martedì 28 gennaio 2014

Dalla riunione sul PGT

Ieri sera sono stato alla riunione di presentazione del PGT. Alcune impressioni.

Confermo la mia prima impressione positiva di un PGT poco invasivo e abbastanza conservativo. E' stata una bella serata di partecipazione, mi spiace solo che nel turbine di domende e risposte finali non sono riuscito ad avere contezza di cosa dovrebbe sorgere nell'ex Villa Presti (che siano servizi si capisce già dalla legenda della cartina, ma servizi di che tipo?), né su quali sarebbero le intenzioni per la zona tra il cimitero e la SP19.

Non mi convince molto solo la spiegazione dell'ingegner Tira riguardo al fatto che il piano sia definibile a "consumo zero" di territorio. L'ingegnere ha spiegato che il consumo zero si può interpretare in vari modi, e quello che lui propone tiene conto del fatto che le aree perse per le trasformazioni edilizie sarebbero compensate con aree di bosco più piccole ma di maggiore qualità.
Devo rileggermi bene la relazione del dottor Bara al riguardo, per capire bene i calcoli della compensazione ecologica, ma mi sembra un po' un gioco di cifre e parole. Non voglio assolutamente dire che i calcoli siano sbagliati o errati o "truccati": senz'altro il metodo di calcolo sarà corretto e trasparente. Dico solo che questo metodo mi sembra un po' fuorviante nel definire il consumo del territorio, così a naso mi sembra che descriva meglio la qualità dello stesso.
Può essere quindi che la parte di terreno recuperata a maggior qualità faccia sì che l'"indice qualitativo" di Ospitaletto rimanga invariato (e io personalmente sono già soddisfatto così), ma se calano gli ettari di seminativo, aumentano le cubature edilizie e cresce la percentuale di terreno urbanizzato (che è già al 62%), tutte cose vere anche a detta degli estensori e degli amministratori, mi pare difficile vendere il piano come "a consumo zero".

domenica 26 gennaio 2014

Di povertà e di scuola

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questo pezzo, di cui consiglio la lettura se non altro perché è una ventata di aria fresca e di ottimismo sul futuro del mondo. Io l'ho sempre pensata così: secondo me è abbastanza evidente come l'umanità non sia mai stata globalmente bene come oggi. Sono corroborato in questa opinione anche dai colloqui con chi tocca con mano le situazioni di sottosviluppo da decenni, e le stesse Nazioni Unite ci informano che gli ambiziosi Obiettivi del Millennio sulla povertà sono stati raggiunti, persino in anticipo sulla scadenza del 2015.
C'è da dubitare della sostenibilità di questa crescita, sia dal punto di vista ambientale che economico (sarà un caso che questa crescita globale è arrivata durante la crisi dei Paesi più sviluppati?). Vedremo dove porterà il progresso, ma per ora accogliamo questi dati positivi.

Ma quello che mi ha colpito è stata la prima frase dell'articolo:
Nonostante l’opinione diffusa per cui, genericamente, tutto va a rotoli, le cose peggiorano e dove-andremo-a-finire, i dati dicono che da quasi ogni punto di vista il mondo è oggi un posto migliore di quanto non lo sia mai stato

Al di là dell'approccio globale, questo pessimismo sugli effetti de passare del tempo è un atteggiamento che in Italia si sente applicare molto spesso, e praticamente su tutto: "Non ci sono più i giovani di una volta", "I ragazzi di oggi non hanno più disciplina", "I genitori non sanno più dire di no", "I politici della Costituente, che differenza!", "Le auto di una volta non si rompevano mai" e via dicendo. Siamo un popolo di laudatores temporis acti. Mi piacerebbe capire perché c'è questa tendenza, e se c'è sempre stata (ho il sospetto di sì), ma non sono un sociologo.
Anch'io sono piuttosto prono a questa tentazione, ma la riconosco come tale e cerco di razionalizzare il fatto: sempre diffidare dal "si stava meglio quando si stava peggio". Come dice mio padre, nulla ci impedisce di staccare la corrente e ricominciare a vivere come ottant'anni fa.

