sabato 5 settembre 2020

Un referendum che non ci cambia la vita

Nell'ultimo post facevo riferimento a una questione che non ci ha cambiato la vita. Anche la prossima sarà una questione del genere: il taglio dei parlamentari.

Questo referendum non mi appassiona affatto. Trovo che quale che sia l'esito, non ci saranno conseguenze apprezzabili. Se vincerà il sì, non ci saranno rischi per la democrazia in arrivo; se vincerà il no, non sarà la vittoria della casta.

Le motivazioni per votare sì le conosciamo: un piccolo risparmio, risibile rispetto al bilancio statale; la speranza di snellire le procedure (cosa possibile, ma che dipende soprattutto da fattori indipendenti dal numero); la possibilità che i parlamentari siano più riconoscibili e più accountable.

Più articolate le motivazioni del no.
Le principali riguardano la compressione della rappresentanza, che è ovvia se diminuisci il numero di parlamentari. La valutazione se questo calo sia troppo o troppo poco è di solito affidata a confronti con altri Paesi. Il problema è che gli altri Paesi hanno sistemi diversi e non confrontabili, specialmente per il nostro bicameralismo perfetto, oltre che per altre differenze (Stati federali...).
Il confronto più sensato mi pare tra rappresentanti eletti a suffragio universale e diretto: in questo senso non trovo corretto chi calcola per l'Italia solo la Camera. Un senatore mi rappresenta come un deputato, li eleggo insieme, fanno le stesse cose: perché no?
Ricordo di aver letto un articolo, che ora non ritrovo, che mostrava come calcolando i rappresentanti eletti in questo modo l'Italia passerebbe da avere molti parlamentari a un numero in linea con la media europea (per esempio, la Francia ha 577 deputati eletti direttamente, l'Italia ne avrebbe 600). Un calcolo simile è presentato anche qui.

Anche le altre osservazioni sono legate essenzialmente a problemi numerici. C'è chi dice si penalizza la rappresentanza territoriale. A parte il fatto che questa è legata anche alla legge elettorale (numero dei collegi, liste bloccate...), mi pare che questo argomento sia costituzionalmente debole: il fatto di avere X senatori "di Brescia" è un'abitudine, una cosa che riguarda la cosiddetta "Costituzione materiale", ma ricordiamo che l'articolo 67 della Costituzione, quello che vieta il mandato imperativo, recita anche: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione".

Ho sentito alcuni paventare una mancanza di rappresentanza per le piccole regioni. Credo che questo sia dovuto alla modifica del numero di senatori minimo per regione, che - salvando Molise e Valle d'Aosta - passa da 7 a 3.
Detto delle due regioni eccezionali, che non cambiano il numero di senatori e si ritrovano quindi ancor di più sovrarappresentate rispetto alla popolazione, per altre regioni questo è vero. Però si tratta di quelle regioni per cui 7 senatori erano proporzionalmente troppi già prima (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Umbria e Basilicata). Queste regioni passano da avere un numero di senatori per abitante pari al 35% in più della Lombardia ad averne il 5% in più: in pratica erano sovrarappresentati prima e c'è un riequilibrio più equo.
A meno che non vogliamo insistere (in maniera di dubbia costituzionalità, come ho detto) sulla rappresentanza per territori, ma allora saremmo uno Stato federale come gli USA: un tot di senatori per Stato.

Altra critica: si rischia di avere una soglia "implicita" per entrare in Parlamento piuttosto alta, specie se eleggiamo i senatori su base regionale. Detto che ciò dipende anche dalla legge elettorale, anche questo è un effetto che mi trova favorevole. Non sono così convinto del maggioritario spinto, ma una soglia di sbarramento elevata mi trova favorevole. Per la rappresentanza e il diritto di tribuna c'è la Camera.

Sento dire anche che bisogna ridimensionare i delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica. Non lo trovo un gran problema: sono 3 per regione (1 alla Val d'Aosta), portandoli a 2 il numero calerebbe di 19 unità. E' dai tempi di Leone che nessun Presidente è eletto con maggioranze così risicate, mi pare un problema ininfluente.
Anzi, visto il regionalismo che abbiamo impostato nel Titolo V, idealmente per coerenza costituzionale forse ha anche senso che le regioni pesino qualcosa di più.

La diminuzione dei parlamentari eletti all'estero è proporzionale, e che siano di meno non mi pare una tragedia. Ai tempi della legge Tremaglia ero favorevole a questa rappresentanza, ma dobbiamo dire che l'esperimento non è stato signiicativo.

L'unico problema vero che vedo nell'eventuale vittoria del Sì non riguarda il merito: questo è un referendum che liscia il pelo dell'antipolitica, così è nato e così va avanti, e ogni cosa che va in questa direzione è un passo in una direzione sbagliata.

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