mercoledì 29 agosto 2012

E così ci siamo

E così ci siamo. Fra due mesi si vota.

Si è persa un'occasione da parte dei candidati, che non hanno accettato di ritirare le loro candidature rinnovando quindi l'intero processo elettorale, e so di non essere l'unico a pensarla così.
Ho fatto quattro chiacchiere con un esponente della lista di Sarnico, che mi ha detto che Gianbattista avrebbe fatto bene ad accettare il ritiro della sua candidatura: "Nel centrosinistra saremmo dovuti andare in ginocchio a pregarlo di ricandidarsi, un'altra possibilità non c'è".
Avrebbe inoltre messo in difficoltà la Giudici, che a volte diceva di essere pronta a ritirarsi, altre volte faceva capire di essere irritata da tutte queste richieste di passi indietro. Presentarsi con un documento di rinuncia alla candidatura pronto da firmare, a patto che lo facesse anche lei, avrebbe scoperto il suo bluff: se lei avesse accettato di ritirarsi, Sarnico si sarebbe trovato un'opposizione divisa in due candidati sindaci, o al più lacerata sul nome di Abrami, esponente di una Lega con tutti  problemi di cui sappiamo; se invece lei avesse rifiutato, si sarebbe trovata in mano il cerino di volere le liste bloccate.

Riaprire le liste, oltre che a far litigare la controparte, sarebbe potuto servire a Sarnico per riordinare la propria compagine (che ora si ritrova priva di Pigoli, in una situazione veramente curiosa di candidato "nolente") ed avrebbe aiutato a limitare l'astensione.

Comunque, è andata così. Non credo che Sarnico, che ha fatto la parte della "vittima" della situazione, potrà realisticamente perdere.
La Giudici potrebbe cercare di imbarcare Incontro, che ha già dato l'idea di essere disponibile a un passo indietro, anche perché senza il sostegno di alcun partito la sua lista non potrà reggere un'altra campagna elettorale autofinanziata per puntare al 5%. I buoni propositi di trasformare Ospitaletto prima di tutto in un "organismo politico permanente" si sono scontrati con la realtà.
Mosse comunque che sanno di politichese, chissà quanto accettabili in pratica: cosa vuol dire "tre liste sono eccessive", nel suo caso? Credo che tecnicamente non possa ritirarsi. Se intende dare indicazione di voto, bisogna vedere se tutta la sua lista sarà d'accordo.

Personalmente, credo che resterò fedele alle idee già espresse in passato: andrò a votare, come sono sempre andato. Al più potrei decidere di lasciare bianca la scheda, se la campagna elettorale sarà particolarmente deludente, ma non credo che accadrà.

Sono comunque curioso di vedere questi due mesi di campagna elettorale, che dovrà essere al risparmio sia nei soldi (viste le spese dello scorso anno) sia nelle promesse (visti i bilanci comunali). Ora attendo di vedere chi sarà il più veloce a uscire con un volantino: ho il sospetto di saperlo, visto che la Giudici deve ricomporre con la Lega (il cui blog è ormai in letargo da un sacco di tempo: attesa di vedere come evolve la situazione?).

lunedì 27 agosto 2012

Senza vergogna.

Cito perché è troppo grossa:
"Un terzo dei parlamentari va scelto dai partiti con i listini bloccati. Certo, delle liste bloccate i partiti hanno fatto pessimo uso, ma senza di essi una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento. Serve equilibrio, non demagogia".

Cioè, i listini bloccati - enorme anomalia della legge del 2006, che prima mai abbiamo conosciuto in Italia - dovrebbero restare, e resteranno, perché alcuni alti papaveri sanno che con un qualsiasi metodo di selezione diretta dei parlamentari la gente non li voterebbe più, tanto è lo schifo che ha di loro.

Attaccamento alla cadrega e scollamento totale dalla realtà, anzi volontà di aggirare il voto popolare. Cicchitto è espressione del peggio della partitocrazia.