Però. Però c'è un campo in cui non riesco a trattenermi dal pensarla anch'io così: la scuola.
Forse sono influenzato dal contesto: sentiamo dire da ogni parte che la scuola italiana perde posizioni, che i tagli non permettono più lavori di qualità, che i ragazzi escono sempre più impreparati, che non si boccia più nessuno.
Ma non è solo il contesto. Anche la mia esperienza diretta con i ragazzi che sono venuti da me a lezione ha corroborato quest'impressione. Sento parlare di verifiche di recupero, quando ai miei tempi non ricordo più di due verifiche di recupero in cinque anni di liceo (e comunque la verifica nuova non annullava l'insufficienza vecchia, ma faceva media!). Vedo ragazzi che per l'esame di riparazione di latino di prima liceo devono preparare versioni fino alla terza declinazione, e mi pare assurdo che in un anno non si facciano almeno tutte e cinque le declinazioni. Vedo ragazzi che arrivano alle superiori senza sapere le tabelline, come mi confermano degli insegnanti delle medie che conosco.

Forse il mio punto di vista è parziale: chi va a lezione ha dei problemi, evidentemente. Però il calo delle bocciature è un fatto, così come le difficoltà italiane nelle classifiche internazionali di apprendimento.

Applicando però lo stesso ragionamento di prima, è anche chiaro che non c'è mai stata tanta scolarizzazione in giro. Cinquanta o quarant'anni fa i ragazzi non andavano a scuola, ma spesso lavoravano. E allora?

Non lo so. Non so decidere se il peggioramento della scuola è solo un'impressione molto diffusa e corroborata da molti singoli casi non significativi dell'insieme globale, oppure se sia un fatto vero.
Probabilmente se consideriamo i diplomati del 1960 e quelli di oggi la preparazione media si è abbassata (un tempo il diplomato era la crème degli studenti), ma il numero è così enormemente cresciuto che l'effetto globale si compensa.

martedì 21 gennaio 2014

Sulla legge elettorale

Premessa: stiamo parlando di nulla. La proposta di legge elettorale approvata lunedì dall'assemblea PD funziona solo con l'abolizione del Senato, quindi con una modifica costituzionale (come minimo sei mesi). Da qui all'autunno vedremo ancora parecchia acqua passare sotto i ponti.

Comunque, qualche impressione.
Bene il fatto che si garantisca comunque ad una coalizione di avere la maggioranza dei seggi. Il ripescaggio del doppio turno è una ciambella per la costituzionalità della legge. A me il doppio turno non è mai piaciuto (esistono anche altre soluzioni per avere lo stesso effetto), ma se si opta per un premio di maggioranza è la soluzione migliore per salvare capra e cavoli, rispettando la sentenza della corte che lo limita a una quota "ragionevole" e garantendo comunque governabilità. A questo punto però, se diamo per accettabile il ballottaggio, tanto vale alzare la soglia a cui scatta più su del 35% proposto. E' vero però che fare ciò vorrebbe dire rendere praticamente inutile la stessa ipotesi di premio, e visto che il ballottaggio favorisce storicamente la sinistra, forse vale la pena di lasciare anche alla destra la possibilità di vincere laddove essa funziona meglio, ovvero al primo turno. Diciamo che una soglia del 40% potrebbe andare bene.

I listini bloccati sono molto meglio del listone lungo, ma sempre una soluzione bruttina. A questo punto meglio le preferenze, o come minimo serviranno le primarie di collegio. Comunque - dato per scontato che su 5 nomi in lista al massimo ne entrano tre - in ogni collegio ci saranno tre facce riconoscibili da valutare. E vorrò vedere la reazione del collegio di Scilipoti...

Mi sembra che l'attribuzione dei seggi su base nazionale abbia poco a che vedere con le liste corte dei collegi piccoli. Si rischia di avere eletta gente che nel suo collegio prende meno voti di altri candidati, in forza del risultato nazionale delle rispettive liste. E' vero che però il collegio unico nazionale garantisce meglio la rappresentanza piuttosto che l'elezione per piccoli collegi; però si va a discapito del legame col territorio.
Diciamo che si può vedere il bicchiere mezzo vuoto (un sistema composto di due parti incoerenti, fatto per cercare di dare un contentino a tutti) o mezzo pieno (un sistema che salvaguarda sia la riconoscibilità dei candidati locali, sia la rappresentanza proporzionale, in un sistema che già la sacrifica con il premio di maggioranza).

