venerdì 29 luglio 2022

Democratizzare TINA?

Torno sull'analisi dei due articoli dello scorso post, da Jacobin Italia e dal New York Times, per affrontare un altro tema, dopo quello della figura di Draghi e dei governi tecnici: il programma che questi governi attuano.

Come dicevo in chiusura la scorsa volta, le elezioni 2018 in Italia furono vinte da due partiti populisti ed euroscettici.
La legislatura si aprì con Mattarella che rifiutò un ministro euroscettico (cosa su cui ebbi qualche riserva già allora), e si chiude con un governatore della BCE a fare il capo del governo e le riforme richieste dall'Europa per il PNRR.

Draghi è la quintessenza del TINA: there is no alternative.
La strada è segnata, non ci sono alternative, e sarà così anche per il prossimo (?) governo Meloni, che non per nulla si sta già caratterizzando come fiera atlantista e persino attenta al bilancio.

Questo meccanismo a suo modo "funziona" e "fa funzionare" le cose.

A me può anche piacere, perché sostanzialmente concordo con un ragionevole status quo, ma prima o poi dovremo chiederci quanto sia democratico.

 Io ho l'impressione che tra la gente che vota partiti populisti e "di pancia", oltre a una parte di zoccolo ideologico, ci sia una forte componente di gente che di suo non sta male, ma che vede che le cose progressivamente vanno peggio, che i figli fanno fatica e che devono aiutarli di tasca loro eccetera.
Questa fascia manifesta il suo disagio e la sua preoccupazione votando partiti che in qualche modo contestano lo status quo, anche se in modo sguaiato (e magari indicando facili capri espiatori).

Mutuo questa riflessione (da qui):

Dalla Direzione Pd emerge che il pareggio non è contemplato: esiste un bipolarismo valoriale tra progressisti e conservatori?
Io non mi sentirei di definire la destra di oggi una destra conservatrice.
Vi sono molti altri aggettivi con i quali la si può definire, ma la partita non è tra progressisti e conservatori.
La partita è fra quella che si potrebbe definire élite alto-borghese che propone la permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati; e una vasta platea di Italia, diciamo così, piccolo borghese, portatrice di disagi, malumori, interessi settoriali, meno coinvolta nella dimensione valoriale, illuministica e programmatica, che viene fatta propria dal centro sinistra. Un’Italia più interessata alla difesa del tenore di vita, del proprio piccolo business e a far valere la propria protesta, non sempre immotivata, sia ben chiaro.
La destra i voti li prende sulla base del fatto che i problemi sono reali e a quei problemi il centro sinistra non dà (per ora) soluzione.

Chi anela confusamente a un cambiamento non aspira certamente alla "permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati"*.

Il problema è che uscire dagli schemi di questi circuiti internazionali collaudati (la maggioranza Ursula, il capitalismo, l'atlantismo ortodosso, il progressismo solo nei diritti individuali) è ad oggi impraticabile.
Mi pare lo stesso muro di gomma su cui si schiantò Tsipras, su cui si è schiantato il Conte I (ricordiamo la pantomima del deficit al 2.4% che diventò 2.04%...), su cui si schianta regolarmente ogni voce eterodossa.

Quindi si entra in un circolo vizioso per cui in poco tempo emergono altri partiti populisti, si allarga l'astensione, e per far fronte a questo si coalizzano maggioranze di "responsabili" (la maggioranza Ursula) né di destra né di sinistra, e via dicendo. Con il rischio che un giorno il ballottaggio in Francia sarà tra Le Pen e Melenchon.

Questo non vuol dire che bisogna votare per gli eterodossi, o che hanno ragione loro; ma che prima o poi bisognerà porsi il problema della democratizzazione delle istituzioni che incarnano questi "circuiti politici" ortodossi, come per esempio la Commissione europea e la catena decisionale di Bruxelles.

* questo tra l'altro dipinge il PD come un partito sostanzialmente conservatore; non per nulla ha la sua base elettorale tra i garantiti, i pensionati, i dipendenti pubblici, le ZTL: gente che sta bene e non anela a cambiamenti, ma solo aggiustamenti con il "cacciavite" (cit. Letta).

giovedì 28 luglio 2022

Tradimento della democrazia?

Propongo due letture simili, seppure provenienti da posizioni molto distanti, della attuale situazione italiana.

