venerdì 28 dicembre 2018

Un grido è stato udito in Rama

Nella festa dei Santi Martiri Innocenti, altri pensieri dalla storia di Paolo VI.
Nei primi mesi dopo il Concilio, papa Montini pubblicò sia la Populorum progressio che la Humanae vitae. Per la prima fu accusato di essere "comunista", per la seconda fu accusato di essere "conservatore". Eppure, come disse lui stesso più volte (cfr. omelia del 29 giugno 1978, "riassuntiva" del pontificato), si trattava sempre di difendere l'uomo, nel solco di Gaudium et spes.
Già da allora c'era questa perniciosa divisione tra cattolici "di sinistra" e "di destra".
Mi ricorda papa Francesco, che oggi (Gaudete et exsultate 102) ancora ci ricorda che non può esserci contraddizione tra i due atteggiamenti. Dopo 50 anni, siamo ancora allo stesso punto. Incredibile, per certi versi; scoraggiante, per altri.
Una prece per i moltissimi innocenti che muoiono nella Rama moderna.

giovedì 27 dicembre 2018

Altri pensieri su Paolo VI, la chiesa, il mondo

Altri pensieri sparsi suggeriti dalla lettura della biografia di Paolo VI.
Anche Montini vedeva il cambiamento della società. Una società senza più valori fondanti dati per scontati - in modo immaturo e pietistico, certo - per secoli, se non millenni.
Vedeva inoltre il pericolo di desacralizzare il cristianesimo, di renderlo - diremmo oggi - una ONG, per renderlo digeribile al mondo.
Mi viene in mente un discorso più ampio.
Non so se sia mai esistita una società con i valori "di una volta". Al cambio di secolo (non l'ultimo, quello prima) andava di moda il "medioevo cristiano". Ho i miei bei dubbi anche su quello.
Però, se dobbiamo dare una data "simbolo" del cambiamento, un buon candidato è il 1968. Prendiamo quello come spartiacque: anche in ambito ecclesiale, da lì in poi è stato sempre più difficile mantenere l'unità e, diciamo pure, l'ortodossia. Movimenti, carismi, cristianesimo à la carte, non accettazione dei dogmi (nel senso: necessità di spiegare razionalmente tutto e mancata accettazione delle verità per fede), il tutto condito dallo sdoganamento della nuova (a)morale sessuale.
Da lì in poi, possiamo individuare il nuovo set di valori che ha adottato il mondo?
Secondo molti analisti, dopo la ventata rivoluzionaria del 1968 ha trionfato il capitalismo consumistico. L'età delle libertà personali si è trasformata nell'età del pensare a sé stessi, nell'età dell'egoismo.
In questo passaggio stanno - tangenzialmente - Bockenforde (la società democratica-liberale si regge su presupposti che non può garantire), Popper (se la democrazia tollera gli intolleranti rischia la propria fine), Novak e Tocqueville (il vero liberalismo si muove in una cornice di valori necessari, che nel '700 erano scontati, senza quelli non funziona). E sta Paolo VI, quando sostiene (Populorum Progressio 42) che un umanesimo senza Dio è un umanesimo disumanizzante. Mi pare che finora non ci sia stata smentita a questa opinione - o chiamiamola pure profezia.
Dagli anni '80 in poi mi pare che il paradigma attuato sia stato più specificamente economico: l'egoismo si è tradotto nell'avere di più. La sinistra di Clinton e Blair ha spinto per la deregulation finanziaria. A scuola si lavora per dare "competenze spendibili" sul campo del lavoro. Il concetto di utilità si è sovrapposto a quello di rendimento.
Oggi però forse questo meccanismo scricchiola. Ci ha messo del suo la crisi: l'impossibilità di "avere" di più ha fatto emergere altri valori.
Leggevo da qualche parte che le reazioni riguardanti l'immigrazione sono economicamente irrazionali: qualsiasi studio o economista vi dirà che l'immigrazione è un meccanismo economicamente funzionale. Eppure è contrastata.
Altrove leggevo che le reazioni al governo giallo-verde sono altrettanto irrazionali: sono delle capre, ma sono le capre che abbiamo voluto.
Ecco, mi viene da pensare che il fallimento dei valori economicistici abbia fatto emergere un altro set di valori, più primordiale ancora: quello identitario, di clan. In fondo, ancora un'altra versione dell'egoismo.
E trovo questo amaramente ironico: sono decenni che i Papi, da Paolo VI a Francesco, chiedono di cambiare il paradigma dell'utilità economica con un paradigma diverso, più umano.
Non credo che avessero in mente questo.

