sabato 22 febbraio 2014

Omosessualità, omofobia e propaganda

Qualche sera fa sono stato all'incontro promosso dalla associazione Generazione 3.0 con il dottor Gandolfini, sui temi di famiglia, omosessualità, omofobia.
Un incontro utile, è sempre una buona cosa riuscire a farsi un'idea completa sentendo diverse campane. In particolare ho trovato interessante la prima parte dell'incontro, quella "scientifica" sulle differenze tra maschio e femmina. Nella seconda parte trovo che il relatore si sia fatto un po' prendere la mano, scivolando su alcune bucce di banana.

Ed è un peccato, perché quando si parla di questi argomenti bisogna essere il più precisi possibile, per non lasciare appigli in una discussione che spesso e volentieri (purtroppo) si scalda facilmente. Se invece si è imprecisi si rischia che la controparte si serva delle imprecisioni - anche poche - per screditare tutto il discorso.

Tra i passaggi che mi hanno lasciato con qualche interrogativo c'è la conclusione dell'introduzione scientifica, in cui il dottore ha sostenuto che la teoria del "gender" non ha alcun fondamento scientifico.
Questa mi sembra una storiella simile a quella del calabrone, il quale secondo la scienza aerodinamica non potrebbe volare, ma non lo sa e quindi vola lo stesso. Magari le teorie sull'identità sessuale non avranno alcuna evidenza scientifica, ma gli omosessuali, i bisessuali, i pedofili esistono fin dall'antichità: come la mettiamo? Diciamo loro che in realtà non esistono?
Diciamo piuttosto che l'analisi di questi casi è relativamente giovane, bisogna andarci con i piedi di piombo e non abbiamo per ora nessuna certezza scientifica.

Ma è nell'interpretazione della legge che il relatore ha sofferto i maggiori scivoloni.
Questa legge è secondo me inutile, potrebbe essere pericolosa, è scritta male. Ma non è così catastrofica come è stato sostenuto.

[Avviso ai naviganti: il post che segue è particolarmente lungo. Questo mi fa riflettere sui danni che una cattiva propaganda può provocare: purtroppo per contestare delle affermazioni inesatte o delle fallacie logiche si spendono molte più parole di quelle spese per affermarle, ed in modo molto più noioso e meno “facile” ed immediato.
E' l'efficacia della propaganda. Però chi è convinto di aver ragione deve essere il più preciso e meno propagandistico possibile, perché chi di spada ferisce di spada perisce: se si usa la propaganda per perorare una giusta causa, non potremo lamentarci se la usano anche i nostri avversari, e nella propaganda il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato finiscono per perdersi fino a diventare indistinguibili.]

lunedì 17 febbraio 2014

Su proibizionismo e antiproibizionismo

Negli ultimi tempi, qua e là, sulla scia delle legalizzazioni in Colorado e Uruguay e dela bocciatura della legge Fini-Giovanardi, c'è stato qualche ritorno del dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere.
Nello stesso tempo si moltiplicano le prese di posizione contro il gioco d'azzardo, compresa quella del nostro Comune.

Io non ho una posizione definitiva sulla questione del proibizionismo/antiproibizionismo. Si tratta di rispondere alla domanda: "è giusto lasciare la libertà a chi vuole di farsi del male?". Una domanda che mette in gioco un valore positivo (la libertà personale) e uno negativo (l'autolesionismo), che vanno pesati a seconda (anche) della sensibilità personale.
Eticamente credo che mi darebbe fastidio un approccio antiproibizionista: è giusto che sia lo Stato a permettere - o addirittura vendere - sostanze che fanno male? Per me no. Però con alcool e tabacco lo si fa. Per questi prodotti si invocano ragioni culturali ed economiche (i proventi dei monopoli di Stato).

C'è anche chi sostiene che la gente deve essere libera di farsi del male finché i costi non ricadono sugli altri (la versione economicistica della "libertà di ciascuno finisce dove inizia la libertà altrui"). Sorvolando sul cinismo, certamente c'è del vero in quest'approccio.
Però è altrettanto vero che è molto difficile stimare i costi, sociali ma anche meramente economici, dei danni provocati dalle droghe e del loro peso sul sistema sanitario, che paghiamo collettivamente. C'è chi sostiene che anche il fumo, a conti fatti rispetto ai costi dei malati di tumore in Oncologia, non è un affare economicamente vantaggioso per lo Stato.

Forse è corretto non pretendere una risposta "di principio" al dilemma proibizionismo sì-proibizionismo no, ma distinguere caso per caso, senza fare paragoni e sovrapposizioni. In fondo se ragionassimo per principi, chi sostiene la depenalizzazione delle droghe leggere non avrebbe motivo di essere contro per le droghe pesanti, che invece godono di molto minor favore (a dimostrazione di una punta di ipocrisia nelle motivazioni libertarie?).