Non capisco invece l'accanimento sulle soglie di sbarramento così alte, in un sistema che attribuisce comunque - in un modo o nell'altro - un premio di maggioranza alla coalizione vincente. Capisco i limiti al numero di partitini nella coalizione vincente: è vero che in un mondo ideale questo sarebbe un problema da valutare al momento della formazione delle liste, ma abbiamo visto che non è così (Ulivo docet). Non capisco perché porre limiti ai partitini che non si coalizzano (che quindi già in partenza sanno di non poter concorrere al premio di maggioranza) o a quelli che comunque finiscono all'opposizione: tanto varrebbe garantire il maggior accesso possibile a quel 45% di seggi della minoranza. Secondo me una soglia unica del 4-5%, sia per i coalizzati che per i non coalizzati, avrebbe più senso.*

Mi sembra, a conti fatti, una riforma piuttosto raffazzonata, ma che potrebbe funzionare. Io avrei preferito lo spagnolo puro, che però ha il limite di non funzionare con un tripolarismo.

Poi siamo in Italia, e se il sistema passasse così com'è (periodo ipotetico del terzo tipo, come detto all'inizio) secondo me andrebbe a finire in questo modo: coalizioni "tutti dentro" per cercare di raggiungere il 35% al primo turno, formate da liste "unitarie" di diversi partiti per superare le soglie di sbarramento, con rappresentanti dei partitini comunque candidati nelle liste dei partiti più grandi (per garantire loro il posto in cambio dell'ingresso in alleanza). Per esempio, una coalizione di centrodestra con due-tre liste: FI, La Destra+Fratelli d'Italia, Ncd+Popolari per l'Italia+Udc; ma con esponenti di La Destra e Fratelli d'Italia (la lista più a rischio di non raggiungimento della soglia) candidati da FI (come Rotondi per il Pdl alle ultime elezioni, per esempio). Effetto finale: successiva atomizzazione in Parlamento e riproposizione dei governi Prodi.

* Nota a margine: non capisco chi protesta per le soglie di sbarramento e contemporaneamente si dichiara a favore del maggioritario puro, o dell'attribuzione dei seggi per collegio: entrambi sistemi che fanno sì che epr prendere seggi si devono raggiungere percentuali notevoli, di solito in doppia cifra. Sistemi che hanno in sé delle "soglie implicite" ben più alte.

giovedì 16 gennaio 2014

Il paradosso europeo

Ho appena finito di leggere il pezzo di Jurgen Habermas sull'ultimo numero di Aggiornamenti Sociali. Pezzo interessante, che fa parte di una serie di riflessioni sull'Europa in vista delle elezioni europee.

In mezzo a vari passaggi, più o meno condivisibili, mi ha colpito un ragionamento. L'Unione Europea oggi è percepita come una entità lontana dai cittadini, fatta solo di burocrati ed economisti. La sua popolarità è in calo vertiginoso, e i movimenti a vario tipo euroscettici promettono (o minacciano) di prendere molti voti alle prossime consultazioni.*

Habermas individua quindi l'urgenza di allacciare una cinghia di trasmissione più diretta tra l'UE e i suoi cittadini, incrementando l'importanza del Parlamento (espressione di un mandato popolare) a scapito della Commissione e del Consiglio Europeo (espressioni dei governi dei singoli Paesi). Questa non è un'idea nuova, io ne sento parlare da un bel po'.

Il problema è che per dare più importanza al Parlamento, elettivo, si deve accettare una diminuzione del peso dei singoli Stati, che negli altri organi fanno sentire singolarmente la loro voce. Sarebbe quindi necessario accettare di ridurre la propria sovranità nazionale, e cederne una quota superiore alle istituzioni più comunitarie.

Ebbene, non mi sembra che quest'idea sia particolarmente popolare: in ciascuno Stato si fa fatica ad accettare di perdere la sovranità ("Si decide tutto a Bruxelles!", "Dobbiamo far sentire la nostra voce!", "A casa nostra comandiamo noi!", "Non siamo sotto la tutela di nessuno!"), e non solo da parte degli euroscettici.