Poi viene voglia di votare il MoVimento 5 stelle, pur non piacendomi quasi nulla del loro approccio, giusto per dare un voto di rottura.

p.s. aggiunta del 28/08: vedo che anche al Corriere se ne sono accorti.

sabato 25 agosto 2012

Ho capito, ma speriamo di no

Da quando ho l'età della ragione sento dire che l'Italia ha bisogno di riforme.

Ho l'età della ragione da quasi vent'anni, e continuamente sento questa lamentela. Qualche giorno fa l'ha detto anche Moody's.

Mi sembra ovvio che c'è qualcosa che non va. Ho sempre pensato che è perché in Italia le riforme non si fanno. Michele Ainis sul Corriere fa un eccellente esempio di riforme non fatte e procrastinate sine die.
C'è del vero in questo punto di vista, ma solo in piccola parte, se allarghiamo l'orizzonte temporale. Negli ultimi vent'anni infatti si sono approvate un bel po' di riforme:

  • alcune riforme delle pensioni (da Dini più numerosi aggiustamenti, fino a Maroni e Fornero);

  • il pacchetto Treu e la legge 30 per il mercato del lavoro;

  • innumerevoli riforme e controriforme dell'istruzione (praticamente una per ministro);

  • due riforme (finora) della legge elettorale nazionale, la prima delle quali (il Mattarellum del 1993) particolarmente rivoluzionaria;

  • una modifica radicale in senso maggioritario di tutte le leggi per le elezioni amministrative di ogni livello;

  • la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha decentrato in modo non trascurabile il potere verso le Regioni (si pensi solo alla sanità);

  • per non parlare di una lunga serie di privatizzazioni, che non sono riforme in senso stretto ma "riformano" il sistema economico nazionale


e altre che senz'altro scordo.
Manca, è vero, una riforma della giustizia, ma bisogna dire che a fine 1989 entrò in vigore il nuovo Codice di procedura penale, anch'esso di importanza epocale.

Allora, le riforme ci sono ma siamo sempre qui ad invocarne altre? Pare proprio di sì. Pensandoci su, in questi giorni, ho cercato di capire perché succede questo curioso fenomeno. Secondo me può essere dovuto a due fattori.

Intanto, può essere che le riforme siano fatte male: penso a quelle dell'Istruzione, fatte con la scure ideologica, tanto che ogni governo ritiene di dover cambiare la riforma precedente, o l'ultima riforma elettorale, fatta per evidenti interessi di parte. Cattive riforme, dunque.

Ma credo anche che in Italia abbiamo l'innata capacità di rendere cattive tutte le riforme che ci capitano. C'è la tendenza al "fatta la legge, trovato l'inganno" per continuare a perpetrare le storture che ogni riforma tenta di correggere, o addirittura a sfruttare ogni piega delle riforme per infilarsi e trarne il massimo vantaggio, spesso indebito. Ecco allora che delle riforme, invece che la parte virtuosa, emergono i meccanismi scellerati, i punti deboli, i cavalli di Troia per l'abuso sistematico.
Questo vale sia a livello pubblico che privato: pensiamo all'abuso della spesa sanitaria regionale negli ultimi 10 anni, per il pubblico, ma anche all'abuso delle varie forme contrattuali da parte delle aziende (falsi contratti a progetto, eccetera).

E' colpa delle leggi scritte male? Qualche volta sì, e ho il sospetto che qualche "buco" in cui si infilano i furbetti sia figlio dei mille compromessi dell'iter parlamentare. Però credo che non si possa scrivere una legge che normi perfettamente tutto nei minimi particolari: ci sarà sempre qualche caso scoperto. Lì sta al senso civico degli utenti (leggi: cittadini) e alla loro onestà intellettuale il non approfittarsene. Che invece da noi sembra lo sport nazionale.