La prima lettura proviene da sinistra, da Jacobin Italia. Ho provato a isolare delle citazioni interessanti, ma dovrei citare praticamente tutto... leggetelo, ne vale la pena.

La seconda proviene da un opinionista conservatore del New York Times.

Mi sembrano due letture entrambe molto interessanti, e sostanzialmente convergenti.

I governi tecnici, proprio come il votare raramente di cui ho già parlato, sono un unicum italiano. In tutti gli altri Paesi avanzati, con qualsiasi sistema elettorale, il capo dell'esecutivo è sempre un politico passato dal vaglio popolare attraverso le elezioni. I governi cosiddetti "tecnici" sono una peculiarità tutta nostra.
Si noti che pure Conte era esterno al Parlamento, seppure di area 5 stelle e già indicato dai grillini nella presunta squadra ministeriale.

Io li ho pure apprezzati, per il loro operato, fin da Ciampi e Monti, ma ora comincio a chiedermi se non siano una prassi troppo distorsiva della democrazia.
Come abbiamo visto, questi governi deresponsabilizzano la classe dirigente. Dopo Monti, il colpevole del disastro precedente - Berlusconi - limitò i danni e quasi rivinse le elezioni (!!!). Ora Lega e M5S hanno l'occasione di mascherare il loro fallimento.

Ma questo attiene alle questioni "pratiche": diciamo che a breve termine il governo tecnico "funziona", ma fa danni a lungo termine. Uno può preferire il piatto della bilancia che preferisce.

Mi interessa di più il lato dei princìpi.

La questione del premier non eletto dal popolo, evidenziata anche nell'articolo americano, è una deformazione dell'autore che guarda con le sue lenti, ma Draghi è un po' di più: è la sublimazione della mancanza di mandato popolare.
Perché noi non eleggiamo direttamente il presidente del Consiglio, e fin qui tutto bene.
Ma anche perché è un tecnico e non un politico eletto in Parlamento (eccezione tutta italiana, come già detto) e
perché è espressione di un Parlamento in cui il risultato elettorale era stato diametralmente opposto, con la vittoria di due partiti anti-sistema e il peggior risultato di sempre del partito più pro-sistema e più pro-Draghi, il PD.

Tutto questo, che è naturalmente legittimo costituzionalmente, discutibile politicamente, stride ancor di più quando, come dicono gli articoli, si parla di "Italia tradita", "populist coup" (che sarebbe colpo di stato), "vergogna", minaccia per la democrazia, di solito nel caso in cui vinca l'avversario politico.

venerdì 22 luglio 2022

I serbatoi vuoti

Sono rimasto completamente sorpreso da questa crisi di governo.

Il comportamento dei partiti è stato incredibile.
Durante la giornata di mercoledì, sia la Lega che il M5S hanno avuto l'occasione di sparigliare, votando la fiducia al governo dopo l'annuncio della sfiducia da parte della controparte.
Il governo sarebbe difficilmente andato avanti comunque, vista la totale crisi di fiducia (non in senso tecnico, in senso "umano") che si era creata; ma avrebbero avuto l'occasione di lasciare il cerino in mano agli avversari.

Invece hanno fatto a gara per prendersi quel cerino. Una cosa incomprensibile.
L'ennesima conferma che abbiamo una grossa crisi di qualità della classe politica.

Il problema è che la classe politica è espressione della società civile. Io ormai non credo più alla presenza di una società migliore dei suoi politici; o meglio: non credo che questa - se esiste - possa esprimere dei politici migliori. Non a breve termine

Mi spiego: non credo alla società civile che si sveglia un mattino e vuole entrare nel Palazzo.
Non funziona, fare i politici non è una cosa che si improvvisa.
Lo stesso Draghi ha mostrato di fatto che non è un politico, e questo lo ha reso anche poco compatibile con il Palazzo.
In fondo, l'idea di portare i "non politici" in Parlamento non è certo nuova, data almeno a Forza Italia, poi ha attraversato Scelta Civica e il M5S: tutti fallimenti.

E la società civile siamo noi tutti.
Siamo noi che dovremmo avere il coraggio di fare politica impratichendoci fin da giovani.
Invece quasi nessuno lo fa più, non si trovano i sindaci, i candidati per i consigli comunali, non si trova chi si tesseri a un partito. Me compreso, si intende, me l'hanno chiesto più volte ma ho sempre pavidamente rifiutato.

