lunedì 27 dicembre 2010

Il silenzio dei giusti

Per Natale (anzi, per S. Stefano) con la mia famiglia avevamo deciso di dedicarci a un'attività di solidarietà.
Arrivati sul posto per preparare, ci siamo trovati di fronte un amico, giovane, anche lui lì per lo stesso motivo.
La sera prima ci si era visti: non una parola, né da parte nostra né da parte sua, sull'impegno del giorno dopo. E' stata una autentica sorpresa!

E' proprio vero, per fortuna, che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce.
Tutti sanno che la sera della vigilia a Ospitaletto c'è stata rissa in piazza Roma, e che una ragazza è stata portata in ospedale praticamente in coma etilico. Ma nel frattempo, chissà quanti si saranno dedicati al prossimo, a fare qualcosa di utile e di buono, nel nascondimento (cfr. Mt 6,3-4) e senza metterlo in piazza, con umiltà.

E' questa la migliore speranza, non solo per Natale.

sabato 25 dicembre 2010

Buon Santo Natale!

Appena avrò un momento di tempo mi piacerebbe tornare a scrivere un sacco di cose che mi frullano in testa...
Intanto buon Santo Natale a tutti, buone feste e buon anno (mi porto avanti, chissà mai)!

mercoledì 22 dicembre 2010

La maturità di papà

Mio padre ha frequentato l'istituto per geometri serale. Una faticaccia: di giorno in cantiere, la sera cinque ore di scuola, studiare nei ritagli di tempo. Fra le varie cose per cui ammiro i miei genitori, questa occupa un posto di riguardo: ammiro lui per la fatica e mia madre per la costanza che ha avuto nello spronarlo.

L'esame di maturità fu nel 1982, l'orale il 12 luglio. Allora stavo per compiere quattro anni, ho ovviamente pochissimi ricordi di quel giorno. Ho però un'immagine, come un flash, che è rimasta nitida nella memoria. E' della "notte prima degli esami".
Vedo mio padre nella mia cameretta, dove c'era una scrivania spaziosa, chino sui libri, e mia madre in piedi accanto a lui. E io che corro dalla cucina - lì c'era il televisore - a dire "hanno fatto gol! hanno fatto gol!".

Papà racconta che il giorno dopo, agli esami, il clima era abbastanza euforico, e l'esame andò bene. Ogni tanto scherzando diciamo che è diventato geometra grazie a Paolo Rossi.
Magari anche grazie a Enzo Bearzot.
Salutiamo un galantuomo. Stavo per dire un uomo d'altri tempi, ma non perdo la speranza che anche oggi ci siano uomini così. E' bello e giusto che la storia abbia fatto incrociare le strade di due Uomini come lui e Pertini, e abbia legato nell'immaginario di una nazione due simboli così autentici dell'Italia migliore rinata dopo la guerra.

mercoledì 15 dicembre 2010

Tiro alla fune

A tirare troppo la corda, poi si spezza. Fini è caduto con la sua estremità della corda in mano.

Secondo me ha pagato il fatto che Fli è ancora una scatola vuota:non si capisce che cos'è. Fin dall'inizio il rischio era che fosse solo un insieme di deputati e senatori insoddisfatti del trattamento ricevuto nel Pdl. Il presidente della Camera in questi mesi non ha contribuito a fare chiarezza: è partito da una richiesta di corresponsabilità governativa (la "terza gamba"), nel governo, poi ha fondato un partito, è passato per il ritiro dei ministri, ma rimanendo in maggioranza, e da domenica è all'opposizione. Ha svuotato progressivamente le richieste politiche per concentrarsi su quelle personali: le dimissioni, la testa di Berlusconi.

Così non c'è ancora una descrizione di cosa dovrebbe essere Fli: un partito liberale? E allora certe posizioni sulla spesa pubblica e contro i tagli? Un partito giustizialista, come nella tradizione di una certa destra? Un partito conservatore o riformista in tema di questioni etiche? Forse dei contenuti politici avrebbero reso più difendibile la posizione rispetto alle "colombe" che hanno disertato. Senza un progetto, coloro che all'inizio erano d'accordo con l'idea della "terza gamba" si sono trovati spiazzati dalla politica guerreggiata di Fini e del fido Bocchino: l'unico progetto era, è la testa di Silvio.

E ora, che succederà? Continuo a pensare che Fini dovrebbe dimettersi, ora più che mai. Un presidente della Camera che va alla contrapposizione frontale con un presidente del Consiglio è istituzionalmente inaccettabile. Ovviamente Fini non lo farà - la poltrona di presidente è l'unica "arma" che gli rimane. Peccato, sarebbe un bel gesto. Credo poi che si andrà comunque alle elezioni entro Pasqua.

Fli è finito? In Parlamento forse sì, molto ridimensionato. Però, se tre mesi fa Fli era un gruppo parlamentare senza persone reali sul territorio, oggi potrebbe essere il contrario: secondo me nel Paese c'è spazio per una destra stufa di Berlusconi, l'idea ormai è stata messa in circolo. Anche i sondaggi che lo danno al 5-6% lo dimostrano: si tratta di almeno un paio di milioni di persone potenziali. Allora Fli dovrebbe ricominciare da lì, dalla gente, lasciando perdere i giochi di potere nelle Camere e preparandosi alle elezioni che non tarderanno. Per esempio "riempiendo la scatola" e spiegando bene le linee guida, gli ideali del progetto politico.

lunedì 13 dicembre 2010

"Meritatelo!"

La scorsa settimana, su Rai 4, hanno passato Salvate il soldato Ryan. Film che riguardo sempre volentieri, anche se un po' retorico in alcuni passaggi (caratteristica tipica di molti film patriottici americani).
Le ultime parole che il capitano John Miller, in punto di morte, dice al soldato James Ryan sono: "James, meritatelo. Meritatelo!". Il film si conclude sull'immagine del Ryan anziano che, tornato sulla tomba del capitano che affrontò la missione del suo salvataggio, chiede alla moglie di rassicurarlo sul fatto di avere adempiuto a questa solenne richiesta.
Il soldato Ryan della finzione in effetti aveva un fardello ben gravoso sulle spalle, un impegno d'onore per non rendere vano il sacrificio degli uomini impegnati per lui fino alla perdita della vita. E' un impegno moralmente vincolante, di cui tutti percepiamo l'"altezza".

Mi sono chiesto se anche nella nostra vita a volte possiamo pensare di doverci prendere questo genere di impegni, e mi sono detto che la risposta è sì: per molti di noi i genitori sono persone a cui dobbiamo la vita e gran parte di ciò che abbiamo, persone che hanno dedicato la loro vita affinché la nostra potesse essere la migliore possibile. Ecco che dunque i figli hanno il dovere morale di essere degni di tanto.

In senso più ampio, un'altra risposta è arrivata ascoltando venerdì Salvatore Borsellino, fratello di Paolo. Egli ha citato un brano di Calamandrei che purtroppo non riesco a rintracciare, in cui il padre della Patria ricorda il sangue dei tanti caduti per la Resistenza, per il bene di tutti. Parole che si attagliano bene anche al caso di Paolo Borsellino e dei tanti servitori dello Stato che rendono onore alla comunità, con abnegazione e coraggio fino all'estremo. Ecco, è anche per loro che dobbiamo essere degni anche della nostra vita civile.

Un buon inizio sarebbe che degni lo fossero i nostri rappresentanti. La mia fidanzata mi chiedeva: "Pensi che Babbo Natale ci porterà un governo onesto, che rispetti almeno le leggi che fa?"... Chissà, forse san Nicola/Santa Claus non fa di questi miracoli, affidiamoci a Gesù Bambino...

domenica 5 dicembre 2010

Pensierini del venerdì sera

Venerdì sera ho partecipato ad una conferenza di Piercamillo Davigo presso la Pavoniana, per la serie Le più belle speranze. Una serata interessante, con un relatore brillante e sagace, che ha affrontato i problemi della giustizia in modo per me sorprendente (cioè senza prendersela con Berlusconi, ma con gli avvocati).

Della serata mi riporto due osservazioni che mi hanno fatto riflettere.
La prima riguarda la tassa di successione. Io sono sempre stato favorevole alla sua abolizione, considerandola un'ingiustizia nei confronti dei genitori che si "sbattono" una vita per lasciare qualcosa ai figli. Della stessa idea era Berlusconi, che l'ha abolita, ma anche Prodi, che l'aveva abolita fino a una certa soglia.
Davigo ha ribaltato la prospettiva, dalla parte dei figli: la tassa di successione era un elemento di parificazione dei punti di partenza dei figli. Non di quelli di arrivo, che sarebbe un vetero-comunismo, ma parità dei punti di partenza: è giusto che un figlio sia molto favorito rispetto a un altro solo per le virtù del padre, e non per meriti personali? E' meritocrazia questa? E' giusto che le colpe del padre meno accantonatore ricadano sul figlio? Non si rischia di ritornare a una specie di aristocrazia? Una prospettiva interessante, che non avevo mai considerato.

La seconda osservazione che mi è rimasta in mente è stata la sua affermazione secondo cui lui, quando giudica, preferisce essere criticato che applaudito. La critica acuisce la capacità di giudizio e aiuta a tenere alta la guardia nei confronti degli errori. L'adulazione e gli applausi, al contrario, rammolliscono.
Non sarà ciò che è successo al nostro premier, che negli anni ha allontanato persone che pensavano con la loro testa (che so, Marcello Pera, lo stesso Giuliano Ferrara, anche Renato Ruggiero e Antonio Martino) per sostituirle con molti yes-men?

martedì 30 novembre 2010

News locali

In paese sono apparsi nei giorni scorsi alcuni manifesti in paese in cui il Pdl critica la condotta della Lega in Regione sulla caccia... il manifesto non è comunale, ma è difficile che in paese non se ne sapesse nulla. Schermaglie tra alleati? Le ultime voci danno l'assessore Giudici come scelta del centrodestra per le elezioni comunali: pare che abbia sorpassato (ormai definitivamente?) Abrami.
Comunque, proprio quando queste voci si sono fatte più insistenti esce un numero di Ospitaletto.org incentrato praticamente su di lei. Bene la critica, la cosa che mi fa un po' sospettare dell'imparzialità del numero è che non c'è una nota positiva che sia una, e mi sembra anche solo statisticamente difficile che in 10 anni la Giudici non abbia combinato nulla di buono...

p.s. non cercate i manifesti in giro: sono stati coperti da quelli di Giulio Incontro, col nuovo marchio di Fini-Fli.

lunedì 29 novembre 2010

Azioni e reazioni

Ecco, ci mancava solo questo. Una bella reazione scomposta, giusto per fare ancora più rumore.
Nella Caporetto della diplomazia, anche il nostro Presidente del Consiglio è ben poco diplomatico.
Sarebbe servita una bella dose di understatement, nemmeno commentare le fughe di notizie, e invece alziamo la cagnara.

domenica 28 novembre 2010

I partiti in Comune

La scorsa settimana ho partecipato a uno dei laboratori che fanno parte del percorso della Scuola di Formazione all'Impegno Sociale e Politico della Diocesi, e il relatore ha parlato del ruolo dei partiti dalla Prima Repubblica alla crisi durante la Seconda.
Mi è sovvenuta allora una riflessione sul ruolo dei partiti a livello comunale.

