lunedì 30 dicembre 2019

Resipiscenze

Ho letto il giornalino comunale natalizio.
Così ho imparato che non avremo più il museo dedicato a Domenico Ghidoni dietro la chiesa, in partenariato con la Parrocchia, che custodisce alcune opere dello scultore da inserire in un percorso unico, secondo il progetto presentato sul giornalino natalizio 2018 e su cui anche le scuole avevano lavorato. Il museo dovrebbe traslocare nel novello polo culturale, a Villa Presti.
Quindi ho imparato anche che Villa Presti non ospiterà più il "polo sanitario"come da progetti lungamente presentati, fin dalla campagna elettorale. Questo finirà nei locali dell'ex cinema Astra, insieme a un'altra farmacia comunale.
Non ho le competenze e le informazioni necessarie per farmi un parere sull'operazione degli studi medici associati alla farmacia. Così a occhio mi pare che si faccia un piacere a dei privati: non possono consorziarsi e comprarlo direttamente loro, l'Astra? Come fecero i medici che ora stanno al centro medico S. Giorgio? Ma può essere che io mi stia perdendo qualcosa. Certamente se tornasse l'ASL, in quei locali, sarebbe un bel colpo.
Allo stesso modo spero che il business plan sulla opportunità di una nuova farmacia comunale sia fatto bene: non capisco come possa essere redditizia una quinta farmacia sul territorio, se è vero che già ora la farmacia comunale cala gli introiti. E' vero che una volta la farmacia comunale era il 50% dell'offerta locale, ora è il 25%, con un'altra farmacia comunale si torna al 40% dell'offerta, ma con costi raddoppiati.
Certamente un "polo sanitario" è molto più sensato all'Astra , per il parcheggio e per l'assenza dei vincoli posti da un immobile di pregio artistico quale Villa Presti.
Quanto al museo, è ovvio che a questo punto se resta sul groppone una Villa Presti vuota vada messo lì, pur perdendo la continuità con le opere del Ghidoni (minus non da poco).
Certo a questo punto restano parecchie perplessità sull'acquisizione di un immobile problematico come Villa Presti.
Comunque, più in generale, non so cosa pensare su questi frequenti cambi di posizione in corsa dell'amministrazione. Qualcosa di simile era già avvenuto con la questione Esselunga, quando dopo mesi di "non dobbiamo un centesimo a nessuno!" si era accomodata la questione con una rinuncia economica.
Segno di una maggioranza che sa cambiare idea? Di elasticità mentale? Di progetti sbagliati già in precedenza, come più d'uno aveva già fatto notare? Di capacità di cogliere le opportunità? Di navigazione a vista? Di annunci iniziali fatti troppo presto, magari annunci elettorali, senza nulla di concreto dietro?
In ogni caso, è vero che la soluzione nuova somiglia molto ai programmi elettorali delle opposizioni. Sarebbe carino e corretto ammetterlo.
A questo punto, io continuo a sperare che anche in una costruttiva resipiscenza sulla questione piscina, annunciata e riconfermata per il 2020 sul giornalino di S. Giacomo. Che il giornalino del prossimo luglio possa portare novità al riguardo?
Comunque, pare che come sempre ci avviamo a una seconda parte di mandato di grandi inaugurazioni, anche di progetti annunciati nella campagna elettorale precedente. Poi la gestione di queste inaugurazioni, dalla piscina alla farmacia, e degli eventuali problemi, toccherà all'amministrazione successiva.

domenica 29 dicembre 2019

I ministri

Due ministri dell'istruzione (ok, uno per la scuola, uno per l'università) non si vedevano da Fioroni & Mussi, governo Prodi II, che doveva accontentare una miriade di partiti.
Diciamo che la similitudine non depone a favore...

martedì 24 dicembre 2019

Allergia alla verità (2)