Il problema della politica è stato lo svuotamento dei serbatoi dopo il "riflusso" degli anni '80, coronato in negativo da Tangentopoli.
Quel senso di rigetto che si è creato è la colpa storica più grande della prima repubblica, ancora più del debito, secondo me.

Ho in mente Alessandro Barbero che descrive come quando lui era giovane fare politica, avere una posizione, prendere una tessera (!!!) era perfettamente normale, era strano non farlo.
Oggi, se qualcuno entra in politica, nella sua cerchia c'è sempre qualcuno che inizia a guardarlo con diffidenza. Abbiamo paura di schierarci e di essere etichettati. Non ci si sbilancia. Magari lo si fa a tavola con amici e parenti, ma non pubblicamente.

A ciò aggiungiamo che anche la società civile al di fuori della politica non gode di buona salute, i corpi intermedi "pre-politici" (sindacati, ACLI, ARCI, associazionismo "impegnato") non esistono più.

I frutti avvelenati di una società atomizzata e individualista.
So che per molti una grossa parte di colpa è di berlusconi. Secondo me - l'ho scritto più volte - la sua colpa storica è quella di avere cannibalizzato il centrodestra, impedendo di fatto l'emersione di una destra conservatrice "seria" ed "europea"; una destra come quella di Cameron, o dell'ultimo Fini, come intenzioni.

Ma il motivo di fondo è più antropologico. Berlusconi è l'edonismo anni '80, è figlio, e non padre, dell'individualismo commerciale.

lunedì 18 luglio 2022

La crisi del governo Draghi

Sulla attuale crisi di governo (?) causata dal mancato voto del M5S sul Dl Aiuti, la miglior analisi che ho trovato è quella di Piero Ignazi per il Milino.

Draghi non ha mai sopportato, comprensibilmente, la politique politicienne.
Il suo mandato era esaurito, per sua stessa dichiarazione, con la fine dell'emergenza e l'instradamento del PNRR.
Voleva andare al Quirinale, stare lì a gestire le (prevedibilissime) fibrillazioni pre-elettorali non gli garba.

Conte gli ha dato una scusa, ma non è stato il primo né sarà l'ultimo, in questi prossimi mesi, a fare i capricci.
Un mese fa Italia Viva si è astenuta (non assente, astenuta) sulla riforma della giustizia.
La differenza è che a Renzi è stato fatto il favore di non porre la fiducia, nonostante le richieste di parte della maggioranza; a Conte inveceno, nonostante la mattina del voto se ne parlasse.
E in precedenza la Lega ha introdotto molti distinguo, dal green pass alle concessioni al catasto, con tanto di ministri che non si presentavano al consiglio dei ministri.
Forza Italia e Lega hanno votato più di una volta in aula con Giorgia Meloni.
Il PD ci mette del suo in maniera più sottile, continuando a presentare in aula provvedimenti di parte (ddl Zan, ius scholae, cannabis) che, al di là del merito, sono notoriamente inaccettabili per una parte della maggioranza.

In tutto questo panorama di dispetti e dispettucci, i grillini sono i più "ingenui", si muovono come elefanti in cristalleria e mancano delle finezze degli altri; quindi hanno finito per far traboccare il vaso.

Io spero che Draghi faccia un gesto di responsabilità e resti a bere l'amaro calice fino in fondo, se no toccherà a qualcun altro (Franco? Amato? Cottarelli?).
Sarebbe bene che finisse ciò che lui e Mattarella hanno iniziato.
In fondo se sei il migliore è ora che lo devi dimostrare, non solo quando vieni osannato a reti unificate.
Più o meno quello che, con parole gentili, gli ha ricordato Mario Monti sul Corriere: hai voluto la bicicletta? Pedala fino in fondo.:

domenica 17 luglio 2022

Quanto votare

Le dimissioni di Draghi, giustamente respinte da Mattarella, hanno aperto una crisi istituzionale, vedremo nei prossimi giorni se piccola o grande.

Nel merito, non mi esprimo ora, ma lo farò in altra sede. Per ora preferisco mettere giù alcuni pensieri che mi frullano in testa da un po'.

In Italia, nel nuovo millennio, si è votato 5 volte, per una durata media delle legislature (esclusa la corrente) di 4,45 anni. Una sola volta si è giunti allo scioglimento anticipato delle Camere (2008).

