venerdì 31 marzo 2017

Pesce d'aprile?

A me, aprendo questo link del Comune  di Ospitaletto con Firefox, appare in cima allo schermo l'intestazione "FARMACIA DI REZZATO SRL" (poi il contenuto è quello giusto).
Pesce d'aprile?

giovedì 30 marzo 2017

Una stella incoronata di buio (1)

Sto leggendo Una stella incoronata di buio di Benedetta Tobagi, che parla della strage di piazza della Loggia. Sono proprio contento di averlo recuperato in biblioteca. Non conosco abbastanza di quell'avvenimento, e la trattazione è molto dettagliata. Ma il libro va ben oltre, tracciando un vivido spaccato dell'Italia degli anni '70, e fornisce quindi una visione molto completa.
La lettura mi sta molto impressionando per la distanza che sento tra l'oggi e quel mondo che mi sembra completamente alieno.

Il capitolo Cantata descrive alcuni dei protagonisti di quell'epoca, poi rimasti vittime della strage. Non posso non percepire la mia estraneità a un modo di pensare, di ragionare che non capisco.
Non capisco come potesse essere razionale la scelta "rivoluzionaria", ribellista, di destra o di sinistra, dopo il fascismo e dopo i carri armati di Budapest e Praga, nell'era Breznev.
Non capisco come si potesse non vedere la contraddizione tra programmazione (io direi: totalitarismo) e libertà, come giustamente si chiede anche Alberto Trebeschi nel suo diario. Ed è simbolico che il diario in quel punto si interrompa, vada perso: una risposta non è possibile.
Posso ancora capire gli operai, che avevano ottenuto lo Statuto dei lavoratori con le loro lotte, e che sentivano la necessità di emancipazione culturale (anche se nel libro questa parte secondo me cede un briciolo all'agiografia). Ma gli universitari, la cui preparazione culturale avrebbe dovuto mostrare le insuperabili contraddizioni del modello marxista, o almeno della sua realizzazione?
E non posso non pensare alle conseguenze (alcune buone, molte altre cattive) che questa ideologia post sessantottina ha avuto sulla società, spianando la strada agli anni '80 con il loro individualismo e lo sfilacciamento del tessuto sociale. Un caso da manuale di eterogenesi dei fini.


Il capitolo Fascisti è un'interessantissimo spaccato sulla fazione "nera" della società, di allora e di adesso.
Ho trovato molto interessante - anche se forse un po' accondiscendente, come le pagine sugli operai di cui sopra - la parte su Casapound. La descrizione dell'incontro di Manlio Milani con i ragazzi di Casapound è una chiarissima riflessione in anticipo di qualche anno su post-verità e dintorni.
Nel capitolo Granchio d'ombra, impressionanti sia la lucidità con cui il giudice Zorzi riconosce le coperture di cui questa parte godeva, sia la constatazione di quanto questi neofascisti fossero una sparuta minoranza. I meccanismi con cui i ragazzi si avvicinavano a quell'area ricordano il bullismo, ed è emblematico, quasi un ammonimento, leggere come una minoranza in qualche modo vessata (i "rossi", che erano minoranza nella società e sempre esclusi dalle stanze dei bottoni) possa comunque rivalersi in modo altrettanto vessatorio su una minoranza della minoranza.

Mi ha colpito moltissimo la descrizione di quel clima di violenza diffusa, che pure anche mio padre mi ha descritto. Mi fa specie leggere che "a quei tempi era così", era normale minacciare violenza verbale e non solo. E' veramente un altro mondo.
Ma non posso fare a meno di pensare che non sia del tutto vero, che "a quei tempi era così". Gli attivisti, in tutta la gamma dal pacifico all'estremista, erano una minoranza. Era possibile anche non farsi prendere da quel clima di contrapposizione. Moltissime persone si sono semplicemente rimboccate le maniche e hanno costruito una società migliore con il lavoro, creando ricchezza, con l'esempio, formando famiglie e crescendo i figli nel miglior modo possibile, interessandosi della cosa pubblica nei modi istituzionali e nella società, con il volontariato. Ne ho testimonianza diretta in famiglia.
A volte non era neppure semplice, o scontato, sottrarsi alla logica della contrapposizione. A maggior ragione, quindi, credo che tutte queste persone abbiano fatto il bene del mondo in misura maggiore rispetto a tantissimi protagonisti del libro, anche coloro che sembravano essere dalla parte "giusta".