Un altro pensiero che mi veniva leggendo questo interessante articolo è che le riforme attese e sempre mancate sono quelle in cui la macchina statale riforma sé stessa. Una riforma della burocrazia, del "peso" dello Stato. Ma come accade con i partiti, la cosa pubblica non sembra in grado di autoriformarsi (forse perché bisognerebbe toccare tante rendite di posizione di tanti statali, ministeriali, pubblici dipendenti che in queste pastoie ci campano).

E ciò è grave, perché se lo Stato non si riforma da sé non c'è nessun altro che possa farlo.

Ecco, questa è l'idea che mi sono fatto sulla (mancanza di) riforme in Italia. Spero di aver capito male...

martedì 21 agosto 2012

Recensione e commento (2)

Come detto, mi è rimasta nella tastiera una parte del commento al film The help in correlazione a un libro che ho letto in questa settimana di ferie. Si tratta di Sostiene Pereira, di Tabucchi.

Un libro che ho preso in mano quasi per caso, cercandone uno non troppo breve da finire troppo presto durante i bagni in piscina della moglie ma non troppo lungo da restarmi troppo in sospeso anche dopo la ripresa del lavoro, ché faccio veramente fatica a trovare il tempo di leggere.
Alla fine l'ho letto con molto piacere e molto interesse.

Secondo me tra libro e film ci sono alcuni punti di contatto.
Sia il libro che il film parlano della necessità della denuncia, di non stare zitti di fronte alle ingiustizie, anche affrontando gli eventuali rischi. Non si tratta di compiere atti di eroismo estremo: Pereira fugge dopo la sua denuncia, le cameriere si nascondono nell'anonimato. Ma in entrambi i casi l'elemento decisivo è la denuncia.

In entrambe le opere è evidenziato che è necessario non abituarsi al male (argomento già discusso su questo blog), cosa che può accadere più facilmente se il male è perpetrato nei confronti di una minoranza, o comunque di "altri" ("le cose qui al Sud vanno bene", dice il fidanzato a Skeeter nel lasciarla).

Altra cosa che mi ha colpito è che, pur in presenza di un rapporto conflittuale con la religione (nel film a un certo punto una delle padrone bianche rifiuta a una cameriera dei soldi per mandare i figli al college con una scusa a sfondo "evangelico"), sia la cameriera Aibileen che Pereira trovano conforto alle loro decisioni nella fede: Aibileen nella preghiera, Pereira nella fede di Bernanos, scrittore cristiano che ha denunciato il franchismo.

Figure importanti, seppure appena presenti nelle due trame, sono infine due religiosi: il predicatore della chiesa di Jackson e padre Antonio, che con le loro parole fanno cadere le remore dei due protagonisti.

Questo non è una cosa strana, non può esserlo, per un cristiano: il dovere della testimonianza, anche scomoda, è proclamato da sempre da Gesù e dalla Chiesa.

lunedì 20 agosto 2012

Recensione e commento

Ieri sera sono stato con alcuni amici a vedere il film The help, pellicola pluripremiata che tratta il tema del razzismo nell'America del Sud nei primi anni '60.

Mi è piaciuto: è certamente un bel film, che tratta in maniera convincente il tema della parità di diritti e riesce senz'altro a far passare il messaggio che si propone. Un film riuscito, per me memorabile (nel senso che rimane impresso nella memoria) anche se non eccezionale, non un capolavoro.

(Se non l'avete visto, potete smettere di leggere: da qui in poi parlo solo di quello. Idem se avete intenzione di recuperarlo: contiene spoiler...)

Non mi soffermo qui sulle lodi, che potete trovare in numerosi commenti e recensioni: il soggetto "prende", la recitazione di Viola Davis mi ha colpito parecchio (più di Octavia Spencer che pure ha vinto l'Oscar ma secondo me è più "macchiettistica"), il ritmo mi sembra appropriato per la storia narrata: non troppo rapido, come se fosse un film d'azione, ma nemmeno troppo lento, riempie bene le due ore abbondanti di durata.