Nessuno in Europa ha votato di meno di noi. Tra i grandi Paesi, in Germania hanno votato 6 volte (durata media legislatura: 3,8 anni); in Inghilterra 6 volte (durata media: 3,6 anni); in Spagna 7 volte (durata media 2,5 anni); in Austria 6 volte (durata media 3,4 anni); persino in Polonia (6 volte, 3,6 anni) e Ungheria (6 volte, 4 anni), famigerate "democrazie illiberali", si vota più che da noi.
L'unica eccezione è la Francia, con il suo sistema semipresidenziale in cui le elezioni legislative cadono ogni 5 anni fissi, in concomitanza con le presidenziali, con cui si sceglie una specie di "monarca elettivo".

Ricapitolando, nessuno in Europa vota così raramente. Certo, non si vota ogni due anni, ma in molti posti le elezioni sono ogni 4 anni (e non ogni 5) e si è più aperti a interruzioni anticipate della legislatura.

Si può pensare che la stabilità sia un bene, ma mi pare che specialmente in quest'ultima legislatura la stabilità - o meglio: il rifiuto delle elezioni, ché i governi non sono così stabili - sia diventata un bene assoluto, da perseguire ad ogni costo.

C'entrano varie cose, la personalità dei due Presidenti della Repubblica succedutisi (in maniera oltremodo "stabile" anche loro...); le convenienze dei partiti, per cui a qualcuno sembras empre convenire il rinvio delle elezioni; magari anche le convenienze dei parlamentari, che maturano i requisiti pensionistici solo dopo 4 anni e 6 mesi di legislatura.

Ma questo cozza con un fatto che notiamo tutti: l'evoluzione del panorama politico è sempre più rapida, quasi vorticosa. I leader e gli apprezzamenti dell'elettorati - anche certificati da elezioni locali o europee - cambiano spesso.

Questo comporta che, rispetto alla rappresentanza elettorale, forse le legislature siano troppo lunghe.

Cinque anni di Parlamento bloccato sono troppi. Dopo metà legislatura la situazione non rappresenta più il Paese, i parlamentari sono scollegati dall'opinione pubblica, e hanno sempre più stimolo al mantenimento della poltrona.

E' almeno la terza legislatura che finisce in modo totalmente scorrelato dalla realtà che dovrebbe rappresentare.
La legislatura 2008-2013 finì con il governo Monti con tutti dentro per salvare la baracca, con dinamiche simili alle attuali (i partiti sostengono il governo ma in realtà non ne apprezzano i provvedimenti, e li contestano).
La legislatura 2013-2018 iniziò con un Parlamento col PD bersaniano maggioranza assoluta alla Camera grazie alla legge elettorale, attraversò la fase renziana, finì con un Renzi politicamente moribondo. Il tutto con un parlamento sempre eletto da Bersani e con Lega e M5S forti nel Paese e sottorappresentati.
A questo giro lo vediamo, i gruppi parlamentari di FI contano il triplo della Meloni e quanto il PD, e per anni abbiamo avuto una Lega molto sottorappresentata.

Questa situazione innesca un circolo vizioso: visto che l'elettorato ha cambiato orientamento, chi aveva vinto le elezioni precedenti non ha convenienza a tornare al voto, e si creano degli ircocervi tra incompatibili, come è successo praticamente per tutta questa legislatura.

Sto cominciando a cambiare idea sui governi tecnici: una volta li apprezzavo, ora invece temo che siano diventati il segno che la legislatura è decotta. Sono una peculiarità tutta italiana, ma permettono ai partiti di deresponsabilizzarsi completamente. Ma non mi pare ci siano strumenti costituzionali per evitarlo.

Dal punto di vista elettorale, parlando per ipotesi di scuola, si potrebbero implementare meccanismi di progressiva correzione, come per esempio rinnovare un terzo del Parlamento ogni due anni, per mediare tra le esigenze di stabilità e rappresentatività.
In questo modo il mandato intero sarebbe di sei anni, e un cambio di segno dell'elettorato dovrebbe essere confermato almeno due volte per portare a un netto cambio di segno delle Camere. D'altra parte saremmo chiamati al voto più spesso.

***

In tutto ciò, votare a sei-sette mesi dallo scioglimento naturale delle camere mi pare abbia veramente poco senso. Non è una tragedia, per carità, altri Paesi hanno votato in quetsi anni di pandemia e PNRR, anche con elezioni anticipate. Ma a questo putno tanto vale finire il lavoro, se si riesce.
Ma, come detto, ne parlerò fra qualche giorno.