Ritengo che il ruolo dei partiti sia ancora, al giorno d'oggi, insostituibile come "catena di trasmissione" della democrazia dal livello locale al livello più ampio. Poi potremo discutere sulla forma dei partiti, sulle strutture e gli strumenti più o meno moderni che utilizzano, ma non potremo mai prescindere dalla presenza di formazioni organizzate che coordinino un po' l'attività politica: non si fa politica da soli.
Al contrario, penso tutto il male possibile dell'attività dei partiti a livello comunale. Mi spiego: le sezioni dei partiti sono necessarie anche a livello locale, proprio per essere il primo gradino di un coordinamento più vasto e al più - ma questo sarebbe più compito di associazioni culturali - per proporre dibattiti, temi di discussione.
La loro attività nella vita politica e amministrativa dei Comuni invece si riduce di solito a uno scimmiottamento
delle pratiche più deleterie dell'architettura politica: quanti posti a te, quanti assessori a me, l'ufficio tecnico degli amici degli amici, quanto sono cattivi gli altri...
Inoltre la presenza di liste collegate ai partiti porta ad almeno due conseguenze deleterie sul dibattito politico locale. La prima è l'inasprimento delle contrapposizioni, che diventano "per partito preso" (come dice la parola stessa) invece che sul merito. La seconda è la deriva della discussione da argomenti locali ad argomenti sovralocali: si sentono partiti che in consiglio comunale discutono di massimi sistemi, di razzismo, di spesa pubblica, di immigrazione, di legalità divagando dagli argomenti concreti, locali.

Il mio sogno - un'utopia, non un vero progetto, beninteso - sarebbe quello che alle elezioni comunali non si presentassero delle liste, ma un unico listone di persone che danno la propria disponibilità per il proprio Comune, tra le quali scegliere l'elenco dei consiglieri comunali: una specie di bulé dell'antica Grecia. Gli eletti quindi non sarebbero legati ai partiti (ovviamente potrebbero esservi iscritti, ma non legati alle liste), e dovrebbero lavorare per trovare accordi di bene comune, il più ampi possibile. La "cosa" più vicina a una struttura del genere potrebbero essere le liste civiche, ma sono azzoppate dalla presenza di liste partitiche al loro fianco, che ne determinano
chiaramente i confini, per esclusione (chi appartiene alla civica non appartiene ai partiti che si presentano, perciò sicuramente è riferibile agli altri).

giovedì 25 novembre 2010

Cinque per mille: una misura liberale

Sollecitato da una mail del buon don Mario Benedini, dico la mia sul taglio al cinque per mille con cui lo Stato contribuisce alle attività di volontariato.

L'Italia ha - per fortuna - una fitta rete di "società intermedie" tra la
 famiglia e lo Stato: ci sono le associazioni, le parrocchie, i circoli eccetera. Molte di queste associazioni, che costituiscono una ricchezza per la nostra società, si dedicano al volontariato nei campi più disparati: il primo soccorso, la cultura, l'assistenza ai bisognosi e via dicendo. In questo modo affiancano lo Stato nel fornire servizi, e alleggerendo il carico al sistema pubblico.

La misura del cinque per mille, introdotta dal governo Berlusconi III nel 2005, è quindi una delle poche cose veramente liberali proposte dai governi di centro destra: essa infatti permette di avere meno Stato nel campo dell'erogazione dei suddetti servizi, agendo invece secondo il principio della sussidiarietà laddove l'iniziativa civile non arriva. Questo genera anche un risparmio, poiché costa sicuramente meno finanziare le Onlus (che poi gestiscono i soldi in maniera capillare e forzatamente efficiente, visto che spesso hanno bilanci comunque risicati) piuttosto che mettere mano direttamente alla fornitura di tutti i servizi da parte del carrozzone statale.
E' quindi una misura "di destra", come conferma indirettamente anche Cameron che, nell'introdurre tagli draconiani nel Regno Unito, auspica la nascita e la crescita di una rete di solidarietà tra i cittadini, un po' come quella italiana delle Onlus (si veda al proposito questo interessante intervento).

Tagliando sul cinque per mille, quindi, un governo di destra perde l'occasione di fare qualcosa di destra che fornisce dei servizi al risparmio, oltre a dare un segnale sociale errato.
Ora pare che ci siano garanzie per il ripristino dei fondi: questi tira-e-molla che capitano su diverse questioni, di solito finanziarie, mi lasciano abbastanza perplesso: è come se ci si dicesse "ok, ci abbiamo provato, ci è andata male", ma non ci sia una linea precisa: il coraggio di portare avanti una scelta fino in fondo, che sia l'istituzione del cinque per mille o la sua decurtazione.

Per risparmiare cosa, poi: 300mila € (il fondo passerebbe da 400mila € a 100mila), una cifra relativamente bassa. Per esempio, basterebbe togliere il contributo per i portaborse ai parlamentari che non depositano regolare contratto presso le Camere: sono 4030 € al mese, cioè 48360 € all'anno ciascuno. I contratti regolarmente dichiarati non sono più di 200-250, mentre i parlamentari sono 945: se togliessimo il contributo a 700 parlamentari sono 33 milioni e rotti di euro, hai voglia che cinque per mille...
Ecco perché anch'io sostengo questa petizione. Speriamo bene...

domenica 21 novembre 2010

Dov'è il limite?

Alla fine dell'ultima puntata di Annozero, Marco Travaglio ha fatto due domande a Sandro Bondi.
La prima riguardava l'assunzione del figlio della compagna di Bondi, la deputata Manuela Repetti, presso un ente collegato al ministero dello stesso Bondi, il quale ha risposto che si tratta di un normale contratto a tempo determinato in scadenza a dicembre, come hanno migliaia di ragazzi. Non ho informazioni al riguardo di questo fatto e di questa assunzione, quindi non mi esprimo.

Mi interessa di più la seconda domanda: Travaglio ha chiesto a Bondi come mai in mezzo a tutti i tagli era stato risparmiato il milione di euro stanziato per ristrutturare il teatro di Novi Ligure, città - guarda caso - di Manuela Repetti. Il ministro ha risposto che con gioia ha aderito alla richiesta di ristrutturazione pervenutagli da un sindaco di sinistra.
E' evidente che la richiesta non sarà stata perorata solo dal sindaco, ma anche dal deputato Manuela Repetti. Mi chiedo: questo è così sbagliato come appare? Ci lamentiamo che la legge elettorale attuale, con un parlamento di nominati e non di eletti, taglia i ponti tra il corpo elettorale e i suoi rappresentanti, che non sono più espressione di un territorio ma vengono scelti dall'alto.
In questo caso abbiamo un parlamentare eletto nella circoscrizione Piemonte I che perora una causa del proprio territorio. Mi chiedo: fin dove questa richiesta è legittimo interesse per il territorio e dove invece comincia il favoritismo (da Costituzione, articolo 67, ogni membro del Parlamento rappresenta tutta la Nazione, non solo il proprio elettorato)? Insomma, era una richiesta opportuna o meno?
Potremmo cavarcela dicendo che "domandare è lecito, rispondere è cortesia", che la richiesta si può fare e poi spettava a Bondi eventualmente valutarla e respingerla, ma mi pare un modo un po' semplicistico di fare le cose.

Non so dare una risposta definitiva alla domanda che ho posto sopra, se sia o meno opportuno agire in questo modo. Io credo che non l'avrei fatto.


  • p.s. non ho ancora scritto nulla sul "giorno del giudizio" del 14 dicembre, sulle presunte retromarce o pit stop di Fini, sulla fiducia eccetera, né mi interessa più di tanto farlo. Confermo ciò che avevo già detto qui: sono stufo di avere sempre diverse date da attendere, e nel mentre tutto è paralizzato, mentre i gioppini si agitano in questo teatrino delle marionette.

Merito e meritocrazia

Venerdì una pagina del Corriere titolava sul progetto del ministro Gelmini di premiare i professori più meritevoli con una mensilità in più in busta paga.
Naturalmente bisognerà valutare il metodo con cui si sceglieranno questi professori, visto che i criteri di valutazione sono la parte più delicata: se ci si basa sui risultati dei ragazzi come evitare improvvisi sbalzi di voti? Comunque si va senz'altro nella direzione giusta.
Mi sorgono due riflessioni su questo tema.

L'occhiello dell'articolo recitava: "I sindacati: ci interessa di più lo sblocco degli scatti di anzianità". Si vede subito chi sta dalla parte giusta e chi sta dalla parte della conservazione. Non dico che siano giusti o sbagliati gli scatti salariali e il loro blocco, ma è il caso di mettere i puntini sulle i in un'occasione in cui invece sarebbe stato bene gioire tutti per una possibilità economica in più offerta agli insegnanti? Così si accredita l'immagine di una categoria corporativa, abbarbicata a una difesa ad oltranza di tutti a prescindere dalla bravura. Magari non è così, ma la discussione sugli scatti salariali poteva essere tirata fuori in altre occasioni e altre sedi.

E più in generale, sul merito: tutti ci riempiamo la bocca con la necessità di premiare i meritevoli, anche economicamente, o di assumere solo i migliori. Siamo veramente pronti ad affrontare sul serio questa rivoluzione? Supponiamo che si individuino dei criteri oggettivi su come stilare le "classifiche" dei più bravi in ogni campo. A quel punto ci sarà chi rimarrà indietro: se si stila una classifica ci saranno i primi e ci saranno ance gli ultimi. Questi ultimi saranno penalizzati: è l'altra faccia della medaglia del premiare i primi, e se si sposa la meritocrazia avremo una parte di persone anche economicamente più indietro. Saremo pronti ad accettare questo, o grideremo all'ingiustizia, alla spietatezza del metodo, invocando comunque l'uguaglianza delle retribuzioni anche se toccherà a noi essere penalizzati? O magari si dirà "poverini, che vita che fanno, non è mica tutta colpa loro, è la società che non li fa esprimere"...