In definitiva, l'unica strada per rendere più "popolare" e vicina ai cittadini l'Unione Europea è, paradossalmente, una strada impopolare e osteggiata dai cittadini stessi.

Abbiamo bisogno di politiche e politici lungimiranti.

* Tra l'altro c'è una certa ironia nel fatto che alle elezioni europee, per cui l'affluenza è sempre piuttosto bassa, si recheranno a votare con convinzione soprattutto coloro che all'Europa non credono, per esprimere la loro protesta.

domenica 12 gennaio 2014

Finalmente il PGT

Finalmente è arrivato il primo passo del PGT che riguarda le linee guida future: il documento di piano. Tutti i dati si possono trovare qui.

Ho avuto un paio d'ore per aprire i vari documenti e dare un'occhiata. La prima impressione (superficialissima) è positiva: il piano mi piace.

(Avviso ai naviganti: il post seguente si legge necessariamente consultando le varie tavole PDF che indico nel testo, che però sono piuttosto pesanti da aprire...)

Non è un PGT a impatto zero sul territorio agricolo come da promesse elettorali (cito dal programma: "Ci impegniamo a concludere la procedura di approvazione del PGT secondo l’indirizzo di escludere ulteriore consumo di suolo agricolo e di recuperare il patrimonio edilizio esistente"). Basta confrontare le tavole DP_07_Uso (uso attuale del territorio), DP_19_Stato (vecchio Piano Regolatore) e PR_00_Indirizzi (intenzioni): la zona residenziale ATr1 e una parte della zona industriale ATp1 insistono su terreno agricolo, mentre la zona ATr2 va ad occupare un incolto già non più agricolo nel vecchio PRG.

Però il consumo di territorio, poco o tanto che si voglia ritenere, mi pare sensato, e al di là delle promesse elettorali questo è ciò che mi aspetto da un PGT.

Mi piace il fatto che si fermi l'espansione abitativa: le due zone residenziali a nord del paese sono poca cosa. Delle due la ATr1 mi sembra sensata: si inserisce a riempire una piccola striscia di terra tra zone già costruite.
La ATr2, invece, mi sembra meno giustificata. Più che altro mi pare che apra la via a nuove future costruzioni nel campo rimasto tra la zona ATr2 stessa, via Rizzi e gli edifici già presenti a nord.
Le zone convertite a residenziale sono compensate dal verde ricavato dalla bonifica dell'area ex Archetti Legnami, per il resto destinata ad attività produttive. Per queste si elimineranno anche dei campi, ma in modo sensato: l'area tra la circonvallazione e la ferrovia, già sacrificata di suo, viene destinata a quella vocazione. Inoltre forse (vado a memoria) questi campi sono quelli che già accolgono i pannelli solari della ASO? In questo caso il danno sarebbe ancora minore.
Proprio la ASO, che - non dimentichiamolo - è un'eccellenza del nostro territorio, potrebbe approfittare di quelle zone produttive per espandersi.  A qualcuno potrà non piacere (c'è chi considerala ASO pericolosa), io non sono contrario. Certo quell'area rappresenta la vera scelta politica del PGT.

sabato 4 gennaio 2014

La legge sul finanziamento ai partiti

Ho avuto finalmente tempo di farmi un'idea sull'abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti, stabilita ormai quasi un mese fa per decreto dal governo Letta.

L'idea che mi sono fatto è senz'altro positiva. So che molti non sono dell'idea che si tratti di una vera abolizione dei contributi pubblici, che restano nelle detrazioni o nel 2 per mille. So anche che secondo tanti questo fatto tradisce un'altra volta il referendum del 1993, il cui "spirito" sarebbe stato quello di non avere nessun intervento con denaro pubblico.

Intanto si potrebbe discutere su quest'interpretazione dello "spirito" dei referendum, che trovo sempre piuttosto sdrucciolevole. I referendum hanno una lettera, un testo abrogativo, il quesito non è più ampio di quello che c'è scritto sulla scheda. Ogni altra interpretazione è secondo me surrettizia.

