mercoledì 26 febbraio 2020

Inizia la stagione

Stasera inizia la vera stagione della Juve.
Fin qui sono piuttosto scettico: dal mercato è uscita una squadra piuttosto sconclusionata.
La pnta che giocava vicino a CR7 lo scorso anno l'han mandata in Arabia.
Dybala e Higuain (che l'anno prima fu mandato al Milan per non pestare i piedi a Ronaldo) sono finiti a fare i (più o meno) titolari.
Anche altri esuberi, come Khedira, sembrano insostituibili.
Mi pare che non ci siano le idee chiare. Se prendi un Sarri dovresti dargli giocatori adatti. Oppure è stato un tentativo per fare un esperimento con un gioco più "guardiolista" e vedere chi è adatto?
Fatto sta che finora la squadra non ha convinto, e - cosa che mi preoccupa - non si riesce a trovare un equilibrio, una formazione base, e siamo a febbraio. Oggi si va con CR7+punta+Cuadrado, proviamo anche questa.
Per il campionato la squadra è troppo forte per fallire (anche se si sono buttati via parecchi punti per cali di testa, roba che con Conte non sarebbe mai successa). Per la coppa non ci siamo, anche se con il Lione dovremmo scamparla.
Sia agli atti prima che succeda.

sabato 22 febbraio 2020

Il fallimento del liberalismo

Dal sito di Politica Insieme sono risalito a questa recensione del libro Perché il liberalismo ha fallito.
Non ho letto il libro, ma ripropongo il discorso perché mi pare che tocchi alcuni aspetti che in questo periodo mi interessano particolarmente.
Siamo ancora dalle parti dell'insoddisfazione della democrazia proposta da Bobbio e citata da Antiseri, di cui parlavo qui: la democrazia crea aspettative ideali che nella pratica non è in grado di soddisfare. L'autore, a quanto pare, fa un discorso simile sul liberalismo.
Ritorna la crisi antropologica dell'uomo moderno, e della sua idea di libertà. Cito ancora dalla recensione:
Non si può razionalmente credere al progetto di libertà di matrice liberale, che si riduce al perseguimento senza limiti dei propri desideri, per due motivi molto semplici. Primo, l’uomo è insaziabile. Secondo, il mondo è finito. Se ne deduce che non si può essere liberi nell’accezione liberale del termine.
La libertà non può essere disgiunta dalla virtù. Questa visione è descritta come "la libertà degli antichi"*. Per quel poc(hissim)o che ne so, in realtà, è parte del liberalismo classico nella versione anglosassone di Tocqueville e Burke.
Non ho capito se l'autore pensa che questa visione possa essere conculcata, mi pare di no: c'è bisogno di una società, un humus culturale che renda le virtù accettate - così come i limiti alla libertà che ne conseguono, che diventerebbero autoimposti. Una sorta di leggi non scritte condivise.
Questi sono presupporti "pratici" perché la teorica libertà del liberalismo si incarni nel miglior modo possibile: solo se ciascuno liberamente rinuncia a un po' della sua libertà teoricamente assoluta si può raggiungere il massimo grado di libertà per tutti.
Siamo di nuovo dalle parti del dilemma di Bockenforde.

* In realtà "libertà degli antichi" è un concetto mal descritto: per gli antichi la libertà era per pochi, solo per i cittadini, una piccola minoranza.

venerdì 14 febbraio 2020

Sulla legge elettorale (più o meno)