Io non ho una risposta pronta: ad accettare il rischio della meritocrazia ci vuole coraggio, è una scommessa. L'unica riflessione che mi sovviene a parziale risposta è che già oggi ci sono sacche di ingiustizia sociale: se queste fossero "giustificate" dal merito e non da una cristallizzazione sociale forse sarebbe meglio che non ora, e qualcuno di quelli che oggi sono più poveri potrebbe elevarsi grazie alla meritocrazia. E comunque potremmo dire che il problema ce lo porremo quando davvero avremo questo problema: oggi il problema è la mancanza di meritocrazia, non il suo eccesso, quindi potremmo cominciare nel mentre ad introdurre dosi di merito nella società.

domenica 14 novembre 2010

Un Vangelo esigente

Il Vangelo di oggi (Lc 21,5-19) è un Vangelo esigente per ogni cristiano, che fa riflettere e lascia anche un po' turbati.
Nell'interpretazione del mio Parroco, don Renato, Gesù ci parla non della fine della storia, ma del fine della storia, per cui la storia è il teatro in cui il cristiano è chiamato a rendere testimonianza. Questo anche se nella storia c'è il male, che è un elemento inevitabile, c'è sempre stato fin dall'inizio. Ma quante volte nel Vangelo Gesù dichiara beati i perseguitati, e invita a "prendere la propria croce", dicendo che chi perderà la vita per causa Sua la salverà (Mt 8, 34-38).
In questo Vangelo Gesù ci spiega che quando si parla del male e di perdere la vita, può non essere in senso figurato: al versetto 16 si parla esplicitamente di uccisioni dei cristiani (teniamo presente che quando Luca scrive si aveva già notizia certa di almeno due cristiani uccisi, Stefano e Giacomo, la cui sorte è riportata negli Atti).
E' il sangue dei martiri, che salveranno la propria vita (cfr. versetto 19) nella Vita Eterna. La Chiesa si è irrorata del sangue dei martiri lungo i secoli, potremmo dire che è cresciuta con esso. Ecco che ciascuno è chiamato ad essere perseverante in maniera esigente, fino al sacrificio supremo.
Attenzione, questo non vuol dire che bisogna andare a cercare il martirio, come in certe interpretazioni integraliste: negli Atti lo stesso Paolo, saputo che i Giudei complottano per ucciderlo, fugge da Damasco, cerca di evitare lo scontro fisico (At 9, 23-25). E' quindi più che lecito cercare di salvare la propria vita, ma non ad ogni costo: il martire non è colui che si caccia nei pasticci, ma colui che quando non gli si lascia altra via d'uscita preferisce restare fedele a Cristo anche di fronte alla morte.
La cosa confortante è che Cristo sarà al nostro fianco durante la testimonianza, quindi non temiamo anche quando siamo chiamati a testimoniare in condizioni difficili o di minoranza: non è detto che avremo successo, che andrà tutto bene come piacerebbe a noi, ma Lui è al nostro fianco e la nostra testimonianza porterà frutto. 

venerdì 12 novembre 2010

Famiglia, famiglie e altro

...altro nel senso: altro rispetto alla famiglia, non altre famiglie.

Si è conclusa la Conferenza sulla famiglia, con tutto un contorno di polemiche. Molti blog hanno seguito l'evento, la maggior parte (almeno di quello che conosco io) con fare critico.

Si è cominciato con questa affermazione di Giovanardi: "Scienza e biotecnologie possono togliere ai figli il diritto di nascere all'interno di una comunità d'amore con una identità certa paterna e materna.Metilparaben commenta duramente, traendo conclusioni che secondo me non si leggono nella frase riportata se non con un po' di malizia.
Infatti l'analisi si concentra sulla "comunità d'amore", mentre secondo me Giovanardi usa un'espressione poetica ma non vuole soffermarsi su quello. Insomma, secondo me quell'espressione poteva essere tranquillamente sostituita con "...all'interno di una condizione" o addirittura con "...nascere in un posto con una identità certa paterna e materna" e il senso non sarebbe cambiato. Sarebbe stata però una frase meno solenne (e qui secondo me è cascato l'asino Giovanardi), ma soprattutto sarebbe caduta tutta la polemica imbastita nel post.
Insomma, il vero discorso riguarda l'identità, ed è indiscutibile che alcune pratiche di biotecnologia (alcune, non tutte: si intende chiaramente la fecondazione eterologa o l'"utero in affitto", non la fecondazione artificiale da parte dei genitori!) possano generare discrasie tra i genitori biologici e quelli che crescono il bambino. Anche per i figli adottati da sempre si sa quanto è delicato il passaggio della presa di coscienza della loro origine, quindi è innegabile che quando si riproduce una situazione analoga ci sia una difficoltà, o una maggiore delicatezza.
Stiamo attenti anche a non creare diritti che non ci sono: non esiste il diritto ad un figlio naturale, biologico o partorito: questo è un desiderio, non un diritto. Esiste invece secondo me il diritto del bimbo (da tutelare prima dei genitori, perché più debole) ad avere un padre e una madre, motivo in più tra i molti che rendono auspicabili le adozioni.

Poi la polemica si è spostata sulle definizioni di famiglia, specie dopo che il ministro Sacconi ha dichiarato che gli aiuti fiscali (per ora solo fumose indicazioni d'intenti) saranno solo per le famiglie sposate e con figli, e via con le polemiche (scelgo ancora Metilparaben, ma solo per comodità: potrei linkarne a decine dello stesso tenore, ma Metilparaben è tra i blog migliori e più argomentati).
Anche qui mi pare che un po' si esageri. Intanto gli aiuti sono ovviamente destinati a chi procrea: una coppia, sposata o no, se non ha figli non è diversa da due single, anzi spesse volte - a voler essere pignoli - divide le spese di alloggio, quindi non ha certo più bisogno di aiuti di un single.
Quanto al matrimonio, io non riesco a capire per cosa sia necessaria la formalizzazione delle "unioni di fatto". Per formalizzarla c'è il matrimonio (ovviamente civile), no? Non capisco cos'ha che non va. Come in tutte le cose ci sono diritti e doveri anche nel rapporto di coppia. E' una specie di do ut des con lo Stato: io Stato ti garantisco delle agevolazioni, ma tu in cambio ti impegni a costruire un nucleo sociale stabile e ad essere responsabile nel mantenimento e nell'educazione dei figli, cose in cui io Stato ti sono semplice coadiutore ma tu famiglia sei la prima responsabile.
Perché i conviventi non si sposano? Cosa c'è che non va in un ragionamento del genere? E' il vincolo "contrattuale" che impaurisce, le pratiche di divorzio? Allora, se non c'è una garanzia di stabilità, io Stato non me la sento di garantirti la mia controparte. In tutti i rapporti, anche tra aziende, si richiede un contratto firmato, e il matrimonio civile altro non è che un contratto di convivenza.
Piuttosto lavoriamo per rendere più semplice il divorzio consensuale e senza figli (se ci sono figli, il divorzio va reso il più meditato possibile), visto che tanti convivono in attesa di separarsi legalmente dai vecchi compagni: in questo modo incentiveremmo almeno il risposarsi.
Io sono d'accordo nel regolamentare le unioni di fatto in modo legale, ma solo per una semplificazione burocratica nell'usufruire di diritti individuali: non stabilirei certamente diritti di coppia. Per esempio, si potrebbe pensare un certificato di "unione civile" che renda automatico il riconoscimento dei figli, per permettere le visite in ospedale, per destinare una parte dell'eredità (quella di cui ognuno dispone liberamente, non la "legittima") al convivente... Insomma, riunire una serie di atti già oggi praticabili separatamente in un atto unico, per evitare scartoffie e burocrazia. Ad un atto siffatto potrebbero accedere anche le coppie omosessuali, se lo desiderassero, e le modalità di "recesso" sarebbero molto più blande che per il divorzio.
Sono invece contrario, per esempio, all'istituire una reversibilità della pensione: questo è un "privilegio" accordato per il fatto di aver garantito l'orizzonte di lungo periodo con il matrimonio, e non un jolly che ci si gioca perché non si era scommesso su una relazione così stabile, ma è andata bene e si è rimasti insieme fino alla vecchiaia.
Se si vogliono più diritti, sposatevi! Per chi non si fida del tutto e vuole evitare rogne c'è sempre la separazione dei beni.

mercoledì 10 novembre 2010

Federalismo alluvionato

Tutto il piagnisteo leghista sul Veneto trascurato per l'alluvione mi sembra un po' eccessivo. E' probabilmente vero che ci sia stata meno attenzione per quel disastro che per altri, ma sappiamo che - giusto o sbagliato che sia - in Italia è il morto che fa notizia, e i due pensionati veneti non possono competere con la storia di Sarah Scazzi o con le molte vittime dei terremoti. Anche a Messina, dopo fenomeni analoghi, si lamentarono di essere trascurati.

Quanto ai soldi e ai rimborsi, qualcosa ci vuole senz'altro. E' curioso però che a chiederli siano i paladini del federalismo e dell'autonomia. Il federalismo non può valere solo quando si deve (e non si vuole) pagare, mentre a batter cassa sono tutti pronti.
In questo caso, poi, Bertolaso - non uno di sinistra - è stato chiaro e ha parlato di precise responsabilità e di incuria sul territorio: e a chi compete il territorio, se non alle amministrazioni locali di vari gradi?
Non può essere che se succede a Messina sono "i soliti terroni", mentre in Veneto è calamità naturale. Anche perché gli allagamenti si sono limitati al Veneto, ma ha diluviato in tutto il Nord, e non è esondato il Po (che raccoglie l'acqua di tutti) ma i fiumi locali. A Palazzolo l'Oglio straripava ogni quattro-cinque anni, hanno fatto dei lavori di contenimento e pulizia del letto e da almeno dieci anni non succede più nulla. Dobbiamo andare in Veneto a insegnar loro come si fa?
In un mondo ideale i soldi statali andrebbero affidati dopo un controllo della Protezione Civile, laddove sul territorio fossero state messe in opera sufficienti sicurezze. Per gli altri comuni, ci pensi la Regione, o la Provincia.

Anche Zaia che fissa le priorità ("prima il Veneto, e poi Pompei") è discutibile: i gladiatori non hanno esattamente la possibilità di rimboccarsi le maniche in proprio per rimettersi in piedi la casa... Comunque è una polemica sterile: i soldi vanno dati a entrambi, dividendo quelli che ci sono se non ce n'è abbastanza.

Qui lo dico e qui lo nego

Stasera il Brescia ha la possibilità concreta di battere la Juve. Un giorno in più di riposo (che con l'età e gli acciacchi bianconeri non è da trascurare), Juve decimata, ma Juve sicura di sè (troppo?), Brescia che fin qui ha raccolto meno del meritato...

lunedì 8 novembre 2010

Fini estrae un po' la spina

Fini fa un discorso di vacuità pratica mascherato con un eloquio capace, seppure un po' logorroico. Spero che non diventi presidente della Repubblica, o i suoi auguri di Capodanno ci faranno perdere il brindisi di mezzanotte...