Quello che non mi ha entusiasmato è che mi sembra che da quando abbiamo ribaltato i luoghi comuni che imperversavano proprio negli anni '60 (negri=inferiori, indiani=cattivi, giapponesi=musi gialli), i film americani di riscatto sociale seguano sempre lo stesso cliché.

giovedì 16 agosto 2012

Differenze storiche

Mi è capitato di fare quattro chiacchiere con un vecchio valtrumplino, che come spesso capita agli anziani si è messo a raccontare un po' della sua vita.

Da giovane cominciò a far il camionista, poi a 21 anni fu chiamato per fare il servizio militare. Era già al CAR quando, al momento di assegnarlo, un ufficiale lo chiamò e gli chiese:"Chi conosci a Roma?"
"Nessuno."
"Impossibile, qualcuno conosci."
" Mah, forse ho un parente che fa l'impiegato in qualche ministero..."
"Più su, più su."
"Ah, la mia fidanzata è imparentata con il ministro Tizio."
"Esatto. Qui c'è il tuo congedo".

lunedì 6 agosto 2012

Renzi guadagna punti

Ho già scritto che, in assenza di una credibile proposta di centro-destra per le prossime elezioni, guardo con interesse alle posizioni di Matteo Renzi. Non mi convince appieno il personaggio: i suoi modi di fare mi sembrano un po' troppo berlusconeschi, basati sull'immagine, ma dall'autunno scorso ha cominciato a riempire la "scatola" con dei contenuti, con interessanti proposte economiche basate sulle idee di Ichino e Zingales, e quindi aperte ad una visione liberale.

Qualche giorno fa (è un po' che volevo scriverne, ma in questo periodo preferisco occupare il mio tempo libero con le Olimpiadi) Renzi ha mandato una lettera a Repubblica Firenze, in risposta ad una sollecitazione di una giornalista. Con questa lettera, per conto mio, ha guadagnato un sacco di punti, almeno fino a tre quarti del testo.

Mi piace la disamina lucida del fallimento del berlusconismo (e fin qui siamo alle cose facili, ormai l'hanno capito anche i sassi).
Mi piace il fatto che non sia come una certa sinistra snob, che con il complesso di superiorità delle élites non si abbassa a immischiarsi non solo con Berlusconi, ma anche con i suoi elettori, tutti, indistintamente.
Mi piace la chiarezza con cui afferma che per vincere non si può comunque mettere assieme un carrozzone che vada da Mastella a Bertinotti (o potremmo dire da Casini a Vendola...).
Trovo convincente soprattutto l'elenco di motivi per cui lui si ritiene di sinistra e non di destra come viene accusato:
Non sto a sinistra, insomma, perché parlo male di Berlusconi. Sto a sinistra perchè voglio parlar bene dell'Italia, perché voglio più giustizia sociale, perché sogno un maggiore rispetto del territorio, perché punto su un modello energetico diverso, perché credo nella cultura, perché voglio l'Europa dei popoli e non delle banche

E' la risposta a un dubbio che anch'io avevo, chiedendomi "cosa ci facesse lì nel PD". Invece quelli elencati sono valori di sinistra, i valori di sinistra che più apprezzo, di una sinistra per cui trovo interessante il progetto del PD, che non può essere un Pds con una lettera in meno.

Mi piace poco l'ultima parte della lettera, l'auto-elogio su quanto è bravo come sindaco, il "non sono uno di voi" che invece ricade nello snobismo antipatico che a volte lo caratterizza.

Non so se ci saranno le primarie del centrosinistra, né se Renzi parteciperà (da statuto del PD non dovrebbe, e questa è un'altra cosa che non mi piace del suo comportamento, anche se devo dire che su questo punto non sono d'accordo con lo statuto), ma se ci fossero è probabile che avrà il mio sostegno.