Per quanto riguarda le droghe leggere, però, un punto a favore della liberalizzazione è senz'altro sempre stato l'evidenza pratica dell'inefficacia del proibizionismo: i divieti non ne hanno mai stroncato l'uso, anzi hanno creato cartelli malavitosi che con quest'attività si arricchiscono. Sono sempre stato abbastanza sensibile a questo argomento: che senso ha incaponirsi su una strada provata per decenni, e lungo la quale non si sono fatti passi avanti? Forse è il caso di provare un approccio nuovo. Di conseguenza, fra mille dubbi e tentennamenti, sono sempre stato abbastanza possibilista al riguardo.

Però quello che è successo e che sta succedendo con il gioco d'azzardo mi fa molto pensare.
Per il gioco si è percorsa - essenzialmente per motivi economici - la strada della liberalizzazione, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. L'impressione è che ci siano danni sociali diffusi, e che però sia ormai impossibile tornare indietro: lo Stato va rapidamente in "assuefazione" da incasso facile, come dimostrano varie situazioni anche recenti.
Mi astengo dal dare un giudizio definitivo, perché purtroppo per renderci conto davvero dell'incidenza del fenomeno avremo bisogno di più tempo e di più dati sulle ludopatie. C'è anche chi nega il loro aumento, nel senso che non ci sono dati certi per affermarlo (è tutto un "sembra, forse, bisogna aspettare").

Per ora è certo che la raccolta lorda (=le giocate della gente) è più che raddoppiata in pochi anni, e questo mi pare in ogni caso un dato preoccupante. E'vero che circa l'80% delle giocate poi ritorna indietro sotto forma di vincite, ma è il discorso del pollo di Trilussa: vincono in pochi ma spendono in tanti.

Ma la cosa che più mi interessa è che due effetti sono innegabili: una diffusa percezione di degrado sociale (motivo del fatto che non si vogliono sale slot vicino a luoghi sensibili) e, soprattutto, un'impossibilità pratica di fare marcia indietro una volta intrapresa la strada della liberalizzazione.
Per questo è necessario andarci veramente con i piedi di piombo.

mercoledì 12 febbraio 2014

Contro il Parlamento inconcludente e il governo Renzi

Riscrivo una cosa che avevo già scritto qui ma che è andata perduta nei meandri del cyberspazio.

Io sono sempre stato scettico sulle prospettive del governo Letta. Ma non per il governo: io posso anche credere che in Consiglio dei Ministri si cerchi di lavorare insieme, per il bene comune, e si ricerchino faticosi compromessi, collaborando nelle difficoltà delle diverse appartenenze. Mi fido anche del fatto che Letta sia una persona adatta a questo lavoro, e ci abbia provato davvero.

Mi sembra però che le esperienze di inconcludenza dei governi Monti e Letta testimonino che in Parlamento le larghe intese non funzionano.
Si ha un bel dire che il Parlamento è esautorato, che fa tutto il governo eccetera. Non è vero: anche se il governo lavora per decreto, questi vanno poi convertiti dalle aule, e abbiamo visto con quanta difficoltà. Se si arriva a porre la fiducia è anche perché il cammino delle leggi non arriva mai a buon fine nelle Camere.
Abbiamo visto i casini con il salva-Roma, con l'Imu, le centinaia di emendamenti alla legge elettorale, ma anche Monti si vedeva regolarmente modificati ed "anestetizzati" i suoi provvedimenti (fino al riordino delle province, saltato per le lungaggini tra Commissioni e aule parlamentari).

Se al governo i ministri sono consapevoli che qualcosa bisogna fare, sembra che i parlamentari abbiano altre priorità: non scontentare troppo la base, pensare agli interessi propri e del proprio territorio, e contemporaneamente allontanare le nuove elezioni.

sabato 8 febbraio 2014

Attualità politica, deberlusconizzazione, formazione

La legge elettorale pensata da Renzi e Berlusconi, che spinge verso la costruzione di coalizioni il più allargate possibile, ha reso molto dura la vita di chi ha cercato di proporre qualcosa di nuovo sul panorama politico.

I Popolari per l'Italia di Mauro, nati con un intento centrista, si vedono sedotti ed abbandonati da un Casini tornato all'ovile e finiranno per fare la parte di Mastella ("ad oggi non ci riconosciamo né nella destra né nella sinistra"). Però le soglie di sbarramento li faranno presumibilmente sparire ancora prima di nascere, con o senza alleanze, a differenza di quel che accadeva a Mastella che beneficiava di un sistema elettorale più permissivo.
Non posso dire che mi dispiaccia.

Fratelli d'Italia si trova alle prese con lo stesso problema di sbarramenti, e finirà per rimettersi con Storace e con quanti riusciranno a imbarcare a destra. Fine ingloriosa di un progetto coraggioso.