Intendiamoci, non è vacuo perché gli manchino i bei contenuti o le buone intenzioni. E' vacuo perché è tutto un "vorrei ma non posso", bloccato dall'inopportunità per lui (qualcuno direbbe terrore) di andare alle urne. Fini conferma quanto dicevo sabato, ovvero che il target è Berlusconi, e lo esplicita, ma non trae le conseguenze logiche, quando chiede a Silvio di dimettersi. Le dimissioni le chiede un'opposizione, che non ha altro strumento. La maggioranza chiede le dimissioni con la sfiducia. E' un passaggio istituzionalmente surreale, dettato dalla paura di trovarsi col cerino in mano. Fini stacca "un po'" la spina, ma chiede a Berlusconi di estrarla del tutto. (A proposito di istituzioni, continuo a pensare che Fini dovrebbe dimettersi da Presidente della Camera.)

Far cadere il governo ora, invece, secondo me sarebbe una buona mossa anche per Fli, poiché visto che siamo sotto Natale renderebbe più plausibile un governo di transizione breve, che traghetti l'Italia fino alla primavera. E allora sì che si potrebbe parlare di legge elettorale. Certo, nei confronti del mandato elettorale non sarebbe il massimo,visto che il mandato è stato ottenuto con Berlusconi e non contro di lui, ma mi pare che in tutto il suo lungo discorso Fini si sia "dimenticato", questa volta, di citare la fedeltà agli elettori, come fatto altre volte.

Fini mette in chiaro però un punto che dovrebbe interessare il Pdl: chiarisce che il suo partito non è una costola della sinistra, ma vuole restare a destra a fargli concorrenza.
Questa concorrenza potrebbe anche essere efficace, almeno per qualche punto percentuale, per l'appeal di una forza politica nuova e perché alcuni problemi posti da Fli sono problemi veri. Ciò dovrebbe stimolare il Pdl a diventare un partito vero, di idee, di contenuti e non solo di leader. Per evitare di vedere una mini-diaspora bisogna dare risposta a istanze quali la legalità, la subalternità alla Lega (non tanto sul federalismo o sul meridionalismo, quanto su sicurezza e immigrazione) e via dicendo.

venerdì 5 novembre 2010

Silvio a braghe calate

Non ho resistito alla tentazione di titolare così il post... ma non voglio parlare delle (dis)avventure personali del nostro premier, bensì del discorso politico che ha fatto ieri.

Berlusconi si è detto disposto a un patto di legislatura, ha riconosciuto Fli come "terza gamba" della coalizione ed ha persino proposto di rivedere il sistema di alleanze del centro destra, promettendo secondo me un posto in coalizione a Fli anche in vista di future elezioni (evidentemente se queste non saranno vicine): una riabilitazione in piena regola, cioè tutto quello che Fini chiedeva da mesi.

Fini quindi viene accontentato in tutto. A memoria non mi sembra di ricordare altre richieste da Fli nei mesi scorsi. Forse mancano le scuse personali per quella che Fini ritiene un'espulsione, ma dopo tutte le accuse di "partito personale" rivolte al Pdl, lo stesso Gianfranco non potrà certo legare la politica di Futuro e libertà a una sua questione personale (o non dovrebbe farlo, per coerenza).
Politicamente mi sembra che non manchi nulla.

Adesso Fini è spalle al muro: per come la vedo io non c'è più un motivo valido per continuare le contrapposizioni. Almeno non all'interno del governo, della legislatura. Ma Fini non accetterà, non può accettare, perché il suo obiettivo politico è superare il berlusconismo, succedere a Berlusconi, e questo ovviamente non può essere il programma del governo attuale. Di più: non è un piano attuabile se il governo attuale lavora troppo bene, troppo tranquillamente.

Altri mesi di logoramento, quindi, ci attendono... almeno finché non saranno maturi i tempi per votare ad aprile. Ormai non si può aprire una crisi, si andrebbe a votare in un periodo anomalo, all'inizio dell'anno, e ci sono le vacanze di Natale. Che triste sarebbe un Natale in campagna elettorale, per gli italiani... Prepariamoci però a una crisi portata dalla Befana, o al più tardi (ma non credo) per Carnevale.

E pensare che visti i tempi collimanti bastava che Fini e Berlusconi si mettessero d'accordo per gestire l'enorme consenso: nel 2013 il primo a Palazzo Chigi da fedele delfino, il secondo al Quirinale.
Ripensandoci... per fortuna non ci hanno pensato!

Quattro novembre



  • In vista delle celebrazioni per il 4 novembre, che qui a Ospitaletto si terranno domenica, a mio padre (ex bersagliere) è stato chiesto di scrivere un pensiero per Ospitaletto.org, che però non è stato pubblicato sul giornale per mancanza di spazio. Volentieri lo ripropongo di seguito.



Ormai da molti anni partecipo alle celebrazioni per la ricorrenza del 4 novembre, e per quest’anno mi è stato proposto di mettere per iscritto una riflessione, e volentieri ne parlo.

Il 4 novembre, come tutti sappiamo, è l’anniversario della vittoria dell’Italia nella I guerra mondiale, ma è nel contempo la festa delle nostre Forze Armate.
Io non ho esperienza diretta della guerra, perché per fortuna la nostra Italia ha attraversato molti decenni di pace, ma tutte le volte che penso a queste ricorrenze il pensiero, più che agli eroismi e alla retorica, corre alla vita delle povere persone semplici di casa nostra e a quello che hanno dovuto sopportare servendo nell’Esercito in periodo di guerra.

Il ricordo più vivido che ho al riguardo sono i racconti di mio padre, che – come molti ragazzi della sua età – uscì per la prima volta dalla nostra provincia quando fu chiamato a fare il servizio militare a Roma, durante il fascismo. Ricordo quando mi parlava delle adunate di piazza Venezia: loro, i giovani di leva, costretti a stare inquadrati in piazza già dalle prime ore del mattino, in attesa che il Duce si affacciasse. Saranno fischiate le orecchie, a Mussolini, “con tote le madone che ga tiraem”, mi diceva mio padre!

Poi il congedo, e il ritorno a casa. Tranquillità interrotta una decina di anni dopo: richiamato alle armi per andare a combattere in Jugoslavia. Possiamo immaginare lo stato d’animo di tutta la famiglia, con tre figli piccoli a casa da tirare su e l’azienda agricola gestita da mio padre con i suoi due fratelli da portare avanti, con due dei tre fratelli nell’Esercito. Erano periodi di stenti, ma anche i militari non se la passavano meglio: mio padre conduceva i cavalli, e per un pezzo di pane barattava la biada con le popolazioni del posto.

I disagi per i civili non si limitavano alle privazioni: nei territori attraversati dagli eserciti a volte avvenivano soprusi da parte di alcuni soldati, anche commilitoni di papà, che approfittavano della loro posizione per vessare ulteriormente la popolazione. Mio padre mi raccontava sempre un episodio che l’aveva particolarmente impressionato di cui fu testimone nell’attuale Bosnia, dalle parti di Srebrenica, dove un milite delle camicie nere uccise a freddo due contadini che, al passaggio di un convoglio, si rifiutarono di fare il saluto fascista.

E mio padre fu ancora uno dei più fortunati, perché tornò a casa. Quanti soldati, impegnati in guerre che non capivano, sono rimasti sui campi di battaglia! In questa ricorrenza intendo proprio ricordare non i generali o gli eroismi, ma tutti i soldati che hanno servito le Forze Armate in tempi difficili, in particolare i caduti, che giustamente onoriamo nel corso delle manifestazioni annuali.

                                                                                                   Angelo Libretti

martedì 2 novembre 2010

Campionato senza padroni

La partita di sabato ha certificato che la Juve è una squadra media, forse a ridosso delle grandi. Ha vinto a S. Siro, certo, ma il Milan ha oggettivamente giocato meglio, mentre la Juve ha giocato una partita sorniona, di chi sa di essere inferiore. Confermo la mia opinione di inizio campionato: si lotterà per il quarto posto, magari per il terzo, ma Inter e Milan sono davanti.
Tra le due vedo l'Inter favorita per lo scudetto. Negli scontri diretti a S. Siro la con la Juve il Milan ha fatto impressione migliore dell'Inter, ma proprio per questo vincerà l'Inter: il Milan infatti ha portato a casa zero punti giocando meglio, mentre la Beneamata (ma de che?) ha preso un punto anche giocando male. Il Milan manca di concretezza, di solidità, può alternare buone gare ad altre inconcludenti.
Ibrahimovic, tra l'altro, è la certificazione di quanto si diceva sulla Juve: non è una grande squadra. Contro le grandi Ibra stecca regolarmente... Altro inciso: non capisco perché Del Neri goda di così buona stampa. Ranieri con gli stessi risultati avrebbe visto mugugni su mugugni... Forse è il credito dovuto al disastro della scorsa stagione.

Capitolo a parte merita Del Piero, che ha battuto il record di gol di Boniperti. Grande calciatore, grande juventino, Ale è costante, senza picchi di rendimento alla Messi ma senza periodi di buio particolari.
Dopo gli infortuni ricorrenti di fine millennio ha modificato il suo modo di giocare, diventando sempre meno numero 10 e sempre più seconda punta. Meno dribbling e più gol, insomma. L'ultima parte della carriera è stata caratterizzata dalla sua grande precisione balistica: Del Piero ha un gran piede, e difficilmente fallisce le occasioni che capitano. Si vede anche dalle sue punizioni... Anche Baggio nell'ultima parte di carriera ha avuto un'evoluzione simile, ma con le ginocchia più martoriate non si muoveva praticamente più, Del Piero invece ogni tanto corre e torna, ed è ben integro per i suoi 36 anni.
Per essere considerato un grande assoluto gli mancano i gol in Nazionale, o meglio di gol ne ha fatti tanti, ma nelle grandi manifestazioni è sparito (vedi la finale di Euro 2000). Per fortuna Berlino 2006 ha un po' lavato quell'onta...
La serata di sabato ha mostrato una volta di più che Del Piero ha altra classe rispetto a Totti. Sul campo forse no, anche se Totti è di difficile valutazione mancandogli adeguata carriera internazionale e poiché i giudizi a Roma sono tutti particolari, estremizzati. Come uomo non c'è confronto, e non infierirò oltre sul Pupone. Ale è la Juve ed è (ciò che rimane del)lo stile Juve. Totti è Roma...

La società Juventus invece mi pare migliorata con l'arrivo di Andrea Agnelli. Sulla questione scudetti 2005 e 2006, mi pare che alla luce delle risultanze processuali, in cui è emerso più materiale a discarico che non a carico oltre a una quantità di materiale indiscutibilmente trascurato, faccia bene. Poi la riassegnazione sarà dura, la giustizia sportiva non può smentirsi così clamorosamente, anche se quello del 2006 somiglia sempre più a un colpo di mano interista (almeno per l'entità delle punizioni). Sarà anche una questione di peso politico tra le squadre.

Quanto al campionato, la Lazio si sgonfierà. Per ora va bene, ma è anche un fatto figlio del calendario: l'Aquila ha le sue sei vittorie contro Bologna, Fiorentina, Chievo, Brescia, Bari, Cagliari e Palermo. E' quindi una squadra che fa il massimo possibile, grande merito ma che non basta per uno scudetto. Certo hanno tanta fiducia, il che aiuta.

