domenica 26 gennaio 2014

Di povertà e di scuola

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questo pezzo, di cui consiglio la lettura se non altro perché è una ventata di aria fresca e di ottimismo sul futuro del mondo. Io l'ho sempre pensata così: secondo me è abbastanza evidente come l'umanità non sia mai stata globalmente bene come oggi. Sono corroborato in questa opinione anche dai colloqui con chi tocca con mano le situazioni di sottosviluppo da decenni, e le stesse Nazioni Unite ci informano che gli ambiziosi Obiettivi del Millennio sulla povertà sono stati raggiunti, persino in anticipo sulla scadenza del 2015.
C'è da dubitare della sostenibilità di questa crescita, sia dal punto di vista ambientale che economico (sarà un caso che questa crescita globale è arrivata durante la crisi dei Paesi più sviluppati?). Vedremo dove porterà il progresso, ma per ora accogliamo questi dati positivi.

Ma quello che mi ha colpito è stata la prima frase dell'articolo:
Nonostante l’opinione diffusa per cui, genericamente, tutto va a rotoli, le cose peggiorano e dove-andremo-a-finire, i dati dicono che da quasi ogni punto di vista il mondo è oggi un posto migliore di quanto non lo sia mai stato

Al di là dell'approccio globale, questo pessimismo sugli effetti de passare del tempo è un atteggiamento che in Italia si sente applicare molto spesso, e praticamente su tutto: "Non ci sono più i giovani di una volta", "I ragazzi di oggi non hanno più disciplina", "I genitori non sanno più dire di no", "I politici della Costituente, che differenza!", "Le auto di una volta non si rompevano mai" e via dicendo. Siamo un popolo di laudatores temporis acti. Mi piacerebbe capire perché c'è questa tendenza, e se c'è sempre stata (ho il sospetto di sì), ma non sono un sociologo.
Anch'io sono piuttosto prono a questa tentazione, ma la riconosco come tale e cerco di razionalizzare il fatto: sempre diffidare dal "si stava meglio quando si stava peggio". Come dice mio padre, nulla ci impedisce di staccare la corrente e ricominciare a vivere come ottant'anni fa.

Però. Però c'è un campo in cui non riesco a trattenermi dal pensarla anch'io così: la scuola.
Forse sono influenzato dal contesto: sentiamo dire da ogni parte che la scuola italiana perde posizioni, che i tagli non permettono più lavori di qualità, che i ragazzi escono sempre più impreparati, che non si boccia più nessuno.
Ma non è solo il contesto. Anche la mia esperienza diretta con i ragazzi che sono venuti da me a lezione ha corroborato quest'impressione. Sento parlare di verifiche di recupero, quando ai miei tempi non ricordo più di due verifiche di recupero in cinque anni di liceo (e comunque la verifica nuova non annullava l'insufficienza vecchia, ma faceva media!). Vedo ragazzi che per l'esame di riparazione di latino di prima liceo devono preparare versioni fino alla terza declinazione, e mi pare assurdo che in un anno non si facciano almeno tutte e cinque le declinazioni. Vedo ragazzi che arrivano alle superiori senza sapere le tabelline, come mi confermano degli insegnanti delle medie che conosco.

Forse il mio punto di vista è parziale: chi va a lezione ha dei problemi, evidentemente. Però il calo delle bocciature è un fatto, così come le difficoltà italiane nelle classifiche internazionali di apprendimento.

Applicando però lo stesso ragionamento di prima, è anche chiaro che non c'è mai stata tanta scolarizzazione in giro. Cinquanta o quarant'anni fa i ragazzi non andavano a scuola, ma spesso lavoravano. E allora?

Non lo so. Non so decidere se il peggioramento della scuola è solo un'impressione molto diffusa e corroborata da molti singoli casi non significativi dell'insieme globale, oppure se sia un fatto vero.
Probabilmente se consideriamo i diplomati del 1960 e quelli di oggi la preparazione media si è abbassata (un tempo il diplomato era la crème degli studenti), ma il numero è così enormemente cresciuto che l'effetto globale si compensa.

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