domenica 27 settembre 2020

Pubblicani e prostitute

 Oggi il Vangelo proponeva Matteo 21,28-32:

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Stavolta non è la parabola ad essere "sbagliata", ma la chiosa:  "i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". Pubblicani come Levi-Matteo e prostitute come Maddalena (anche se non sta scritto da nessuna parte che lo era) passeranno davanti a tutti nel Regno, ma solo perché smettono di essere pubblicani e prostitute, convertendosi.

Quindi non sono i pubblicani e le prostitute, a passare davanti nel Regno, ma gli ex pubblicani e le ex prostitute. Si intuisce dalla spiegazione successiva, è vero, che però resta ambigua: bene quando si parla di "pentimento", ma in tre voci si parla di "credere", il che sembra quasi presupporre una salvezza per fede. Invece sappiamo - anche dalla parabola precedente - che non basta la professione a parole, c'è bisogno dell'adesione nei fatti. Quindi non pubblicani e prostitute, ma pubblicani e prostitute a patto che non lo siano più...

martedì 22 settembre 2020

L'annata Ferrari, le annate Ferrari

Quest'anno la Ferrari va... vabbé.

La Ferrari va male da metà 2018, in realtà. Già durante quella stagione, l'ultima in cui ci fu qualche chance di titolo, gli aggiornamenti tecnici furono sbagliati, e la macchina, partita bene, rimase poi indietro rispetto alla Mercedes.

Los corso anno abbiamo visto una stagione con qualche lampo, ma con un solco rispetto agli avversari molto più profondo.

Quest'anno il disastro. Si è rinunciato forse a spendere energie su quest'auto, aspettando la rivoluzione regolamentare del 2021? Sorpresa: il Covid ha fatto slittare tutto di un altro anno. Quindi anche il prossimo anno sarà un pianto.

Non sto a dire il perché e il percome, non so se lavorano male i capi, la dirigenza che cambia continuamente organigramma, gli ingegneri. Pensavo però ai piloti.

Leclerc rischia di fare la fine di Alesi, arrivato in Ferrari nel 1991, l'anno del camion di Prost, seguito da due anni horribiles quasi come questo (due quarti posti in campionato costruttori). Alesi arrivò in Ferrari a 27 anni e spese gli anni migliori col Cavallino, Leclerc è molto più giovane e avrà altre occasioni. Ma se poi malauguratamente Ferrari sbagliasse il progetto 2022, Leclerc non si troverebbe incasellato in un ruolo di pilota da mezzo schieramento? Siamo in un periodo in cui si combinano due fattori: l'età media dei piloti di F1 si abbassa drasticamente e i top team puntano sempre più su un pilota unico, quindi i sedili buoni sono molto pochi. Alonso è la dimostrazione di come scelte di carriera sbagliate possano essere drammaticamente gravi.

Vettel rischiava di trovarsi in un vicolo cieco simile: appiedato da Binotto, i sedili buoni sono finiti. Senonché alla fine Binotto gli ha fatto un favore: è probabile che il prossimo anno Vettel battaglierà con Leclerc da una posizione di forza in Aston Martin. Probabilmente non vincerà più un Mondiale, anche se non si sa mai, ma sicuramente nel cambio ci ha guadagnato.

venerdì 18 settembre 2020

XX settembre

Magari non se lo ricordano in tanti, ma il XX settembre (scritto come nelle vie, ché suona meglio) non è solo il giorno del referendum.

Una volta era festa.

Qualche anno fa facevo una riflessione sul 25 aprile: è una data che celebra la fine di una guerra civile. Con la vittoria della parte giusta e migliore, per fortuna, ma pur sempre una guerra civile. Siamo - credo - gli unici ad aver scelto data collegata a una guerra civile come festa nazionale.

Pensavo che il XX settembre sarebbe una gran data per una festa nazionale. Una volta era divisivo anch'esso, era una data anticlericale, ma sono anni, decenni che questa cosa - da parte della Chiesa - è stata superata. Oggi anche i cristiani, e soprattutto anche le gerarchie, hanno preso atto della cosa, e anzi considerano la fine del potere temporale dei Papi come provvidenziale. Già nei diari di monsignor Tardini si legge già nel 1938 che

Pio XI aveva maturato la convinzione che la perdita del potere temporale ««era stata provvidenziale per i Papi; che il prestigio morale del pontificato ne aveva tratto immenso guadagno; che una restaurazione vera e propria di quel potere era umanamente assurda». Pur giudicando necessario «salvare il principio della sovranità anche civile e quindi territoriale del romano pontefice, ma spiritualizzò per così dire, anche lo Stato terreno, riducendolo al minimo, tanto quanto bastasse perché su un lembo di territorio il papa potesse essere e dirsi non suddito di un altro sovrano, ma sovrano egli stesso».

Dieci anni fa il cardinal Bertone fu presente alle celebrazioni di Porta Pia. Forse qualche radicale vorrà dare una lettura ancora laicista alla data, ma sarebbe poca cosa di fronte a una partecipazione comune.