La fiducia è ciò che manca al Brescia. La squadra c'è, o non è così pessima, ma un po' le cose girano male e un po' è in crisi di fiducia. Certo anche l'allenatore ha le sue colpe (perché insistere così su Eder?). Guardiamo il bicchiere mezzo pieno: la squadra con più sconfitte in A non è ancora in zona retrocessione. Questo perchè poche vittorie contano più di molti pareggi, e per come gioca il Brescia qualche vittoria arriverà.

Fiducia che temo arriverà anche per la Mens Sana Siena (piccola finestra sul basket), ma verso fine campionato tutti si ricorderanno che Siena "è stata battibile" a inizio campionato e questo contribuirà a non far percepire i playoff come chiusi in partenza. L'Olimpia Milano ha tanta profondità che può far bene anche senza allenatore...

venerdì 29 ottobre 2010

Di Silvio e dei dintorni

Si fa un gran parlare delle magagne vere o presunte del nostro Presidente del Consiglio, che invero ne ha proprio tante.

Cominciamo dal lodo Alfano. Io non sono contrario. E' vero che esso è legato alla contingenza di Silvio Berlusconi e ai suoi processi, ma questa contingenza ha effettivamente posto il problema del rapporto tra la magistratura e i massimi poteri dello Stato (attenzione, non tra la magistratura e la politica tout court).
Credo che uno "scudo" giudiziario per le più alte cariche dello Stato sia ammissibile. Non dico necessario, ma ammissibile sì, chiarendo bene che si tratta di una sospensione dei processi, non di una cancellazione degli stessi, e che si sospendono anche i termini di prescrizione.
Negarlo con motivi di politica giudiziaria sull'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge è legittimo, mentre negarlo facendo riferimento ai processi di Berlusconi è secondo me anch'essa un'interpretazione ad personam. Poi è chiaro che va scritto meglio, specie nella parte che riguarda il capo dello Stato - come Napolitano stesso ha fato notare.
Mi sembra ancor più bizzarra tutta la questione della reiterabilità: se il principio del lodo è applicato alla carica e non alla persona, vale indipendentemente da chi la detiene, e quindi anche da quanti mandati ha fatto. Un'interpretazione diversa sarebbe esclusivamente ad personam contro Berlusconi.
La non reiterabilità assomiglierebbe a un "invito" al titolare di carica indagato a non ricandidarsi per altri mandati per motivi giudiziari, alla faccia della sovranità del Parlamento, che elegge il Presidente e vota la fiducia al capo del Governo.

Sull'altra vicenda che coinvolge Silvio Berlusconi, quella della ragazza marocchina, avrei gradito non sentirne nemmeno parlare. Parecchia spazzatura, illazioni, racconti tutti da verificare, fatti privati. A differenza di altri, trovo veniale anche il fatto della telefonata in Questura per sbloccare la situazione di una minorenne che comunque andava affidata in custodia a qualcuno (una comunità, se non era la Minetti).
La cosa significativa di tutta questa storia secondo me è proprio il coinvolgimento della Minetti - consigliere regionale imposta e non eletta - quale "amica" o "conoscente" o "affidataria" di una cubista minorenne, che mostra in quale sottospecie di ambiente torbido, di avanspettacolo, di basso livello si muova la classe dirigente politica al giorno d'oggi.
Non parlo di Silvio, che fa caso a sè e che pur venendo dal mondo dello spettacolo (o meglio da un ambiente a contatto con lo spettacolo) è innegabilmente una persona intelligente, abile e anche preparata. Parlo della classe politica intermedia, i "quadri" del potere, che si intrallazzano (o addirittura si pescano) tra Lele Mora e ciarpame velinico vario. Non proprio ambienti di alto livello.
La Stampa scrive che "Berlusconi ha detto ieri che tutto ciò è "spazzatura", e non c'è dubbio che lo sia. Ma resta da vedere se è spazzatura mediatica , o spazzatura prodotta da una classe dirigente che non ha altri spunti di discussione da offrire ai giornali. Siamo noi giornalisti che perdiamo tempo appresso a stupidaggini, o è una certa classe dirigente a essere responsabile di un degrado da basso impero?" Probabilmente, e tristemente, entrambe le cose, dico io.


martedì 26 ottobre 2010

Non è tutto oro quello che luccica

Sul Corriere di oggi leggo questo articolo sul Bhutan e il Fil.
Attenzione, il Fil - come il Pil - è solo uno strumento, dipende da come lo si usa. Con la differenza che, non essendo fatto di cifre "oggettive", è più facilmente manipolabile.
L'articolo mi ha ricordato una cosa che avevo letto anni fa, per cui in Bhutan hanno deciso che i bhutanesi sono più felici tra di loro e senza immigrati, per cui per far crescere il Fil hanno proceduto a espulsioni coatte. Qualcuno parla anche di campi di concentramento per gli immigrati nepalesi (immagino saranno come i nostri Cie, o come si chiamano ora). Si veda a proposito qui: non ho verificato l'attendibilità - non ne ho gli strumenti - ma è una cosa che ho sentito molte volte.
Un'altra osservazione chemi viene è che un Governo che decide cosa rende felici i cittadini ha un po' il retrogusto dello Stato etico, infatti la laicità del Bhutan è ancora molto questionata... Superare il Pil è necessario, magari attraverso un Pil "qualitativo", soppesato per settori (istruzione, ricerca, investimenti ecc.) ma il Fil mi sembra decisamente un azzardo.

domenica 24 ottobre 2010

(Giovani) cattolici in politica

Si sente tanto parlare di cattolici in politica, in questi anni. Il cardinal Bagnasco invoca una nuova generazione di politici cattolici, Famiglia Cristiana pure. Provo a dire la mia al riguardo.
Intanto secondo me traspare chiaramente da questi richiami la constatazione che gli attuali "cattolici in politica" siano insoddisfacenti, ma non è su questo che mi voglio soffermare.

La mia posizione sull'impegno dei laici cattolici nell'ambito politico è mutata nel corso degli anni. Quando ero più giovane subivo il fascino della "balena bianca", e auspicavo la presenza di un partito unico dei cattolici.
Negli ultimi anni, invece, ho un po' cambiato idea, provocato anche dalla frequenza ad alcuni appuntamenti di formazione a tema socio-politico.
Già nel 2008, infatti, ad un incontro della Scuola di formazione diocesana all'impegno sociale e politico, un relatore faceva notare come secondo lui il ruolo dei cattolici dovesse essere quello di "lievito" della politica, superando quindi l'idea di un solo partito o di un solo schieramento. Del resto lo stesso Vangelo ci invita a essere "sale della terra", o "granello di senapa": piccoli semi per insaporire il tutto e dare grandi frutti.
Anche il Compendio di dottrina sociale della Chiesa spiega che l'incarnazione del Vangelo nel mondo non è appannaggio di una visione sola, di un'ideologia fissa, ma può trovare molte strade, anche a seconda di quali priorità uno senta più vicine alla propria sensibilità personale.
Quest'anno, a un incontro del Corso interassociativo tenuto a febbraio qui ad Ospitaletto, padre Bartolomeo Sorge sosteneva anch'egli che ci possono essere cattolici in tutti gli schieramenti, in ogni partito, impegnati a portare avanti ideali cristiani e cercare di porli all'attenzione dei programmi del partito stesso. Lui sorridendo diceva che vedeva un po' più difficile "orientare" evangelicamente anche la Lega Nord, e che un cattolico che se la fosse sentita poteva anche provarci, anche se -diceva padre Sorge - "non so che fine farà".
Anche lo schema politico degli ultimi decenni, che ha visto la cosiddetta "diaspora" dei cattolici, non può essere visto come un segno dei tempi? Sarà questo che il Signore ci chiede: essere testimoni in ogni partito della dottrina in cui crediamo?

Allora credo che oggi il compito dei cattolici impegnati in politica - difficile e affascinante, d'altronde non è mai stato facile, come ci ricordava Paolo VI - sia quello di cercare di portare il germe del Vangelo in ogni partito, in ogni ambiente, senza imporlo (oggi non ne avremmo nemmeno la forza numerica), ma facendolo percepire in tutta la sua ragionevolezza e in tutta la sua bontà. Io veramente non vedo nel panorama politico partiti che non propugnino almeno qualche idea che è perfettamente accettabile e difendibile per un cattolico: sta a noi coltivarle e magari far camminare il partito laddove invece non si è tanto convinti. Oggi è la Giornata Missionaria: questo è un bel campo di missione!
Tante volte ci si sofferma sulle "differenze" tra i programmi dei partiti e la dottrina sociale della Chiesa, in modo da lavorare "ad excludendum" sostenendo che un cattolico non può assolutamente stare in questo o quel partito. Invece bisogna secondo me sottolineare le comunanze, i punti buoni che ogni parte propone, e cercare di renderli prioritari nell'azione legislativa o programmatica.

E' chiaro che per fare una cosa del genere è necessario essere preparati, preparatissimi, per portare avanti la propria posizione con cognizione di causa e sempre pronti a renderne ragione, parafrasando 1Pt 3,15. L'urgenza di oggi quindi è la formazione, soprattutto dei giovani ma anche delle altre generazioni. I cattolici devono quindi impegnarsi su due fronti (l'uno non esclude l'altro): l'impegno diretto in politica, ma anche la diffusione della conoscenza, della consapevolezza sui temi Politici (e la P non è un refuso).

P.S. Ciò che ho detto non esclude poi che ci possa essere un partito "cattolicamente ispirato", perché è giusto comunque avere una garanzia di tribuna per chi proprio non si senta rappresentato, o per far presenti certe istanze se nessun altro lo fa. Ciò che intendo è che questo partito non deve sentirsi egemone del voto dei cristiani, né l'unico destinatario del loro impegno! 

giovedì 21 ottobre 2010

Ciao Mauro

Quando a Messa si recita l'atto penitenziale, si ammette di avere "molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni".
Tante volte focalizziamo l'attenzione sui primi tre generi di peccato, perché ci appaiono più gravi che non le omissioni. Sarà più grave avere fatto qualcosa che non il non averlo fatto...

E invece forse non è così. Se noi in una vita non facessimo mai nulla di male, ma nemmeno nulla di buono, finiremmo come gli ignavi danteschi. Saremmo come il servo che sotterra il suo talento senza farlo fruttare (Mt 25, 14-30).
Sarebbe meglio piuttosto commettere qualche peccato, ma cercare di fare del bene quanto più possibile, piuttosto che l'inazione. I santi non sono certo ignavi, a volte sono anche peccatori (pensiamo a S. Agostino), ma sappiamo anche dal Vangelo che un gesto d'amore vale più di tanti peccati, agli occhi di Dio: pensiamo al buon ladrone o al Samaritano. Saremo giudicati per quanto abbiamo amato, non per quanto abbiamo peccato, perchè alla fine solo l'Amore resterà (1Cor 13, 1-13)!