Leggo sul blog di Aldo Maria Valli questo articolo.
Il pezzo è lungo, e per la maggior parte divaga su posizioni che non condivido. In particolare mi pare che sia molto parziale nello scegliere le citazioni evangeliche: i "segni dei tempi" e "non giudicate, se non volete essere giudicati", o "con la stessa misura con cui giudicate sarete giudicati", dove li lasciamo?
Mi interessa però questo estratto:
Ora credo che la domanda che ogni cattolico deve porsi sia la seguente: ma Gesù dialogava? La risposta è no. Gesù non dialogava. Gesù insegnava. Ecco il punto. A causa della crisi dell’idea di Verità, crisi che la Chiesa ha acquisito dal mondo e fatto propria man mano che è andata secolarizzandosi, i pastori hanno smesso di insegnare e si sono messi a dialogare. La crisi dell’idea di Verità ha infatti innescato la crisi dell’idea di autorità, con tutte le conseguenze che ben conosciamo.
Questa parte è interessante, e riguarda quanto scrivevo qui. Ricordo di aver letto su (forse) la biografia di Paolo VI che il suo dialogo con il mondo non era tanto bidirezionale, quanto un imparare a conoscersi reciprocamente. Non per assumere la posizione del mondo, ma forse per spiegare bene la Chiesa, nella fiducia che un uomo che incontra la Chiesa per come è realmente finisca per abbracciarla.
Tutto ciò probabilmente non è il dialogo nell'accezione corrente del termine, che intende Valli e che Valli sostiene che anche la Chiesa abbia abbracciato.
Però mi sovvengono altri tre punti. Ricordo quando il prof. Savagnone spiegava che se non si ha una verità in testa, e se non se ne è convinti, il dialogo è inutile. Se tutte le "verità" sono uguali, è inutile che discutiamo: ciascuno resterà della sua. Possiamo discutere solo se siamo convinti che la nostra verità possa essere vera anche per l'altro, e se siamo disponibili a verificare perché non risulta così.
Questo approccio mi sembra compatibile sia con quello di Paolo VI che con quello di Francesco, cioè che la fede si propaga per attrazione. Abbiamo bisogno di testimoni, non di maestri; testimoni che testimonino la Verità.
Inoltre ricordiamo che la Verità non è la Dottrina, per quanto importante. E' Gesù.

giovedì 19 dicembre 2019

Il Giuseppe misericordioso

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. [Mt 1,18-19]
Questo è il Vangelo di mercoledì, che poi prosegue con la visita dell'angelo a Giuseppe.
Giuseppe in questo caso si mette "contro" la legge, nel senso che decide di non denunciare Maria, sapendo le conseguenze che il fatto può avere.
Questo prima che arrivi l'angelo: Giuseppe rinuncia a denunciare Maria, pur avendone il diritto.
La giustizia dei giusti non è fatta solo di denuncia, ma anche di perdono; la saggezza dei giusti è saper discernere quando è opportuna l'una o l'altro. Il giusto, poi, sa ascoltare il messaggio di Dio in questo senso.
Questo è un esempio che chi è troppo rigido - come me - dovrebbe sempre tenere a mente.
Un esempio di una situazione in qualche modo simile lo riporta Luigi Accattoli nel suo blog.
Un altro esempio è quello letterario del vescovo Myrel con Jean Valjean in quel capolavoro che è Les misérables.

Aggiunta di domenica 22 dicembre.
Dopo aver risentito il passo anche oggi, mi pare che Giuseppe dica qualcosa anche a tanti coniugi moderni, sulla gestione delle crisi familiari. Al di là del fatto di com'è andata a finire dopo l'intervento dell'angelo, c'è un Giuseppe che si crede cornuto, e non mette la cosa in piazza, non è animato da desiderio di vendetta, non desidera il male della (quasi) moglie.