O più che altro sui suoi principi.
Riparto da dove ero rimasto la volta scorsa, quando scrivevo:
Discorso più ampio. Parto dalla situazione dei 5 stelle, che pian piano stanno evaporando, travolti dalla propria nullità. Questo rende sempre più anacronistico il Parlamento: se davvero si andrà a votare nel 2023, per allora ci saranno centinaia di parlamentari “fantasma”, che si sa benissimo che non rappresentano alcuna forza reale nel Paese. E’ il problema che ci fu nel 2017-18 con i parlamentari di Scelta Civica, nata e morta nel 2013. Loro però presero atto della cosa e risolsero il problema “da soli”, sciogliendosi nel PD renziano. Stavolta la distorsione potrebbe essere molto più forte, perché riguarda il primo gruppo parlamentare, che prima e dopo le elezioni del 2018 non è mai più stato 1/3 del Paese come si è ritrovato a essere in Parlamento.
Periodicamente si discute di legge elettorale. Il dilemma è di solito tra governabilità (=meccanismi maggioritari) o rappresentanza (=proporzionale). Pensandoci, trovo piuttosto irrazionale che i sostenitori della rappresentanza, del proporzionale, siano gli stessi che NON vogliono andare a elezioni a breve. La rappresentatività del parlamento è un problema solo all’atto della ripartizione dei seggi? Non nel suo sviluppo temporale? A costoro non interessa che oggi il Parlamento non è effettivamente rappresentativo del Paese, data la crescita della Lega e il crollo del M5S? I sostenitori della rappresentatività dovrebbero essere favorevoli a elezioni frequenti, per avere fotografie più rappresentative dell’elettorato.
Certo che non si può votare ogni sei mesi*, bisogna dare il tempo ai governi di funzionare. Ma bisogna dare solo il tempo, o anche gli strumenti? Se garantiamo a una maggioranza cinque anni per lavorare, non dovremmo anche garantire degli strumenti parlamentari adeguati?
Due possibili spunti di lavoro ulteriori: se vogliamo andare verso un maggioritario, l’unico modo di avere rappresentatività è un forte legame dell’eletto con il collegio, fino al modello inglese. Prendiamo atto che con le elezioni non stiamo fotografando il Paese, ma stiamo affidandone il governo a qualcuno. Basta barcamenarsi con premi, soglie, liste bloccate lunghe e corte, che alla fine non garantiscono né la rappresentatività né la governabilità: abbiamo il coraggio di andare fino in fondo.
Inoltre: forse la soluzione al dilemma che ho espresso sta nel sistema parlamentare, e nella differenza tra legislativo ed esecutivo.

* D'altra parte gli USA funzionano votando praticamente ogni due anni… e qui da noi, se ogni elezione ha significato politico, comprese quelle regionali, è così diversa la situazione?

domenica 9 febbraio 2020

Dalle letture della domenica

Due appunti dalle letture di oggi.
Isaia 58,7 parla del digiuno gradito al Signore:
Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti [testo CEI 2008, "quelli della tua carne" nel testo CEI 1974]?
Quindi anche nell'Antico Testamento c'è quel richiamo al "prima i vicini" che si ritrova poi in san Paolo. Questo atteggiamento esclusivo, anzi "inclusivo per cerchi concentrici", manca solo nel Vangelo, quando anzi i parenti sono trattati come sappiamo: "chi è mia madre, mio padre e i miei fratelli?".
Prima lettera ai Corinzi, 2, 1-5:
Io, o fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza.
Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.
Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
Paolo, come altre volte, fa professione di falsa modestia, ma quello che mi colpisce sempre è l'esortazione a una fede slegata - o meglio: non fondata - dalla sapienza umana. Ricorda il Vangelo in cui Gesù ringrazia il padre per aver rivelato non ai dotti e ai sapienti, ma ai piccoli.
E' molto provocatorio per un cristianesimo che nei secoli si è sempre accostato alla ricerca intellettuale e teologica.

venerdì 7 febbraio 2020

Sull'attualità della memoria

E' da poco passata la Giornata della Memoria, e fra poco arriverà il Giorno del Ricordo.
Man mano che passano gli anni, dopo i primi tempi di commozione e trasporto, crescono le riflessioni sul senso del fare memoria, sull'efficacia, sugli obiettivi.
Propongo questo articolo e soprattutto la bella discussione che ne è scaturita.
Qualche giorno dopo l'articolo, sono uscite molte notizie sui fatti di antisemitismo che si succedono in questi giorni ("Juden Hier" su abitazioni di partigiani, a Torino qualcosa di simile*).
Per poi arrivare al dato francamente lunare sul fatto che il 15,6% degli italiani non crede all'Olocausto, dato per cui spero ci sia una qualche incomprensione nella rilevazione o nel porre la domanda.