Il XX settembre abbiamo completato l'Unità d'Italia. Sì, lo so, la I guerra mondiale, Trento Trieste Gorizia Zara Pola Fiume (come ricordano le are al Vittoriano). A me va bene anche Vittorio Veneto, eh, il IV novembre come festa nazionale. Ma mi rendo cnto che il significato militaresco che non va più di moda e soprattutto le moltitudini di morti dell'"inutile strage" non depongono a favore di questa scelta.

Invece il XX settembre militarmente è stata una scaramuccia di poco significato (condoglianze alle vittime, in ogni caso), e il recupero di Roma all'Italia pesa enormemente di più delle terre al confine orientale.

Quindi il mio voto va per il XX settembre. Non vedo l'ora di poterci tornare, a Porta Pia.

martedì 15 settembre 2020

Berlusconi, un coccodrillo

Berlusconi ha superato il coronavirus, pare.

In questi giorni pensavo all'ipotesi di una sua uscita di campo, quindi diciamo che questo è un "coccodrillo" in anticipo.

Che ne sarebbe/sarà di Forza Italia?

Chi si prende il marchio? Si sciolgono e seppelliscono Silvio nella bandiera originale 1994? Gli ex AN come Gasparri tornano con Meloni? Vanno tutti con lei e diventano una corrente di FdI?
Procede uno dei luogotenenti? Ma ce ne sono? Brunetta? Gelmini? Carfagna? Io credo che Silvio preferirebbe lei, se non altro per motivi estetici. Ok, no, questa è una battutaccia. Diciamo che sembra la più "pensante" lì dentro, se davvero FI si spostasse armi e bagagli in FdI credo che lei finirebbe in qualche contenitore di centro, magari non Renzi ma Calenda.

Comunque alla fine è riuscito meglio Grillo a rendere indipendente il M5S (non ci avrei mai creduto, ma il "passo di lato" l'ha fatto davvero) che Berlusconi con FI. Che epilogo inglorioso. Un partito personale, personalissimo fino all'ultimo.

giovedì 10 settembre 2020

Politica, donne, sinistra

Ieri sera ho visto Giorgia Meloni da Vespa.

Domande programmate (prassi molto spiacevole), ma lei ha fatto una bella figura. E' un bell'animale politico, è cresciuta tanto. Ragionavamo stamattina con un collega che il suo non nacque come un partito personale, ma man mano lo sta diventando sempre di più. Un contenitore di destra ci sarà sempre, in Italia, ma non è detto che il prossimo si chiamerà Fratelli d'Italia, che è sempre più "casa Meloni".

La Meloni è anche l'unica donna di peso nel panorama politico nazionale. Di destra, come Marine Le Pen. Altre donne capo di partito in giro per l'Europa - a memoria - non ce ne sono molte. In Spagna nessuno dei primi 4 partiti è guidato da una donna; in Francia l'unica è la già citata Le Pen; nel Regno Unito c'è Nicola Sturgeon in Scozia, ma è un partito locale. In Germania c'è il peso massimo: Angela Merkel (che tra l'altro lascerà il posto, e l'erede Annegret Kramp-Karrenabauer ha già rinunciato), tra gli altri partiti c'è l'uso del ticket uomo-donna, ma per chi non lo usa (socialisti e lib-dem) abbiamo solo uomini.

Mi colpisce che nessuna di queste donne sia di sinistra. Solo Nicola Sturgeon si colloca da quel lato, ma in un'alleanza, il suo partito è principalmente un partito locale.

Anche pensando alla storia, mi pare che le uniche donne capo dell'esecutivo in Paesi del G7 siano state Thatcher, May e Merkel. Nessuna di sinistra neppure qui. Scendendo di un livello, donne di sinistra a capo del partito in un'elezione ricordo Segolene Royal e Hillary Clinton, tra l'altro "mogli di", non un viatico molto femminista (come dall'altra parte anche la Le Pen è "figlia di").

Mi pare curiosa, questa cosa: il femminismo di solito è considerato una battaglia di sinistra.

Ma forse (ipotesi) il problema sta proprio qui. La donna in politica a sinistra, nella percezione tradizionale, non può che essere attenta ai problemi di genere, alla parità, eccetera. Viene quindi "incasellata" nel tema femminismo, e finisce in una gabbia: ci si aspetta che ne parli spesso, che la caratterizzi. Risultato: il dicastero delle pari opportunità come massima ambizione possibile.
La donna in politica a destra non ci si aspetta che sia una femminista, quindi non viene incasellata e può fare la politica tout-court.
Risultato: Thatcher, May, Merkel. Nessuna è vista come femminista, sono considerate politiche come i predecessori o i successori.

Il femminismo della sinistra, che qui da noi ci si aspetta anche dal PD, può essere una gabbia. Non è che le politiche di sinistra parlino solo di quello. Però anche se Boschi, Boldrini, Serracchiani parlano, che so, di economia ci si aspetta l'accenno alle donne "parte debole del mercato del lavoro", per esempio. E se non ne parlano è il giornalista che glielo chiede. Con Meloni o Gelmini non c'è questo meccanismo. Alla fine le politiche di sx si "specializzano", la Meloni no.

