venerdì 29 aprile 2022

Brave new world

Dopo qualche anno, sono tornato alla fantascienza.
Alla distopia, per la precisione.

Ho letto Brave new world di Aldous Huxley.

Gran libro, per circa tre quarti.

La fantascienza prende un aspetto del presente, o del prevedibile, e lo esaspera, creando un what if sul futuro. Per questo risulta spesso distopica: perché l'estremizzazione difficilmente è positiva. Per questo stesso motivo, però, non è una previsione realistica, ma estrema.

Il libro è bellissimo nel tratteggiare il mondo nuovo.
Ipnotico (a proposito...), ti tiene lì.

Il personaggio di Bernard Marx è a suo modo sorprendente, all'inizio sembra che possa essere lui l'eroe, invece alla fine si rivela essere un debole. Nemmeno Lenina si "redime".
Ma di eroi non ce ne sono: anche John, il Selvaggio, ha una reazione finale altrettanto estrema, autodistruttiva. Non c'è nessun tipo di lieto fine.
A questo proposito, ho trovato eccessivo il finale con John sul faro, abbarbicato a una ideologia del dolore quasi fanatica e pseudoreligiosa. Il libro poteva chiudersi con il dialogo tra Mustafà Mond e John, che è il climax ideale a tutta la costruzione ideologica sottostante.

Il discorso di Mond fa riflettere. Non è pienamente convincente per il lettore, ma non può esserlo, per i motivi che dicevo prima: porta all'estremo l'ideologia del mondo nuovo, che già è un'estremizzazione. Ma è la giusta provocazione, e sarebbe stato il giusto finale.

Anche in questo caso, come in Ursula Le Guin, colpisce che un libro scritto da una posizione "liberale" (Huxley mette in scena - e in guardia da - una libertà mozzata, controllata) finisca per dare un'immagine positiva di monogamia e castità, quando scelte e non costrette.
Anzi, in entrambi gli autori pare che in società con ampia libertà sessuale questa possa essere uno strumento di conformismo e di "diminuzione" della persona, che è più "piena" quando riesce a resistere - a volte - agli istinti.
Questo però non impedisce a John di portare questa scelta al parossismo. Colui con cui il lettore è portato a simpatizzare, e a concordare nella sua lotta contro l'artificiale, finisce pazzo.

Per quanto riguarda la prosa, anche in questo caso, come per molti autori di fantascienza, essa non è proprio bellissima, il valore del libro è nell'idea  più che nella forma.

Ho letto anche il saggio Ritorno al mondo nuovo, del 1958.
Interessante la parte in cui ragiona sulle due distopie, la sua e quella di 1984, ma poco centrato per il resto. In particolare la preoccupazione malthusiana per la sovrappopolazione si è rivelata completamente scentrata.

giovedì 21 aprile 2022

Quanto è brutta la dittatura?

In questi giorni c'è qualche polemica per l'affermazione del prof. Orsini, personaggio da talk show assurto a una certa fama in questo periodo di guerra , secondo cui il suo nonno sotto Mussolini ebbe un'infanzia felice.

Al di là dell'evidente boutade di un personaggio in cerca di facile fama e invitato all'uopo in vari programmi, bisogna stare attenti quando si dipingono le dittature come una specie di babau per spaventare i bambini, come un male assoluto e "totalitarista", per usare un termine che calza a pennello.

Molte dittature sono effettivamente posti in cui c'è una maggioranza delle persone che sta tutto sommato bene, ma a patto di mantenere un basso profilo, farsi i fatti propri e stare allineati ai desiderata del potere.
Le dittaure si distinguono per le libertà civili e politiche (separazione dei poteri, pluralismo, associazione. informazione eccetera), ma io ci credo che sotto Hitler o Pinochet o Mussolini ci fosse un sacco di gente che si trovava tutto sommato bene, magari anche la maggioranza.

Ma è soprattutto il trattamento delle minoranze (oppositori politici o minoranze etniche-razziali ecc.) che qualifica un regime.

A questo proposito, sempre da leggere Ursula Le Guin e la sua novella Quelli che si allontanano da Omelas.

Si potrebbe obiettare che Mussolini e Hitler hanno imbarcato Italia e Germania in una guerra devastante, e il nonno di Orsini dovrebbe tenerne conto. E' vero, verissimo; però bisogna porre attenzione anche nel fare una simile osservazione. Si correrebbe il rischio di implicare che l'unico problema delle dittature sono le guerre.

Invece la guerra è un grosso problema, ma non tutte le guerre sono fatte da dittature (USA e Israele ne fanno), né tutte le dittature finiscono in guerre (Pinochet, Salazar, Franco dopo la guerra con cui prese il potere, Ceausescu...).

Si può però dire che statisticamente i regimi autoritari e dittatoriali sono più inclini a fare le guerre, perché la "postura" autoritaria è spesso militarista e guerrafondaia e perché se non rispettano la legalità e i diritti in patria è facile che non rispettino neppure quelli internazionali.

Inoltre le dittature, che magari nel breve termine possono "funzionare" per qualcuno, a lungo andare sono inefficienti e richiedono un passaggio alla democrazia (il percorso migliore in questo senso è probabilmente quello sudcoreano, ma anche in Portogallo è andata più o meno così).

Quindi le dittature sono un grosso problema di per sé, indipendentemente dal fatto che portino la guerra o che qualche singolo nonno, o pesino una maggioranza, ci si trovasse bene.

lunedì 11 aprile 2022

Cesaropapismo

In questo periodo sto ascoltando il podcast di Marco Cappelli sulla storia d'Italia.