In ogni caso, che l'antisemitismo rigurgiti su dalle fogne della storia mi pare difficilmente discutibile. Ma com'è possibile, dopo 15 anni di celebrazioni istituzionali?

Mi vengono in mente solo pochi ragionamenti.
Quando una cosa la fai a scuola perché te la "impongono" nel calendario, è difficile che tu la "senta" dentro. Anzi, in una certa quota di ragazzi cresce il senso di ribellione, il dire no perché no, perché sono adolescenti, perché c'è sempre dietro qualcosa**.
Fare le cose per forza non è la strada giusta. E' ancora il discorso che ho fatto un milione di volte della legge imposta o accettata spontaneamente: come per le regole morali e sociali, l'unico modo perché funzionino non è imporle, ma accettarle per convinzione.
Così anche le celebrazioni dell'Olocausto vanno sentite e interiorizzate, non imposte.
E' però vero che la maggior parte della memoria è affidata alla scuola, con gli effetti collaterali di cui accennavo sopra. Dobbiamo allora rinunciare alla Giornata della Memoria a scuola? I giovanissimi sono già "formati" abbastanza da aderire personalmente a un certo tipo di riflessioni? In fondo la scuola serve proprio a quello, a formarli, e i ragazzi non sono ancora adulti: da piccoli riteniamo normale "obbligarli" a delle regole, per poi sperare che vi si uniformino da adulti.

Il non plus ultra sarebbe mantenere l'obbligatorietà del tema, ma affidarlo a un percorso fatto dagli studenti durante l'anno, o addirittura lungo il ciclo di studi. Ma mi rendo conto che così resterebbe tutto affidato alla buona volontà del singolo insegnante e/o studente, che il tempo è per tutti quello che è.

Allora mantenere l'impostazione attuale può essere il male minore: per qualcuno che reagisce "male", si spera che la maggioranza abbia una consapevolezza accresciuta. In fondo i giovani sanno dell'Olocausto mentre non conoscono la matrice delle stragi degli anni '70, perché l'Olocausto lo fanno a scuola, gli anni '70 no. Inoltre credo che sia doveroso che una comunità abbia anche dei momenti di memoria "ufficiali", anche se hanno qualche controindicazione.
Poi bisogna cercare il modo migliore per fare memoria.
Tornando invece ai casi di antisemitismo, evitiamo anche di dar loro pubblicità: il rischio di emulazione secondo me in questi casi è alto, anche tra bande di ragazzotti che magari non sono consapevolmente ideologizzati, ma a furia di imitare lo diventano.

* Tra l'altro spicca sempre la vigliaccheria di questi conigli che tra di loro si atteggiano a grand'uomini duri arditi me ne frego boia chi molla, ma poi non hanno il coraggio di rivendicare mai nulla e fanno sempre tutto in forma anonima.
*Quest'ultimo passaggio, poi, nel nuovo millennio ha preso sempre più piede. Chissà perché, siamo più portati a credere ai complottismi, e meno a fidarci delle Auctoritates.