Aggiunta 15/9: tra l'altro anche tra le regioni non c'è questa maggioranza di sinistra, e anzi le ultime candidate (Emilia-Romagna, Umbria, Toscana) donne sono tutte di destra.

sabato 5 settembre 2020

Un referendum che non ci cambia la vita

Nell'ultimo post facevo riferimento a una questione che non ci ha cambiato la vita. Anche la prossima sarà una questione del genere: il taglio dei parlamentari.

Questo referendum non mi appassiona affatto. Trovo che quale che sia l'esito, non ci saranno conseguenze apprezzabili. Se vincerà il sì, non ci saranno rischi per la democrazia in arrivo; se vincerà il no, non sarà la vittoria della casta.

Le motivazioni per votare sì le conosciamo: un piccolo risparmio, risibile rispetto al bilancio statale; la speranza di snellire le procedure (cosa possibile, ma che dipende soprattutto da fattori indipendenti dal numero); la possibilità che i parlamentari siano più riconoscibili e più accountable.

Più articolate le motivazioni del no.
Le principali riguardano la compressione della rappresentanza, che è ovvia se diminuisci il numero di parlamentari. La valutazione se questo calo sia troppo o troppo poco è di solito affidata a confronti con altri Paesi. Il problema è che gli altri Paesi hanno sistemi diversi e non confrontabili, specialmente per il nostro bicameralismo perfetto, oltre che per altre differenze (Stati federali...).
Il confronto più sensato mi pare tra rappresentanti eletti a suffragio universale e diretto: in questo senso non trovo corretto chi calcola per l'Italia solo la Camera. Un senatore mi rappresenta come un deputato, li eleggo insieme, fanno le stesse cose: perché no?
Ricordo di aver letto un articolo, che ora non ritrovo, che mostrava come calcolando i rappresentanti eletti in questo modo l'Italia passerebbe da avere molti parlamentari a un numero in linea con la media europea (per esempio, la Francia ha 577 deputati eletti direttamente, l'Italia ne avrebbe 600). Un calcolo simile è presentato anche qui.

Anche le altre osservazioni sono legate essenzialmente a problemi numerici. C'è chi dice si penalizza la rappresentanza territoriale. A parte il fatto che questa è legata anche alla legge elettorale (numero dei collegi, liste bloccate...), mi pare che questo argomento sia costituzionalmente debole: il fatto di avere X senatori "di Brescia" è un'abitudine, una cosa che riguarda la cosiddetta "Costituzione materiale", ma ricordiamo che l'articolo 67 della Costituzione, quello che vieta il mandato imperativo, recita anche: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione".

Ho sentito alcuni paventare una mancanza di rappresentanza per le piccole regioni. Credo che questo sia dovuto alla modifica del numero di senatori minimo per regione, che - salvando Molise e Valle d'Aosta - passa da 7 a 3.
Detto delle due regioni eccezionali, che non cambiano il numero di senatori e si ritrovano quindi ancor di più sovrarappresentate rispetto alla popolazione, per altre regioni questo è vero. Però si tratta di quelle regioni per cui 7 senatori erano proporzionalmente troppi già prima (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Umbria e Basilicata). Queste regioni passano da avere un numero di senatori per abitante pari al 35% in più della Lombardia ad averne il 5% in più: in pratica erano sovrarappresentati prima e c'è un riequilibrio più equo.
A meno che non vogliamo insistere (in maniera di dubbia costituzionalità, come ho detto) sulla rappresentanza per territori, ma allora saremmo uno Stato federale come gli USA: un tot di senatori per Stato.

Altra critica: si rischia di avere una soglia "implicita" per entrare in Parlamento piuttosto alta, specie se eleggiamo i senatori su base regionale. Detto che ciò dipende anche dalla legge elettorale, anche questo è un effetto che mi trova favorevole. Non sono così convinto del maggioritario spinto, ma una soglia di sbarramento elevata mi trova favorevole. Per la rappresentanza e il diritto di tribuna c'è la Camera.

Sento dire anche che bisogna ridimensionare i delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica. Non lo trovo un gran problema: sono 3 per regione (1 alla Val d'Aosta), portandoli a 2 il numero calerebbe di 19 unità. E' dai tempi di Leone che nessun Presidente è eletto con maggioranze così risicate, mi pare un problema ininfluente.
Anzi, visto il regionalismo che abbiamo impostato nel Titolo V, idealmente per coerenza costituzionale forse ha anche senso che le regioni pesino qualcosa di più.

La diminuzione dei parlamentari eletti all'estero è proporzionale, e che siano di meno non mi pare una tragedia. Ai tempi della legge Tremaglia ero favorevole a questa rappresentanza, ma dobbiamo dire che l'esperimento non è stato signiicativo.

L'unico problema vero che vedo nell'eventuale vittoria del Sì non riguarda il merito: questo è un referendum che liscia il pelo dell'antipolitica, così è nato e così va avanti, e ogni cosa che va in questa direzione è un passo in una direzione sbagliata.