mercoledì 19 dicembre 2018

La pastorale del mondo

Sto leggendo la bella biografia di Paolo VI curata da Xenio Toscani.
Lettura impegnativa, ma piacevole e interessante.
Mi ha un po' stupito leggere gil stralci delle riflessioni di Montini nell'immediato dopoguerra. Già allora il Papa si interrogava sul rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno, sempre più secolarizzato.
Chissà cosa direbbe oggi... credo che l'evoluzione successiva abbia confermato il processo che lui aveva intuito fin dalle radici culturali e filosofiche, da cui è discesa la seguente deriva nelle pratiche.
Al tempo si confrontavano due approcci, la "via spagnola" dell'accordo con lo Stato franchista e la "via francese" delle missioni popolari, dei preti operai, della Francia terra di missione.
A prevalere fu l'impostazione francese, con grande impulso di Montini stesso. Il Concilio poi la istituzionalizzò.
L'accento, da allora, si pone sulla pastorale, sui "testimoni" più che sui "maestri".
Mi ha stupito realizzare che sono settant'anni che stiamo girando attorno a questi concetti.
La nostra pastorale, dalle banalità (la Messa serale, per esempio: non sapevo che nell'anteguerra non fosse permessa) agli sforzi più grandi (le Missioni popolari), è orientata da allora nel senso della apertura, della ricerca, della proposta ai lontani.
I risultati a volte lasciano sconfortati, fin da allora, con il mezzo fallimento della Missione di Milano del 1957. Il progressivo distacco del mondo da Dio è continuato, indifferente a ogni sforzo. Perché? Non lo so. Ho poche idee, e ben confuse.
Perché si è scelta la strada sbagliata? Dovevamo scegliere la via spagnola (o russa, diremmo oggi)?
Perché non siamo stati capaci di percorrere la via fino in fondo? Se anche papa Francesco sostiene che la fede si propaga non per proselitismo, ma per attrazione, vuol dire che negli ultimi decenni (o secoli) non siamo stati abbastanza santi da attrarre? Non lo so, può essere ma mi suona come un no true scotsman. Se fosse così vorrebbe dire che ci siamo posti un obiettivo troppo elevato per le nostre forze.
Perché - per dirla con Montini e con Benedetto XVI - non siamo stati capaci di coniugare il rinnovamento con il mantenimento di salde radici nella verità? Ma le vere radici a cui fanno riferimento i due papi sono quelle filosofiche (per Paolo VI) e antropologiche (per Benedetto).
Il mondo d'oggi - diversamente da quello degli anni '50-'60 - rifiuta persino qualsiasi base filosofica e ideologica. Siamo oltre l'impostazione su filosofie sbagliate (il materialismo, l'idealismo, il marxismo...). Siamo all'irrilevanza della filosofia, una specie di caos primordiale del pensiero.
Al giorno d'oggi, inoltre, non si pone nemmeno più la dicotomia tra testimoni e maestri: il mondo non accetta più maestri. Basta vedere la perdita di autorità degli insegnanti. La via della testimonianza è l'unica possibile.
Eppure, spesso l'effetto è quello di Paolo all'Areopago: "su queste cose ti sentiremo un'altra volta". Le cose che testimoniamo non interessano.
A volte ripenso all'opzione Benedetto, quella delle piccole comunità che mantengono viva la fiamma della fede come i monasteri medioevali. Magari ci arriveremo non per scelta ma di fatto, rimanendo semplicemente in pochi. Anche in quel caso, comunque, non potremo esimerci dall'essere testimoni.

venerdì 14 dicembre 2018

Parabole sbagliate (1): abbiamo cantato...