mercoledì 5 febbraio 2020

Democrazia diretta e rappresentativa dalla SFISP

Sabato scorso il professor Flavio Felice ha parlato di democrazia nel secondo incontro della SFISP.
E' stata una presentazione interessante, un po' difficile, che come sempre ha fornito molti spunti.
Interessante per esempio il parallelo tra la "libertà degli antichi" (la polis) e la "libertà dei moderni" La libertà degli antichi ha qualche assonanza con la democrazia diretta, non solo in senso storico ma perché tende(va) a politicizzare ogni cosa per tutti i cittadini.
La libertà dei moderni si incarna in una democrazia rappresentativa non solo in senso metodologico, ma anche perché il fatto di delegare la politica (politicata) a specifici competenti permette gli altri di dedicarsi ad altri campi. Questo è un fatto interessante: nella società si creano più ambiti di competenza specifici. La specializzazione in effetti è una cifra della modernizzazione delle civiltà (pur con i suoi rischi).
Molto interessante anche l'indicazione del bene comune come mezzo e non come fine. Sono così abituato a sentirne parlare come uno dei quattro cardini della dottrina sociale della Chiesa che dò per scontato che sia un fine da peseguire. In realtà, come ha detto il professore, è sicuramente un elemento da perseguire, ma nell'ordine di valorizzare la dignità della persona, che é il vero fine. Ed in effetti è ovvio: la definizione di Gaudium et spes è
l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente.
Rileggendo, se il bene comune è un insieme di condizioni che fanno star bene le persone, è abbastanza ovvio che sia essenzialmente un mezzo.
Infine, devo ricordarmi una citazione, che non ricordo esattamente ma che suonava come: "Una democrazia che non si può criticare è morta. Una democrazia che non viene criticata non sta tanto bene."
Come accennato all'inizio, la relazione mi è parsa un po' difficile per i corsisti, o meglio molto intensa, con tanti concetti e informazioni passati in poco tempo. In generale, però, mi piacerebbe che passasse l'idea che il corso non fornisce soluzioni (è meglio la democrazia diretta o rappresentativa?), ma riflessioni, anche perché spesso la risposta è "dipende". Questo tipo di corsi dovrebbero fornire una base per ragionare sulle domande e saper fornire la risposta più adatta ai contesti e alla preparazione personale.

sabato 1 febbraio 2020

Faccia a faccia

Ieri sera sono stato all'evento di presentazione dell'associazione Face to Face, che si propone di organizzare dibattiti politici con l'obiettivo di coinvolgere soprattutto i giovani (nel direttivo sono tutti under 30).
Il presidente ha sottolineato che di dibattiti se ne fanno pochi. Sottovaluta il livello locale, in cui loro non sono certo i soli a organizzarne, ma è vero che in prima serata e in TV non ce ne sono così tanti.
Ci sono stati alcuni errori di gioventù, ma la serata è uscita nel complesso bene. Il dibattito riguardava l'immigrazione, e ha fatto emergere alcune posizioni trasversali, specie nel discorso sulla protezione dei diritti umani delle persone.
Due appunti sulla questione: l'intervenuto di Italia Viva, senatore Eugenio Comincini, ha stigmatizzato l'associazione del tema dell'immigrazione alla sicurezza, dicendo che l'Italia è uno dei Paesi in cui i reati calano di più. Paolo Inselvini di Fratelli d'Italia ha detto invece che molti stranieri finiscono - certamente senza volerlo, nelle loro intenzioni iniziali - nel giro della prostituzione e dello spaccio. Mi pare che quest'ultimo sia un dato innegabile, anche secondo le statistiche per i reati di droga. Si poteva però rispondere: 1) di non generalizzare, "molti" non sono "tutti"; 2) che in Italia ci fu un'epidemia di morti per eroina tra gli anni '80 e '90, ben prima delle ondate migratorie: forse lo spaccio lo fa la domanda, non solo l'offerta, e se non ci fossero gli stranieri avremmo semplicemente spacciatori italiani come negli anni '80.
Girelli (PD) ha stigmatizzato la proposta di blocco navale (che per motivi di tempo non è stata articolata da Inselvini). Qui mi viene da pensare a cos'è, un blocco navale: credo che né INselvini né Meloni possano pensare ad affondare le navi, quindi devo pensare che vogliano costringerle a rientrare o - meglio ancora - a non partire. E' così diverso dalla dottrina Minniti? O è solo un po' meno ipocrita? (questa è una provocazione, lo ammetto)
Comunque l'idea di fare dibattiti è interessante, soprattutto per quel che scrivevo sopra: se fatti in un clima giusto, tra pochi e non tra tifoserie*, possono uscire tante cose comuni.
* Il rischio è che, se la cosa prende piede, gli intervenuti si organizzino con delle claque. Ne ho avuto il sospetto un paio di volte, ieri.