Forse tendiamo a rimuovere i peccati di omissione perché l'idea è che "c'è sempre tempo" per fare il bene, e che se una cosa non si fa oggi la si farà domani.
Poi però non è sempre così, a volte il tempo scade, e le occasioni perse ci restano sul groppone, a pesare come un fardello di cui ci si accorge quando è troppo tardi.
E allora non sprechiamo il tempo e le occasioni che abbiamo!

Ciao Mauro, guardaci da lassù, scusa di tutto il bene mancato e grazie per questo insegnamento.

giovedì 14 ottobre 2010

La coperta corta

Dopo qualche giorno di dietrologie, per cui Fini avrebbe appositamente calendarizzato la discussione della riforma universitaria alla Camera troppo vicino alla sessione di bilancio per rimandarla ancora sine die, ora si scopre che è Tremonti a non volerla, per questioni di soldi.
La discussione infatti verte sugli ultimi emendamenti introdotti, che prevedono l'immissione in ruolo di 9000 ricercatori in sei anni, per i quali non ci sarebbe la necessaria copertura.

Non sono informato nei dettagli sulla riforma universitaria, ma questo modo di fare le regole mi lascia perplesso. La riforma gira da due anni per le commissioni, possibile che in due anni e tutti i passaggi nessuno abbia ritenuto utili le assunzioni, che invece compaiono di punto in bianco in extremis, evidentemente sulla scia delle proteste?
Assumere 9000 persone non è una spesa una tantum, carica lo Stato di 9000 stipendi - nemmeno bassi - per i prossimi decenni. Si può fare così, a cuor leggero, di fretta e con una copertura finanziaria dubbia?

Non sto dicendo che i professori non servono, magari servono pure (anche se per la mia esperienza personale ho dei dubbi), ma bisogna comunque assumere a ragion veduta e - se si decide che questi nuovi professori servono - trovare i soldi necessari.
Fatta così la cosa somiglia a una sanatoria per accontentare i ricercatori di adesso - che hanno comunque le loro buone ragioni - a spese dei giovani di domani, che troveranno le carriere ostruite.
Se si vuole assumere secondo me bisogna farlo contestualmente a meccanismi che rendano questi ambiti posti un po' meno fissi (baronie) e un po' più legati a indicatori oggettivi di rendimento (pubblicazioni su riviste internazionali?), in modo da garantire comunque un certo ricambio e una maggiore accessibilità ai ruoli, anche in futuro.

martedì 12 ottobre 2010

Ma cos'è la destra? Cos'è la sinistra?

Ieri Il Predellino, quotidiano online del famigerato deputato ultraberlusconiano Giorgio Clelio Stracquadanio, ha commentato così due articoli su La Stampa, a firma Luca Ricolfi e Marcello Sorgi. Al di là delle prese di posizione, ovviamente molto di parte, mi interessa soprattutto un passaggio, quello in cui Ricolfi sostiene che le cose buone fatte dal governo “sono cose di sinistra”, mentre Il Predellino fa notare che “non risulta che il rigore dei conti pubblici, la riduzione del peso dello Stato, l’efficienza della pubblica amministrazione, la meritocrazia siano prerogative delle politiche di sinistra […] è vero il contrario”.

Perché non si riesce a pensare che alcune cose, le cose buone e giuste, non sono di destra o di sinistra, ma sono semplicemente cose buone e giuste? E’ il concetto di bene comune: essendo comune, dovrebbe essere (abbastanza) facilmente riconosciuto da tutti, o quasi.

Non lo si può intestare per forza ad una parte, dicendo che gli altri fanno solo cose sbagliate (spudorato il passaggio secondo cui “il concetto di stato efficiente è contrario al sistema clientelare con cui la sinistra prende voti”, dimenticando per esempio il pieno di voti presi da Berlusconi in Sicilia, dove non si brilla certo per trasparenza).

giovedì 7 ottobre 2010

Back in action...

Di ritorno da otto giorni in Toscana...
Che bello! La Toscana è sempre splendida.
Un grazie a Francesca che mi ha accompagnato.

domenica 26 settembre 2010

Parole sante

Trovo solo ora il tempo di commentare due pezzi interessanti. Sul Corriere di venerdì 24 Pietro Ostellino espone un'analisi sull'insipienza della classe politica e dell'attuale momento, ampliando poi il discorso a toccare l'intero processo storico degli ultimo quindici anni, con la comparsa del berlusconismo e dell'antiberlusconismo. Non condivido al 100% l'articolo, ma è molto, molto interessante.

Si legge, di fondo, un'eco di scoramento, di disillusione sulle effettive potenzialità riformatrici di Berlusconi:
"L’inconsistenza della cultura politica nazionale è l’autentica cifra del centrodestra; ne condiziona la capacità di dar vita al cambiamento promesso, e mai attuato, e di produrre «politiche» davvero modernizzatrici. È anche l’indotto delle corporazioni, degli interessi organizzati, ai quali il suo leader è tutt’altro che insensibile. [...] La diffusione di una cultura politica autenticamente liberal-democratica è bloccata perché metterebbe a rischio gli interessi corporativi dell’establishment intellettuale."
E dà, forse, una risposta a quel che mi chiedevo nel precedente post: cosa aspettano a governare davvero? C'è un'autoreferenzialità di fondo nella classe politica, scollata dalla realtà e presa molto più dal Palazzo e dagli amici del Palazzo che da quella stessa realtà.

L'analisi è ancora più spietata qualche riga sotto:
"Il popolo di destra e quello di sinistra [...] vivono una realtà «virtuale» rappresentata, per il popolo di centrodestra, dalle (continue) promesse e dalle (inespresse) virtù taumaturgiche del capo; l’altra, per il popolo di centrosinistra, dalla sua demonizzazione." 
In pratica non c'è via d'uscita... Per il centro destra la realtà virtuale, aggiungo io, è creata dal tubo catodico. Il centro sinistra ha una realtà virtuale di riflesso, alimentata da giornali come Repubblica, che francamente mi sembra scaduto moltissimo in faziosità negli ultimi anni.

Inutile dire che l'anomalia segnalata, fin qui, è molto legata alla presenza di Berlusconi. Aspetto con curiosità di vedere cosa succederà alla sua scomparsa (politica), cosa accadrà di un quadro politico e persino civile che lui ha comunque segnato profondamente e contribuito a cambiare radicalmente degli ultimi vent'anni, e secondo me non in meglio.

Ma anche la fine del berlusconismo può non essere la soluzione di tutti i mali della sinistra, e qui mi ricollego al fondo di Luca Ricolfi, su La Stampa, che concentra l’attenzione sul Pd e sul documento dei veltroniani. Stavolta credo che potrei citare in toto l'articolo, senza distinguo. Qui lo interpreto un po' aggiungendoci del mio.
Il Pd ha due problemi:


  1. l'antiberlusconismo, di cui dice anche Ostellino;


  2. la sindrome dell'opposizione.


Anche per ascendenze storiche, infatti, i democratici sono molto più usi a fare opposizione che non maggioranza, e il manuale del bravo oppositore dice che i provvedimenti di chi governa sono sempre sbagliati, anche quando sono giusti. Questo vale per tutte le opposizioni, ma il Pd (e i DS e via risalendo) lo fanno storicamente da più tempo.
A questo proposito Ricolfi cita tanti temi (questione meridionale, legalità, scuola, università), tutti campi di battaglia belli, buoni e su cui le politiche messe in campo possono migliorare, ma su cui il Pd manca completamente di riconoscere i meriti al governo anche laddove ci sono, per i motivi 1 e 2 di cui sopra.
E non sarà togliendo di mezzo il motivo 1 (=Silvio) che certe cose da lui fatte (tra le poche...) diventeranno sbagliate o cesseranno d'essere giuste: bisognerà riconoscerne la necessità togliendo dall'orizzonte anche il motivo 2, l'opposizione a priori, e non si potranno smontare certi provvedimenti anche se e quando il Pd sarà al governo.

Per qualche esempio, cito:
"bisogna avere il coraggio di riconoscere un’altra immagine dell’Italia, di esplicitare un’altra diagnosi dei nostri mali. Una diagnosi in cui, ad esempio, non si abbia timore di indicare i lussi che non possiamo più permetterci: andare in pensione a 60 anni, spendere 100 per servizi che potremmo produrre con 70, stabilizzare centinaia di migliaia di precari per mantenere il consenso politico ai governanti, di destra o di sinistra che siano. [...] Ad esempio, che la spesa pubblica va ridotta ancora di più di quanto abbia fatto Tremonti, altrimenti non abbasseremo mai le tasse sui produttori. Che il lavoro che fanno Brunetta e Gelmini in materia di pubblico impiego può essere fatto meglio, forse molto meglio, ma comunque va fatto. Che il Mezzogiorno non può continuare ad assorbire risorse che non produce, se non altro perché i quattrini sono finiti. E che, sulla mafia, quel che ci auguriamo è che un futuro governo di centro-sinistra non faccia rimpiangere Maroni."

Parole sante.

P.S. Ho parlato male di Repubblica. Per avere un esempio di giornalismo schierato ma non fazioso, leggete www.lavoce.info. Il responsabile è Tito Boeri, economista di area centrosinistra, l'economista preferito di Ballarò. Gli articoli non sono mai teneri con le politiche del governo, ma quando ci vuole si scrivono anche cose come questa.

giovedì 23 settembre 2010

Campa cavallo che l'erba cresce


...aspetta e spera che poi s'avvera e via dicendo.
Però avrei potuto intitolarlo anche "pessimismo e fastidio", o qualcosa del genere.

Ricapitolando: abbiamo passato l'estate ad attendere qualcosa. Prima era il voto su Caliendo (ve lo ricordate?), poi il discorso di Fini a Mirabello, ora il discorso di Berlusconi sui cinque punti.
Nel frattempo, ricordate qualcosa che abbia a che fare con quello di cui ha bisogno il Paese? Io, nulla. Non per forza riforme condivise, anche leggi portate avanti a colpi di maggioranza, ma proposte concrete, vivaddio. Che so, il dossier sul nucleare, una riforma degli ammortizzatori sociali, un federalismo qualsiasi che abbia dei numeri e non solo dei titoli (per esempio la definizione dei costi standard della sanità). L'unica "riforma" di cui si è parlato è quella della scuola, perchè è entrata in vigore ora, ma era già stata approvata tempo addietro. La riforma dell'università è passata al Senato, ma ora è in commissione alla Camera.