Inauguriamo oggi un nuovo filone, quello delle parabole evangeliche "sbagliate", ovvero quelle in cui io povero ignorante, pur capendo il senso generale, non capisco la lettera del testo. Oggi il Vangelo propone Mt 11,16-19:

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «A chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. E' venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E' venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».
Il senso che si dà di solito - e che suggerisce Gesù al versetto 18 - è: è venuto Giovanni Battista, ha parlato di penitenza e conversione (il lamento), e non lo avete ascoltato. Sono venuto io, Gesù, a portare la lieta novella (il flauto), e non mi avete ascoltato. Ok, questo è chiaro: un monito contro l'incredulità e la poca fede.
Però, alla lettera, "questa generazione" non è paragonata agli "altri compagni", coloro che non hanno ballato né pianto, ma ai fanciulli che rimproverano coloro che non hanno ballato né pianto.
Quindi "questa generazione" non sono gli ebrei increduli, ma coloro che li rimproverano? "Questa generazione" sono forse Gesù, il Battista e i discepoli?
Più probabilmente il senso delle parole letterali è da leggere come: «A cosa paragonerò ciò che accade in questa generazione? Succede come con quei fanciulli seduti...», cioò si sta paragonando la situazione e non il singolo gruppo di fanciulli o di compagni.

martedì 11 dicembre 2018

Il cattivismo irrazionale

La scorsa settimana c'è stata una polemicuccia nel governo sulla presunta "ecotassa" sui diesel.
Niente di che, intendiamoci: normali schermaglie comunicative.
Nel merito, io non capisco perché il problema dei diesel non si possa risolvere semplicemente decidendo che dall'anno 20XX non si immatricoleranno più autovetture diesel, ma solo veicoli commerciali o autocarri.
I diesel andrebbero a estinzione con il cambio naturale del parco auto, ma chi non può permettersi di cambiare la propria macchina non dovrebbe fronteggiare tasse in più. Probabilmente diminuirebbero anche i distributori di gasolio, man mano, ma resterebbe garantita la loro presenza per via dei veicoli commerciali.
Se questa decisione fosse stata presa 10 anni fa, oggi avremmo molti meno problemi. Invece siamo ancora qua con i divieti, gli euro 3, 4 e 5.
Più in generale, mi pare che quando possibile sia il caso di evitare di mettere fuori legge qualcosa che già c'è, per lavorare invece pensando al futuro (d'ora in poi). Si ledono dei "diritti acquisiti", si creano problemi da un momento all'altro, si mettono in difficoltà delle persone.
Esempio molto più grave di ciò è il decreto sicurezza e l'abolizione della protezione umanitaria.
Si può discutere nel merito della questione, se sia un'idea sensata intervenire su una forma di protezione che non è armonica con altri Paesi, se sia stata abusata, se al contrario sia stata usata solo per sopperire alle maglie troppo strette della concessione di asilo.
Ma a me sembrava pacifico che si parlasse del DOPO decreto: "da domani in poi" non si concederà più alcuna protezione umanitaria, ma chi è entrato fino a ieri continua il suo processo normalmente. Così si andrebbe a esaurimento delle protezioni umanitarie nel giro di un paio d'anni.
Toccare anche chi era già nel sistema delle protezioni, così, dall'oggi al domani, è inutile (se non controproducente, come fanno notare tutti quelli che spiegano che la misura "fabbrica" clandestini) e caratterizzato solo da cattiveria gratuita.

giovedì 6 dicembre 2018

Un partito contendibile

Che però ha paura di essere conteso.
Così, Richetti e Minniti si ritirano dalle primarie PD perché "può darsi che nessun candidato arrivi al 51% dei voti".
Per la prima volta nella storia del PD si avranno (si sarebbero potute avere) primarie veramente aperte e invece no, vogliamo un candidato vincitore annunciato.
Che tristezza.
L'unico problema che vedo in primarie vere, contendibili è se DOPO i perdenti non accettano il risultato e continuano a fare la guerra al vincitore. Auspicare un vincitore bulgaro vuol dire ammettere di avere un partito balcanizzato, vero?
Che brutta fine.