Cappelli la prende alla larga, partendo da Costantino.

Il periodo sucessivo al cosiddetto editto di Milano del 313 è particolarmente interessante per il discorso dell'intreccio tra Stato e Chiesa. Costantino appoggia il cristianesimo nella prospettiva di una religione unificante, con un solo Dio, all'interno di un impero con un solo imperatore e ormai passato dall'era del principato a quella del dominato.

La storia dei secoli successivi è una storia di cesaropapismo: è l'imperatore a convocare i concili, è l'imperatore a scegliere il patriarca di Costantinopoli. L'editto teodosiano del 380 non è il trionfo del cristianesimo, è il suggello di ciò. Il papato si affranca dall'autorità imperiale sostanzialmente a partire dalla fine del VI secolo. Già alla fine del V secolo papa Gelasio mise per iscritto i principi della separazione dei poteri, proprio per difendersi dall'imperatore, ma la situazione non cambiò, anzi il disastroso pontificato di Vigilio rese evidente che l'indipendenza papale era una chimera.
Solo con Gregorio Magno, che sfrutta la sostanziale autonomia dell'Italia all'interno del mondo bizantino, per vari motivi contingenti (ordinamento giustinianeo che affidava compiti amministrativi ai vescovi; debolezza di Costantinopoli, che chiede all'Italia di organizzarsi con le proprie risorse; invasione longobarda che rende difficili i contatti con l'Oriente; scomparsa del senato romano durante la guerra greco-gotica, con molti senatori uccisi o emigrati in terre più tranquille), il papato diventa il potere di riferimento a Roma.

E' interessante notare che il cesaropapismo è abitudine rimasta influente in Oriente, nel cristianesimo ortodosso. Non per nulla è proprio dell'ortodossia avere molte chiese autocefale, che tendono a sovrapporsi ai confini nazionali. Una delle tappe dell'allontanamento ucraino da Mosca è stata l'istituzione di un patriarcato autocefalo a Kiev.
In questa ottica vanno lette le dichiarazioni del patriarca Kirill, appiattito in modo sconcertante sulla posizione di Putin.

Riguardo a quel che sta succedendo a Mosca, è interessante il parallelismo tra il quanto avvenuto dopo il 313 nell'Impero e dopo il 1989 in Russia.
Il cristianesimo, proveniente da decenni di persecuzione, riceve la legittimazione statale all'atto di un cambio di regime. Nella fase di consolidamente del nuovo potere (quello di Costantino, o quello di Putin) la religione forma una solida alleanza con l'autocrate del momento, che, a prescindere dalla fede personale (non sappiamo neppure se Costantino si sia davvero battezzato), usa la religione come elemento di coesione e di legittimazione del proprio potere, creando un gruppo favorito (i cristiani, gli ortodossi) come nuova classe dominante di un impero multietnico che ha bisogno di elementi identitari.

Al riguardo, e non solo, ho letto qualche anno fa Cesare e Dio, del prof. Marco Rizzi. Il libro approfondisce soprattutto il periodo iniziale del rapporto tra Stato e Chiesa, ed è molto interessante proprio per questo, ai miei occhi.

giovedì 7 aprile 2022

Nicodemismo

Ieri sera il ciclo di essercizi spirituali parrocchiali ha toccato, fra le altre, la figura di Nicodemo.
Costui prima si avvicin a Gesù solo di notte, poi lo difende, infine ne diviene discepolo dopo la crocifissione, quando lo stesso atto della deposizione lo rende impuro per la Pasqua: Nicodemo accetta di superare la Legge pubblicamente, decidendo quind di stare con Gesù.

Il nicodemismo è un termine che si limita alla prima fase, alla professione nascosta della propria fede.

Io ho la sensazione che ci sia parecchio nicodemismo, in giro, tra i cristiani. Specialmente nell'ambito politico e sociale.

Sono convinto che molti sapiano cosa sarebbe giusto fare, da cristiani.
Ma non si espongono per quieto vivere.
Me compreso, intendiamoci.

Nicodemo dopo la Pasqua - anzi, ancora prima, come il centurione, come Longino - seppe capire e trovò la forza di uscire allo scoperto. Auguriamocelo tutto.

mercoledì 6 aprile 2022

L'ambiguità del noi

Mi è capitato in questi giorni di riflettere su una cosa semplice, ma che non avevo mai messo a fuoco.

Il "noi" ha due valenze.

Se si intende come il contrario di "io", il "noi" è un elemento che supera l'egoismo, si apre all'identità plurale.
Un elemento solitamente positivo.

Ma il contrario di "noi" può essere anche "loro". In quel caso si passa al tribalismo, al "noi contro di loro", al "noi siamo diversi da loro".
E allora può esserci una deriva negativa.

In politica, la differenza tra la destra sociale e il comunismo internazionalista è il confine da dare al "noi": nel primo caso è la comunità nazionale escludente, nel secondo è la negazione di confini e barriere, fino a subordinare l'"io" al popolo/partito.

Il cristianesimo è tutto giocato sull'allargamento del "noi": dall'"io" - che comunque è irriducibile - fino al "noi" più ampio dell'intera famiglia cristiana (la Chiesa come corpo di Cristo), umana (tutti creati a immagine e somiglianza di Dio) e universale, allargandosi fino al creato tutto (tutti siamo creature di Dio).
A cerchi concentrici, allargandoci, senza negare il "noi" della famiglia di sangue, della nazione, della comunità civile. Ma sempre con l'apertura.

Di nuovo, una volta di più, una religione dell'et-et, che tiene dentro  e include il più possibile.