Inoltre la abolizione secondo me c'è davvero, a discrezione dei cittadini. Se questi non lo desiderano, ai partiti non andrà un centesimo di denaro pubblico, né dal 2 per mille né dalle detrazioni. Se nessun cittadino fa donazioni né opta per alcun partito in fase di dichiarazione dei redditi, lo Stato non ci mette assolutamente nulla. Da questo punto di vista mi fa molto piacere che nel decreto non ci sia traccia di altre agevolazioni di cui si era parlato (sugli affitti, per esempio), che non sarebbero state soggette a questo controllo diretto.

Mi sembra una legge che dà a ciascuno la facoltà di scegliere quello che meglio crede.
Chi è completamente contrario ad ogni forma di finanziamento ai partiti a fondo perduto, sia pubblica che privata, non sceglierà alcuna opzione di contributo e semmai continuerà a comprare solo le salamelle alla festa dell'Unità.
Chi è favorevole al finanziamento privato ma contrario a quello pubblico potrà fare le sue donazioni ai partiti, senza poi richiedere le detrazioni in dichiarazione dei redditi (particolare importante: le detrazioni non sono automatiche, se uno non vuole non lascia la ricevuta al commercialista o al CAF e il suo finanziamento resta solo privato).
Chi è favorevole a un finanziamento misto pubblico-privato potrà fare una donazione e accedere poi alla detrazione fiscale.
Chi infine è favorevole a un finanziamento pubblico potrà optare per il due per mille, che è a tutti gli effetti una forma di contributo statale: in questo caso è lo Stato a rinunciare a una parte dell'Irpef, mentre il cittadino non vede cambiare il suo esborso fiscale.

E' come fare un referendum ogni anno, in pratica.

Detto ciò, non mancano le perplessità. Io ne individuo almeno cinque.

giovedì 2 gennaio 2014

Sul sacramento del matrimonio

La scorsa settimana mia moglie ed io siamo stati a Montecastello per un corso di esercizi spirituali. A margine del discorso principale è capitato che emergesse il tema del matrimonio in Chiesa, che seppure in calo è comunque chiesto da un gran numero di coppie, provenienti da cammini di fede molto diversi.

Va da sé che la situazione ottima è quella di avere coppie consapevoli: coppie consapevoli dell’importanza del sacramento che decidono di sposarsi in Chiesa perché ci credono, oppure coppie consapevoli del fatto di non crederci e di non sentirsi cristiani che decidono di non sposarsi in Chiesa.

Però capita spesso che la questione non sia così bianca o nera: il matrimonio all’altare, con l’abito bianco, il prete, i canti, gli ammennicoli vari del caso è una tradizione lungamente radicata, a cui molti in ogni caso non vogliono rinunciare. Capita quindi che coppie dalla fede cristiana perlomeno saltuaria chiedano al sacerdote di sposarsi comunque in Chiesa. Pensiamo a quelli che “scoprono” in quel momento di dover fare un corso in preparazione al Sacramento, oppure di dover fare la Cresima, mai fatta prima, oppure che si stupiscono perché il prete dice loro qualcosa riguardo al fatto che convivono. Magari la giustificazione è che “la zia suora”, oppure “la nonna” ci tengono tanto.
Io credo che spesso queste persone non siano veramente consapevoli del passo che fanno: probabilmente sottovalutano le risposte date al processicolo, per loro sostenere di credere in Dio equivale a promettere che qualche volta, magari a Natale e Pasqua, si faranno vedere in Chiesa, e impegnarsi a educare cristianamente i figli equivale a promettere di farli battezzare o iscriverli a catechismo. Non siamo insomma di fronte a un “dolo”, gente che sa che non gliene frega davvero nulla e chiede di sposarsi in Chiesa solo per la scenografia.

Si è quindi discusso su quale sia l’atteggiamento più opportuno in questi casi: fermo restando che all’atto pratico un sacramento non si può negare a chi lo chiede e ne abbia i requisiti formali, sarebbe più opportuno continuare a sposare in Chiesa anche quelle coppie di cui il prete intuisce la non consapevolezza o mettere barriere d’ingresso più selettive, e magari non celebrare qualche matrimonio?

Io credo che sia meglio la prima ipotesi.