Mi riservo di completare la riflessione al termine della lettura del libro. In ogni caso, una lettura veramente preziosa.
Solo una cosa non posso perdonare all'autrice: quando all'inizio del libro gli avvocati si trovano fuori dal tribunale dopo una sentenza e decidono di sciogliere la tensione con un aperitivo.
Uno spritz.
Benedetta, a Brescia si beve il pirlo!

giovedì 16 marzo 2017

Chi scrive male pensa male

Una riflessione di qualche tempo fa  sulla scrittura, che deborda in una ampia disquisizione sulla preparazione offerta dalla nostra scuola di ogni ordine e grado. Articolo lungo ma con molti spunti interessanti.
La parte che mi ha più interessato, visto che ci penso da molto, è quella in cui descrive la situazione dell'università, con il suo concetto di "libertà" di fare più o meno ciò che si vuole (in termini di carriera scolastica):
[...] l’università italiana è quel luogo felice in cui gli studenti possono ripetere lo stesso esame virtualmente all’infinito. Tre sessioni l’anno, uno o due appelli a sessione, più eventuali sessioni straordinarie: i miei studenti possono, come si dice, “tentare” il mio esame cinque o sei volte l’anno, finché non lo passano (e infatti quattro non è il record: ci sono studenti che lo hanno ripetuto sei, sette volte). In altre nazioni, chi viene bocciato all’esame per due volte deve ripetere l’intero anno; in alcune, una pluri-bocciatura comporta l’espulsione dall’università. Non in Italia. In Italia, una volta entrati, si ha il diritto di ripetere gli esami quante volte si vuole, così come si ha il diritto di non frequentare le lezioni. È la libertà.

A chi viene da fuori dall'Italia questa situazione appare come un'assurdità. In effetti siamo un unicum nel panorama del mondo sviluppato.
A me è sempre sembrata una cosa illogica: o mettiamo una forte barriera all'ingresso (ovunque, però), in termini di test per tutte le facoltà e/o di superiori più selettive, oppure - se permettiamo l'iscrizione a tutti - applichiamo una forte selezione in corso d'opera. L'articolo mi spiega perché questo non succede, mettendo l'accento su alcuni meccanismi di tipo economico a cui non avevo pensato.
Continuo a non capire come si conciliano tra di loro alcune affermazioni di solito date per buone:
  • l'università italiana è più permissiva e lassista che in altri Paesi;
  • il tasso di laureati in Italia è troppo basso;
  • la preparazione dei laureati italiani, se confrontata a quella degli altri Paesi, è più che buona.
All'apparenza, non più di due di queste affermazioni possono essere vere contemporaneamente...

Cambiando argomento, ed allargando lo sguardo su quello che probabilmente interessava di più l'autore, io sono un seguace di Nanni Moretti quando dice che "chi parla male, pensa male". Ho sempre cercato - quando impartivo qualche lezione - di insegnare un linguaggio il più possibile corretto. Non credo che a lungo andare sia così "trasparente" saper scrivere bene.
La cattiva capacità di espressione è insieme causa ed effetto - in un circolo vizioso - della pessima capacità di comprensione del testo degli italiani, che sfocia in analfabetismo funzionale.
Questo inficia anche la convivenza civile: e qui arrivo a questo bel contributo. L'importante è avere ragione, anzi: farsi dare ragione. Non importa più tanto la correttezza logica dell'argomento.

Intendiamoci, non ho intenzione di iscrivermi al partito dei laudatores temporis acti: non sono così convinto che in passato la situazione fosse migliore. Constato però che il "contesto sociale" è cambiato rispetto a cinquant'anni fa: una volta l'analfabetismo (funzionale e non!) diffuso aveva meno conseguenze sulle relazioni sociali perché era più diffusa l'abitudine a fidarsi dell'autorità di turno, che fosse il capo di partito, il prete, il dottore di paese. Le decisioni, la guida era incontestabilmente in mano alle élite.

Oggi viviamo il fallimento della scolarizzazione progressiva universale: forse ci siamo illusi che bastasse dare a tutti un'istruzione per togliere le masse dall'analfabetismo e renderle consapevoli, ragionevoli, capaci di pensare "bene" (qualunque cosa voglia dire). Vediamo che non è così.

Sono molto combattuto su come pensare a questo fenomeno.
Da una parte potrei pensare che si tratta di un fatto insuperabile, che in ogni caso gli uomini non sono tutti uguali, e ci sarà sempre una parte della popolazione "analfabeta funzionale". In questo caso dovremmo (tornare a) affidarci di più alle élite (e quali?), ma questa soluzione è democraticamente accettabile?
Dall'altra parte potrei sposare una visione più ottimista, per cui l'operazione di crescita culturale comune non è riuscita perché l'educazione non è stata sufficiente, e quindi bisogna spingere ancora di più sulla scuola, riformarla, farla funzionare ancora meglio, tentare ancora. Vaste programme... Certo tentare di lavorare sull'educazione - cosa che nel nostro piccolo cerchiamo di fare sia io che mia moglie - non può far male, ma basterà?