoro e qualche cura medica come una cosa a suo modo "speciale", come si vede nel video che chiude la mostra e che si può vedere qui.

La mostra mi ha restituito, riguardo a lei, un senso di spaesamento. Il mondo per chi come lei è nato negli anni '70 in URSS è cambiato in modo traumatico per un paio di volte in una vita ancora non lunga.

Alla fine lei si rifugia in una specie di individualismo (forse?) anarchico. Che va bene quando rigetta le semplificazioni, ma che rischia di essere deleterio. In alcuni passaggi (come alla fine del video succitato) ella rivendica di vivere solo per ricercare la sua felicità, a qualunque costo, e "rinfaccia" al padre di aver rinunciato a farlo - cioè a diventare un artista - per poi proiettare su di lei questo desiderio.

Ma il mondo che ha in mente, si vede da come dipinge l'America, non è l'occidente. Da qui:

Quando guardo le persone in Russia, me le immagino come erbacce che crescono a fatica tra le rovine dell’impero sovietico. Nessuno si occupa di loro, al contrario, spesso vengono strappate alla radice. Ma queste erbacce hanno una forza vitale selvatica. Quando guardo gli europei, mi sembrano dei fiori da esposizione, fatti crescere in condizioni artificiali, in una serra. Ma mi piacerebbe che fossimo tutti fiori esposti al sole, in un prato, dove ci fosse allo stesso tempo cura e libertà.

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