Mi accontenterei persino di qualche decreto legge. Ma niente. Ci stiamo avvitando nelle beghe interne alla maggioranza e all'opposizione (che non si fa mancare nulla, quanto a beghe).
Era questo il logoramento temuto da Berlusconi? Spiace dirlo, ma in aula i finiani hanno avuto ben poche occasioni di logorare. Qui è un logoramento di dichiarazioni, interviste, interventi, eccetera, ma mai su nulla di concreto. E' una specie di "logoramento preventivo", non nei fatti, a cui non si sottrae nemmeno Berlusconi, con le sue tattiche e tattichette sui gruppi dei "responsabili" a far da ruota di scorta.

Io mi sto veramente stufando di aspettare che i nostri parlamentari si decidano a governare sul serio. Bene o male, ma almeno pensino a qualcosa che riguarda l'Italia, non il Palazzo, le maggioranze, i 316 sì o i 316 no.
Non sono nemmeno favorevole a elezioni subito perchè non si riesce a farlo (a governare, intendo): non ci stanno nemmeno provando. Inoltre le elezioni non le vuole nessuno.

Ma allora si decidono a fare qualcosa?

lunedì 20 settembre 2010

Nomadi e XXI secolo

Le iniziative francesi dei giorni scorsi hanno riacceso, come periodicamente avviene, i riflettori sulla questione rom. Io non conosco molto dell'argomento, e soprattutto non ho una soluzione sottomano. E' un tasto veramente complesso, che la civiltà moderna tende a rimuovere.

Cominciamo con il parlare di normative che possano riguardare i nomadi, per cercare di inquadrare politicamente e/o socialmente questo fenomeno.

La Costituzione italiana prevede esplicita tutela solo per le minoranze linguistiche (art. 6), non etniche o culturali. Costituzionalmente, quindi, la tutela dei rom si inserisce nell'articolo 3, quello che recita "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Normalmente questo articolo è interpretato nel verso della non discriminazione, e non della tutela attiva o promozione delle minoranze.
C'è poi una legge (482/1999) intitolata "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche", che estende il discorso al contesto culturale in cui le minoranze sono inserite, ma parla ancora di minoranze linguistiche.
I nomadi però in Italia non sono trattati come una semplice minoranza linguistica: per le minoranze linguistiche (pensiamo ai ladini) si prevede la tutela e la non discriminazione della lingua, ma non si provvede a fornire servizi (leggi: campi nomadi). Chi parla il ladino non sta in case popolari fornite perché si tratta di una minoranza linguistica... Quindi i nomadi non sono assimilabili una minoranza linguistica.

Metà delle regioni italiane ha poi una legislazione regionale ad hoc per, che prevede per esempio i campi nomadi e le meritorie iniziative di inserimento ed integrazione. Il Secolo d'Italia del 17/9 ci informa che "queste leggi prescrivono che gli insediamenti debbano essere dislocati in aree metropolitane non degradate dotate di infrastrutture, elettricità, servizi igienici, acqua potabile, fognature e raccolta dei rifiuti, con facile accesso ai servizi socio-sanitari e alle scuole".
Al di là del fatto che queste indicazioni siano più o meno disattese, la domanda che mi faccio è: chi paga? I rom pagano un affitto ai Comuni?
Se sì, sono forse assimilabili a dei "campeggiatori": gente che scegliere di vivere per periodi più o meno lunghi in maniera girovaga, e paga per i servizi. Allora mi sorge un'altra domanda: ma i campeggi non vanno bene per le roulotte e i camper rom? Non è ironico, me lo chiedo davvero: in linea di principio che differenza c'è? Perchè creare dei "campeggi pubblici"? Forse quelli privati costano troppo, quindi il pubblico fornisce una specie di "case popolari" a prezzo calmierato.
Se i rom invece non pagano, è giusto che la comunità paghi le scelte di vita di una sua parte?
Forse sì, nell'ottica di una politica sociale, ma faccio già più fatica ad accettarlo. I rom sono allora comparabili a dei nullatenenti, a cui lo Stato fornisce alloggi di minima sussistenza? E allora tutti i barboni delle città non avrebbero lo stesso diritto? Perché non usare le stesse strutture (campi nomadi) come semplici dormitori aperti anche a chi rom non è?

Quindi, fin qui io non riesco ad inquadrare i nomadi né come minoranza linguistica, né come "campeggiatori eterni", né come abbonati ai servizi sociali.
E qui mi faccio una domanda: i nomadi - meglio: il nomadismo è inquadrabile in qualche modo nella moderna società occidentale del XXI secolo?
Io qualche dubbio ce l'ho.

L'attività umana ha subito nei millenni una progressiva, inarrestabile transizione da nomade a stanziale. A partire dall'agricoltura, passando per le urbanizzazioni del Medioevo e dell'era industriale, le varie popolazioni nomadi man mano hanno messo radici. Oggi la situazione è tale che anche le attività lavorative (=il sostentamento) richiedono una stabilità, senza parlare poi della scuola per i bambini.
Inoltre, non capisco bene come i rom cittadini italiani possano certificare la propria residenza: il domicilio si elegge, e va bene, ma la residenza va certificata dai vigili, e si basa proprio su una certa stabilità di posizionamento: bisogna dimostrare di vivere lì, in quel posto in forma stabile, per vedersi certificata la residenza, chi si sposa o va ad abitare da solo lo sa bene.

In definitiva, secondo me la cultura rom nomade è - a tendere - in via di estinzione, per una sorta di "darwinismo" delle culture: non si adatta all'ambiente circostante. Mi chiedo se tutelarla legalmente non sia accanimento terapeutico; bisogna invece proseguire con la non discriminazione e i piani di integrazione, che però vedo poco possibili senza una virata verso la stanzialità delle famiglie coinvolte.

mercoledì 15 settembre 2010

Questione di linguaggi

Leggo che Giuseppe Civati scrive questo.
Pippo Civati è uno dei "giovani" dirigenti del Pd. Lui, Renzi e la Serracchiani sono considerati il nuovo nel partito. Lui in particolare usa molto il web. Ogni tanto lo seguo, lo apprezzo soprattutto in due cose: nella efficacia con cui denuncia gli errori del Pd e quando riesce a dare concretezza alle idee che esprime con alcune iniziative pratiche, sul territorio. Mi sembra che a volte sia carente su una visione più globale (e non su singoli temi) di quel che dovrebbe essere il Pd, ma stavolta qualcosa prova a dire.

Luigi Castaldi - alias Malvino - commenta così.
Luigi Castaldi è un radicale, intelligente e arguto in molte argomentazioni. Provocatorio in senso positivo, anche per un credente come me.

Questo "botta e risposta" mi suscita una riflessione sul linguaggio. Secondo me in politica prima o poi devi fare il politico, il politicante, usare il politichese. Certi temi - strategie, prospettive, idee - non si possono evitare per parlare sempre dei casi pratici (che so, la scuola di Adro o la visita di Gheddafi). Nello stesso tempo è difficile, quasi impossibile parlarne senza usare termini che oggi suonano antipatici, troppo politichesi, in un certo senso "stupidi", come quelli che Castaldi fa notare.

E nel momento in cui lo si fa, troverai sempre qualcuno che te lo fa notare, a mio parere in modo un po' qualunquista. Non è il caso di Castaldi, che da radicale ha una consolidata tradizione di anti-partitocrazia e, appunto, di radicalismo, ma spesse volte molti commentatori sono pronti a lanciare strali contro i "discorsi vaghi e fumosi" senza proporre alternative migliori.

Per evitare di dare quest'impressione l'unica possibilità è inventare un linguaggio nuovo, immaginifico, come Obama, o Vendola, o - in modo diverso - Berlusconi. Veltroni ci ha provato, ma l'ha infarcito di un po' troppi "ma anche"... E comunque all'atto pratico i nodi vengono al pettine, come sta succedendo a Silvio e Obama.

lunedì 13 settembre 2010

Facciamo i conti con la scuola

Oggi è il primo giorno di scuola, accompagnato come al solito d grandi polemiche. Sono andato a spulciare il rapporto annuale dell'OCSE sull'educazione, Education at a Glance 2010, pubblicato pochi giorni fa per cercare di districarmi un po' fra i numeri e le cifre.
Tutti i dati citati vengono quindi da qui: www.oecd.org/edu/eag2010; i dati risalgono all'anno 2008 (quindi prima dell'entrata in vigore delle riforme Gelmini dello scorso anno), ma sono gli ultimi disponibili e permettono di farsi un po' un'idea.
Per i raffronti si useranno i dati dei cinque grandi Paesi europei (Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania) e le medie UE e OCSE (che comprende anche gli USA) riguardanti l'istruzione elementare, media e superiore (non l'università).

1. QUANTO SI SPENDE PER LA SCUOLA?

Il dato più citato nel leggere il rapporto è quello riportato di seguito, ovvero la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL.




































Spesa per l'istruzione sul PIL

Italia

3.1%

Francia

3.9%

Germania

3.0%

Gran Bretagna

4.2%

Spagna

3.9%

Media UE

3.5%

Media OCSE

3.6%


L'Italia sembra quindi spendere poco, come (curiosamente) la Germania, che però ci batte contando anche la spesa universitaria. In realtà io tendo a diffidare delle percentuali del PIL, che possono essere indicative ma non sempre convincenti: ha senso rapportare la spesa per la scuola (pubblica) con la ricchezza totale del Paese (quindi anche, in gran parte, privata)?  Inoltre, se ci fate caso, l'Italia sembra sempre spendere, in % di PIL, meno degli altri Paesi per tutto: spende meno per la famiglia, per la ricerca, per la difesa... Questo anche perché non è mica detto che la somma di tutte le spese debba fare il 100% del PIL, inoltre l'Italia ne impiega parecchio, per esempio, per pagare gli interessi sul debito. Infine, nel contare le percentuali bisogna considerare anche il denominatore, non solo il numeratore: la percentuale può crescere sì se aumenta la spesa scolastica, ma anche se cala il PIL, e questo non è indice di buona spesa.
L'OCSE fornisce ancora un altro dato: la percentuale di spesa scolastica rispetto alla spesa pubblica, che è già più significativa.















































 


Spesa istruzione
su totale spesa pubblica



Totale spesa
pubblica su PIL

Italia

6.4%

48.4%

Francia

7.1%

54.9%

Germania

6.6%

45.4%

Gran Bretagna

8.9%

47.2%

Spagna

7.0%

55.7%

Media UE

8.0%

43.8%

Media OCSE

9.0%

40.0%


 


L'Italia è cenerentola. Qui ci avviciniamo senz'altro alla verità, questo è un'indicatore di dove lo Stato spende e di che priorità si dà - ed evidentemente sono altre.
Resta però ancora l'inghippo del denominatore: è vero che l'Italia spende poco in rapporto alla spesa pubblica, ma ha anche - come si vede nella terza colonna della tabella, ottenuta incrociando i dati della seconda colonna con la tabella precedente - una spesa pubblica elevata (e qui ci sarebbe tanto da parlare...) rispetto ad alcuni dei Paesi che spendono di più e rispetto alla stessa media UE. Quindi spendiamo poco ma di un totale elevato: questo può forse compensare l'effetto?
Altra osservazione: fin qui le statistiche non tengono conto dell'utenza, ovvero della popolazione scolastica, che è diversa fra i vari Stati: la Francia, che spende molto, ha una politica familiare ottima, e quindi molti bambini più di noi, che siamo una nazione anziana. Spendere meno può essere quindi collegato al bacino d'utenza più ridotto.
Per verificare ciò, osserviamo la spesa pro capite (espressa in dollari a parità di potere d'acquisto).






















































Spesa pubblica per studente ($)

 

Elementari

Medie

Superiori

Italia

7383

8222

7864

Francia

6044

8339

11082

Germania

5548

6851

9557

Gran Bretagna

8222

9166

8714

Spagna

6553

8155

9867

Media UE

6752

8165

8617

Media OCSE

6741

7598

8746


Si vede che la situazione si ribalta: per elementari e medie, la spesa pubblica per studente è seconda solo alla Gran Bretagna, e superiore a tutti gli altri Paesi e alle medie EU e OCSE. Meno soldi vengono spesi invece per le superiori.