Entrambi questi partiti, per il resto molto diversi, hanno una cosa in comune: aver creduto nella possibilità di un centrodestra nuovo e "deberlusconizzato". Ci hanno provato in modo diverso, è andata ugualmente male.

Continuo a non capacitarmi di quanta potenza di fuoco abbia ancora oggi Silvio (e con lui Grillo). Forse ha ragione chi dice che ormai le sue televisioni hanno creato una forma mentis berlusconiana ormai inveterata. Non ci ho mai voluto credere fino in fondo, e non in questa misura, ma tra l'evidenza dei sondaggi e queste due ricerche, impressionanti, dovrò arrendermi.

A questo punto si fa ancor più necessario (sarebbe anche urgente, ma non è una cosa che si fa in poco tempo) impegnarsi per ricreare una coscienza critica nei cittadini di domani, i più giovani. La cosa più importante per costruire il futuro non è più nemmeno la politica attiva, ma la formazione civica e politica. Personalmente cercherò di metterci del mio, nel mio piccolo.

martedì 4 febbraio 2014

Sulla compensazione ecologica

Torno sul tema della compensazione ecologica, come avevo promesso nello scorso messaggio.

Ho cercato in rete, e ho rintracciato questo piccolo articolo in tema. Parla del calcolo della compensazione ecologica così come normato in Lombardia. Il principio della compensazione consiste nel compensare (appunto) il danno ecologico causato dalla perdita di un'area naturale che viene antropizzata migliorando la qualità di un'altra area naturale. Per definire la corretta compensazione, la formula proposta è la seguente:

                 AD x VND x FRT x FC x D

ABNmin = -------------------------------------

                            VNN – VNI

in cui:



  • ABNmin: area di compensazione, su cui si agisce migliorando la qualità;

  • AD:  area persa perché urbanizzata;

  • VND: valore naturale dell'area persa;

  • VNN: valore naturale dell'area migliorata, dopo il miglioramento;

  • VNI: valore naturale dell'area che va migliorata, prima dell'intervento migliorativo.


Cosa sono questi valori? Diciamo che sono dei "voti" alla qualità delle aree su cui lavoriamo, che vanno da 0 a 10. Nel file linkato ci sono i parametri per la valutazione di questi "voti". Trascuro gli altri parametri perché ai fini del discorso che voglio fare li considererò di valore pari a 1 (il concetto di fondo non cambia).

Facciamo un esempio. Supponiamo che io abbia 10 ettari di campi, di valore ecologico 2, che decido di edificare.
Per compensare prendo un'altra area di campi (sempre valore 2) e voglio trasformarla in bosco (valore 6). Quanti ettari devo trasformare?
Applicando la formula, si ha che il numero di ettari da trasformare vale (10 x 2 x 1 x 1 x 1)/(6-2) = 5 ettari.

Se edifico i miei 10 ettari e trasformo questi altri 5 ettari in bosco, il conto torna: prima avevo 15 ettari di campi di valore 2, quindi un valore totale di 30 "punti". Dopo l'edificazione ho un valore ecologico di 5 ettari di bosco di valore 6, quindi ancora 30 "punti".

Però è chiaro che questo metodo parte dal presupposto di coprire suolo, infatti è un metodo di compensazione da applicare per aree consumate: non credo che sia corretto presentarlo come un approccio a "consumo zero".

Inoltre c'è un altro fattore di debolezza di questo metodo di calcolo, ancora più importante, secondo me: esso non tiene in alcun modo in conto della destinazione d'uso del terreno perso. Nel nostro esempio, quindi, sui 10 ettari occupati potremmo costruire una discarica di scorie radioattive a cielo aperto, che comunque la compensazione ecologica sarebbe rispettata.

Invece mi sembra chiaro a tutti che una cosa è passare da 15 ettari di prato a 5 ettari di bosco più 10 ettari di discarica, e una cosa completamente diversa è passare da 15 ettari di prato a 5 ettari di bosco più, che so, 10 ettari di museo con parco annesso. Il metodo utilizzato trascura completamente questa differenza*.

Ai fini di Ospitaletto, questo cosa ci dice? Secondo me ci dice che bisognerà comunque vigilare sulla destinazione delle aree produttive, monitorando l'impatto ambientale delle future trasformazioni. Solo allora si potrà valutare il bilancio ambientale del PGT.


* Nota matematica con elucubrazione mentale di nulla rilevanza pratica: per tenerne conto bisognerebbe sostituire il termine VND della formula con una differenza (VND-VNfin), dove VNfin sarebbe il valore naturale finale dell'area dopo l'antropizzazione. Questo valore dovrebbe avere scale anche negative: i "voti" proposti nel documento arrivano a un minimo di zero per grandi edifici, strade, cantieri e consimili, ma mi pare che al confronto la famosa discarica di scorie di cui sopra si meriterebbe un bel -10...