mercoledì 18 dicembre 2019

Allergia alla verità

Sono reduce dal "ritiro" diocesano di sabato scorso per persone impegnate nel sociale e nel politico.
L'intervento principale è stato tenuto da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; a contorno ha parlato anche il nostro Vescovo. Il tema era la biodiversità e la sostenibilità per le future generazioni, ma gli interventi hanno divagato parecchio, in maniera piacevole.
Metto giù alcuni appunti, conditi da una serie di pensieri miei.
Tarquinio ha lavorato su due famose citazioni, "Il politico pensa alla prossima elezione, lo statista pensa alla prossima generazione" (James Freeman Clarke feat. De Gasperi) e "Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere" (Aldo Moro).
Il discorso è partito dal clima, da Laudato sì, dalla casa comune, ma poi - come detto - si è ampliato. Si è toccato il ruolo dei giornali e dei social network. Oggi la gente si informa spesso su internet e Facebook, social network*, e lì trova di tutto: notizie che confermano ciò che si vuole sentir dire, notizie false.. Allora ho pensato al fatto che la verità non va di moda: in fondo anche il negazionismo climatico è una negazione della verità. E ho ripensato a Benedetto XVI, che intitolò la sua enciclica sociale Caritas in veritate, e che sulla lotta al relativismo ha fatto una battaglia. C'è un nesso tra il rifiuto della Verità da parte del mondo moderno e il rifiuto della verità spiccia, quella dei fatti?
Pensare di informarsi nella propria bolla è in fondo un altro elemento di quell'individualismo imperante, di un certo egoismo: cerco la notizia che mi fa star bene, che mi dà ragione. Rifiuto la responsabilità della verità, di cercarla, di impegnarmi per farlo, di poter avere torto. Rifiuto di accollarmi un dovere civile, per tornare a Moro.
Il Vescovo ha poi esortato i politici cristiani a trovare un modus vivendi con le opposizioni. Ha detto: non è che perché sono maggioranza ho sempre ragione, o perché sono minoranza allora la maggioranza ha sempre torto. Questo vuol dire relativismo? La ragione un po' e un po'? No: l'atteggiamento corretto è quello di mettersi insieme alla ricerca della verità, che in questo caso coincide con il bene comune.
Tra gli altri punti interessanti, Tarquinio ha raccontato che mentre il numero di cristiani che si dedicano al sociale cresce, il numero di chi si dedica alla politica cala, anzi il 90% dei cristiani impegnati nel sociale rigetta la politica. Secondo Tarquinio - e anche secondo me - questa è una tragedia.
Il Vescovo non ha molto raccolto l'argomento; questo si è ripresentato con l'osservazione di uno degli intervenuti, il quale ha sottolineato che la Laudato sì - in teoria il tema del ritiro - è pochissimo conosciuta dai cristiani, e si è chiesto se non sarebbe il caso di fare un lavoro più incisivo nelle parrocchie. Io aggiungo che questo vale non solo per la Laudato sì, ma per tutta la dottrina sociale della Chiesa. Il vescovo ha risposto dicendo che sarà difficile arrivare alle parrocchie**, se ho capito bene bisogna che alcuni cristiani conoscano la Laudato sì (forse quelli impegnati in politica?), mentre a tutti arrivi il senso del cambio di paradigma, di stile di vita.


* Comunque il problema non sono i social in sé, è l'uso che se ne fa: nel mese di novembre Aggiornamenti Sociali proponeva un articolo sull'uso dei social in Camerun e Gabon per proporre un controllo sulla regolarità delle elezioni da parte di gruppi indipendenti, in Paesi in cui i media sono tutti governativi.
** Questo mi ha ricordato quando, in un'altra occasione, mi aveva detto che per la dottrina sociale sui presbiteri non si può contare.

sabato 14 dicembre 2019

Luigino Bruni e la meritocrazia

Qualche giorno fa è uscito sull'inserto Buone Notizie del Corriere un articolo molto interessante di Luigino Bruni sulla meritocrazia.
Bruni fa un excursus storico ricordando che il concetto di merito era inizialmente un concetto religioso ("meritarsi il Paradiso"). Poi, così come il cristianesimo di Lutero diventò il capitalismo, anche il merito è entrato negli ultimi 30 anni nel mondo dell'economia. Un concetto di merito che però ha portato a penalizzare e colpevolizzare i più poveri.
Io sono particolarmente sensibile al concetto di meritocrazia. Ne sono affascinato, non l'ho mai nascosto, e credo che in Italia abbiamo qualche problema di mancanza di meritocrazia, non di eccesso.
Ho trovato però molto interessanti alcuni passaggi di Bruni, che mi aiutano a collocare il merito nella giusta pospettiva.
Prima cosa: se applichiamo la meritocrazia, anche supponendo di premiare davvero il merito, ci sarà qualcuno che rimane indietro. Lo scrivevo già qui quasi dieci anni fa: che ne facciamo degli esclusi?