2. GLI INSEGNANTI SONO TANTI O POCHI?

I dati OCSE danno risultanze sorprendenti anche per quel che riguarda i dati sulla quantità di insegnanti rispetto agli alunni e il famigerato affollamento delle classi.









































































 

Alunni per classe

Alunni per insegnante

Elementari

Medie

Elementari

Medie

Superiori

Italia

18.6

20.9

10.6

9.7

11.8

Francia

22.7

24.1

19.9

14.6

9.4

Germania

21.9

24.7

18.0

15.0

14.0

Gran Bretagna

25.7

21.3

20.2

15.0

12.4

Spagna

19.7

23.6

13.1

10.3

8.7

Media UE

20.3

22.2

14.6

11.5

12.0

Media OCSE

21.6

23.7

16.4

13.7

13.5


Si vede che la media di studenti per classe è la più bassa d'Europa, e ci sono molti insegnanti (qualcuno di meno alle superiori, ma sempre nella media). Perché allora ci si lamenta spesso del contrario? L'unica spiegazione che mi do è il paradosso dei polli: questa è "solo" statistica. 
Per l'affollamento delle classi, per esempio, può essere che vista la morfologia del territorio italiano, frazionato in mille comuni, ci siano istituti con classi piccole e risicate (per esempio gli istituti di montagna), mentre altri scoppiano. A tal riguardo, non sarà ora di decidere se sia più responsabile ed efficiente (anche economicamente) istituire servizi di scuolabus per le frazioni, invece di tenere vive tante sedi ormai sottoutilizzate? Sarebbe un bel miglioramento, vero ministro Gelmini? Anche se toccherebbe scontrarsi con i localismi di marchio più o meno leghista... e poi anche le frazioni votano, e quale sindaco vorrebbe perdere così qualche decina o centinaio di consensi?
Per quanto riguarda il numero degli insegnanti, invece, probabilmente c'è da tenere conto dei molti insegnanti che risultano assegnati a una scuola ma che non esercitano: le molte maternità e qualche fannullone un po' più ingiustificato, di cui si riempiono a volte le cronache a forza di certificati medici compiacenti. Inoltre (e questo è un punto di merito) probabilmente da noi abbondano gli insegnanti di sostegno.
Comunque, sta di fatto che nessuno ha tanti docenti e tante classi quanto l'Italia, in rapporto alla popolazione scolastica. Un po' è anche retaggio di un uso della scuola come "ammortizzatore sociale", come posto statale sicuro magari per donne, in un Paese in cui praticamente il part-time non si usa e quindi conciliare il lavoro con i figli è complicato. A riprova di ciò, mi pare che per il punteggio nelle graduatorie contino anche i figli (!): che c'entra col merito o con la bravura dell'insegnante? Quest'uso riflette la mentalità dello stipendio come un surrogato dell'aiuto sociale alla maternità.
Poi probabilmente questi docenti sono distribuiti male, e c'è chi sgobba maledettamente con classi da 30 bambini mentre altri stanno in classi da 9-10-11 alunni (conosco direttamente scuole così).
Come chiosa finale, lascio al lettore il compito a casa di vedere sui dati OCSE come i nostri bambini passano più ore di tutti a scuola: sarà che forse usiamo troppo il tempo pieno, magari perché non avendo una politica familiare le mamme lavoratrici hanno bisogno di parcheggiare il pargolo per più ore possibili?

3. E QUANTO GUADAGNANO GLI INSEGNANTI?

Su questo tema, altro punto di forti lamentele, forse la nostra categoria più ragione di lamentarsi. Vediamo i dati, espressi in dollari a parità di potere d'acquisto. Gli stipendi sono quelli medi per un insegnante con 15 anni di anzianità.










































































































 

Stipendio

Ore di insegnamento annue

Paga oraria (per ore di insegnamento)

Elem.

Medie

Superiori

Elem.

Medie

Superiori

Elem.

Medie

Superiori

Italia

31520

34331

35290

735

601

601

43

57

59

Francia

31927

34316

34593

926

644

630

34

53

55

Germania

54184

59156

63634

805

756

715

67

78

89

Gran Bretagna

44630

44630

44630

654

722

722

68

62

62

Spagna

42796

46794

48945

880

713

693

49

66

71

Media UE

38582

41519

45043

763

661

632

51

63

73

Media OCSE

39426

41927

45850

786

703

661

50

60

71


Se si guarda la paga annua, in effetti, quella italiana è bassa, in linea con la Francia ma ben al di sotto degli standard europei, specie rispetto alla Germania, dove gli insegnanti sembrano dei Paperoni (ricordate? la Germania era la nazione che spendeva meno per la scuola rispetto al PIL... prova di quanto quell'indice possa essere fuorviante).
Se guardiamo le ore di insegnamento, però, notiamo la prima cosa curiosa: in media, nessuno lavora poche ore come i nostri docenti. Considerando la media dei tre corsi di studio, sono 40 ore di insegnamento in meno della media europea: circa 3 settimane in meno, se non di più. Questo dato è ancora più sorprendente se si ricorda che i nostri bimbi passano più ore di tutti a scuola... ecco quindi di nuovo la sproporzione nella quantità dei docenti.
Calcolando la paga oraria, la sproporzione con gli altri Paesi diminuisce un po', specie per le medie che si avvicinano alla media OCSE, ma non si annulla.
E poi c'è la consueta osservazione: le ore di un insegnante non si esauriscono in quelle di insegnamento, c'è da aggiornarsi, preparare la lezione, correggere i compiti, le riunioni, i colloqui... E qui lo studio OCSE ci dà ancora uno spunto interessante: in alcuni Paesi si richiede per contratto un numero minimo di ore di attività, oltre l'insegnamento, da svolgersi a scuola. A scuola, mentre le ore di lavoro "libero", a domicilio, sono segnalate in modo diverso in altri Stati. Questo vuol dire più stipendio, ma meno flessibilità e un monte ore totali vincolato, come per un dipendente con orario d'ufficio. E le ore non sono poche: si veda la tabella (le ore sono comuni per tutti i corsi di studi), in cui si è provato anche un raffronto con un lavoro d'ufficio.






































 

Lavoro annuo a scuola

Lavoro annuo complessivo
(a scuola + a casa)

 

Ore

equivalenti a...

Ore

equivalenti a...

Germania

-

-

1775

un lavoro d'ufficio a tempo pieno per tutto l'anno (44 settimane x 40 ore)

Gran Bretagna

1265

29 ore settimanali a scuola per tutto l'anno (44 settimane lavorative) o 33 ore settimanali sulle attuali 38 settimane

-

-

Spagna

1140

26 ore settimanali a scuola per tutto l'anno (44 settimane lavorative) o 30 ore settimanali sulle attuali 38 settimane

1425

un lavoro d'ufficio part-time a 32 ore per tutto l'anno (44 settimane lavorative)


 In pratica, credo abbia ragione un mio amico che lavora nel mondo della scuola: "agli insegnanti italiani si dà poco e si chiede poco". Gli insegnanti italiani sono pronti a lavorare di più per guadagnare di più?
E i sindacati sono pronti ad accettare una razionalizzazione del mondo dell'insegnamento che vada in questa direzione, a inevitabile detrimento dei nuovi posti di lavoro (se gli insegnanti lavoriano di più inevitabilmente il loro numero totale diminuirà...)?

(Certo, nel fare il confronto con gli altri Stati non si può dimenticare il carico fiscale diverso e più pesante in Italia, visto che i valori sembrano essere lordi. Questo però è un problema comune a tutti, da noi, in particolare ai dipendenti; bisognerebbe quindi protestare non per lo stipendio basso, ma per le tasse troppo alte).

4. ...E I PRECARI?

Nei giorni scorsi il ministro Gelmini ha parlato di più di 220.000 precari. I sindacati hanno contestato le cifre: io immaginavo che intendessero che sono di meno, per dire che il riassorbimento è plausibile perché i numeri non sono così alti. Invece leggo che i numeri proposti sono ancora peggiori: chi dice 250.000, chi 260.000, chi di più.
Più di 260.000 persone significa quasi lo 0.5% della intera popolazione italiana, tutta di precari, che dovrebbero aggiungersi ai docenti che in proporzione sono già più che in tutti i Paesi industrializzati! Quindi secondo me ha ragione la Gelmini che dice che è materialmente impossibile assorbirli.
E allora? Il diritto al lavoro, alla dignità personale? Appunto: c'è il diritto al lavoro, non a "quel" lavoro, la dignità come persona non è sottoposta alla dignità di insegnante. Lo Stato deve farsi carico di queste persone, non per forza con un posto nella scuola, e secondo me nemmeno con un posto statale: bisogna creare le condizioni perchè si creino posti di lavoro alternativi, anche sul territorio, non per forza nello Stato.
Certo che è una cosa lunga, ma anche il riassorbimento in ruolo avverrebbe - secondo le diverse fonti - tra il 2018 e il 2022, e provocherebbe il blocco degli accessi di insegnanti nuovi (i giovani che stanno studiando adesso, per intenderci) per i prossimi 10-15 anni. Questo è andare verso il merito? Non mi sembra giusto nè efficiente che un bravo giovane sia scavalcato solo per "anzianità di precariato". Inoltre prevedere un riassorbimento globale va contro la razionalizzazione e la riduzione di numeri che auspicavo sopra...
E per il futuro, un numero chiuso all'accesso alle eventuali scuole di specializzazione, ai tirocini o ai concorsi sarà più che necessario, per non creare di nuovo masse di persone con illusioni che cozzano contro la realtà. Magari un numero chiuso programmato secondo le necessità: mi risulta che insegnanti scientifici ce ne siano pochi e a volte manchino, mentre quelli umanistici sono in sovrappiù.