Inoltre Bruni richiama un concetto che ricordo anche in Caritas in veritate di Benedetto XVI: anche in economia, l'imprenditore di successo è tale non solo per proprio merito, ma anche per cause indipendenti dal suo operato. A livello macroscopico parliamo di rendimenti di fornitori e/o acquirenti (quindi altre aziende), andamento dell'economia in generale, scelte del governo eccetera. A livello "sociale", le aziende funzionano meglio se c'è un tessuto di lavoratori (=persone) onesti, responsabili, affidabili, istruiti, e queste caratteristiche non sono merito del datore di lavoro.
Infine la parte per me più interessante: abbiamo sempre collegato il merito al talento. Chi è più bravo, portato eccetera a fare certe cose va premiato. Questo è un discorso molto "sportivo", campo in cui è più facile verificare il merito: il campione guadagna di più.
Però Bruni si chiede: il talento è un merito? Se uno nasce più dotato di un altro, va premiato per questo? Deve ricevere un ulteriore premio perché ha vinto alla lotteria della genetica? E se no, è invece giusto "pagare" Bolt o Messi come gli altri atleti, perché tutti fanno del loro meglio?

mercoledì 11 dicembre 2019

Truth, o del fact checking

Ieri sera Rai5 ha passato il film Truth-Il prezzo della verità.
Gran cast (Robert Redford, Cate Blanchett), ma non ne avevo mai sentito parlare. In effetti, scopro su Wikipedia che è passato piuttosto sotto traccia.
Non un film memorabile, in effetti. Ne parliamo fra poco. Però è un film che esemplifica in modo piuttosto preciso quello che scrivevo nello scorso post sul fact-checking.
Nel film, una notizia probabilmente vera (l'accusa al presidente George W. Bush di essersi "imboscato" ai tempi del Vietnam), che rimane probabilmente vera per tutto il film, forte di molte conferme indirette, logiche, verbali, "probabilistiche", viene smontata dall'opposizione perché presentata facendo affidamento su documenti di cui non si riesce a provare l'autenticità. Anzi, fino alla fine del film restano indizi sia per il fatto che i documenti siano veri (in particolare secondo il discorso finale della protagonista, Mary Mapes, che si basa sulla "logica") sia che siano falsi (la redazione "tecnica" dei documenti rende improbabile - non impossibile - la loro autenticità).
L'idea finale che il film trasmette è che il contenuto dei documenti sia vero, pur non essendo i documenti autentici ma riprodotti.

E qui ci agganciamo a quanto scrivevo nel post scorso: se fai del fact-checking devi essere inattaccabile. Piuttosto non presentare ciò di cui non sei certo al 100%.
Il discorso che fanno i protagonisti, "hanno annegato la verità sotto una pioggia di tecnicismi, pignolerie, hanno parlato di macchine da scrivere per non parlare dei fatti", è vero. Chi puntava a smontare il fact-checking ha usato una tattica a suo modo subdola, finanche scorretta: smontare una parte dell'inchiesta per delegittimarla tutta.
Però la verità è tale se è corroborata dai fatti.
Il discorso che essa supera alcune pignolerie marginali può essere accettabile qualche volta, ma è pericolosamente sulla stessa china dei fatti "non veri, ma verosimili", tipo "i musulmani protestano in via Corsica" di cui parlavo la volta scorsa.

Tornando al film, esso risulta debole proprio perché la causa che difende non è inattaccabile. E' un film "a tesi", come ce ne sono tanti. Ma di solito questi film hanno un "lieto fine", se non sulla pellicola, almeno delle sovraimpressioni finali, in cui si spiega quanto avessero ragione i "buoni", come gli sia stata fatta giustizia postuma. Stavolta le sovraimpressioni finali non rendono ragione di ciò, anzi rendono (onestamente) conto che i procedimenti giudiziari hanno dato torto ai protagonisti.
Anche sulla sceneggiatura, mi pare che ci siano alcuni buchi: come mai un'inchesta già iniziata quattro anni prima rimane nel cassetto per quattro anni e poi salta fuori all'ultimo minuto utile, senza lasciare il tempo per le verifiche? Ha senso una cosa così? Può una professionista affermata come la protagonista affidarsi a delle copie di documenti di una fonte praticamente sconosciuta? E' difficile non farsi venire il dubbio che espone anche la commissione d'indagine finale: è possibile che le convinzioni della protagonista abbiano avuto una parte nel farla propendere per l'autenticità dei documenti?
Forse l'intenzione della pellicola era solo una riflessione sul giornalismo, ma certo non si crea empatia con i protagonisti, se questi ti lasciano sempre il dubbio sulla correttezza dei loro comportamenti (basta vedere come hanno trattato la fonte).
Chicca in negativo gli osceni tentativi di traduzione dei "giochi di parole" e degli acronimi (CYA, FEA).