martedì 26 dicembre 2017

La prima e la seconda venuta

Post natalizio, e anche un po' pasquale.
Riflettevo in questo Avvento sul fatto che la prima venuta di Gesù è stata difficile da individuare. Certo, uomini pieni di Spirito Santo come Zaccaria ed Elisabetta, i Magi, Simeone e Anna, Giovanni Battista, poi Nicodemo e i discepoli lo hanno riconosciuto come il Messia.
Però non era facile. Nessuno sapeva che Gesù fosse nato in realtà a Betlemme. Tutti lo conoscevano come galileo e nazareno, e il Messia sarebbe dovuto venire dalla casa di Davide, della tribù di Giuda, quindi dalla Giudea e da Betlemme.
Inoltre la Scrittura parlava di molti Messia: del Signore degli eserciti, del Re, del Messia politico. potente, trionfante, e solo alcune tradizioni parlavano del "servo sofferente di Jahvé". L'attesa era per qualcosa di... diverso. Oggi, con il senno di poi, leggiamo quelle profezie in modo diverso: Cristo Re regna dal trono della croce. Ma è l'interpretazione che diamo a ragion veduta.

Vedo alcuni parallelismi tra la situazione della Giudea dell'anno zero e la nostra, che nel terzo millennio aspettiamo il ritorno, la seconda venuta di Gesù.
A volte sorgono dubbi: ma sarà vero? Sono 2000 anni che aspettiamo... alcuni scritti del Nuovo Testamento ci dicono che il tempo è vicino, che doveva essere vicino già allora...
Ebbene, anche ai tempi di Gesù fa c'erano profeti che avevano annunciato la venuta del Messia centinaia di anni prima. Malachia annuncia la venuta del Battista con 5 secoli di anticipo. Immagino che anche allora molti dubitassero: "ma verrà poi questo Messia di cui ci hanno promesso secoli fa?" E alla fine è arrivato, in un giorno come tutti gli altri. Senza preavviso, sottovoce, in una capanna, in un borgo sperduto. Senza spalancare i cieli e senza squilli di tromba.

E se anche la seconda venuta fosse così? Noi abbiamo in mente l'Apocalisse, ma in effetti la venuta in gloria era attesa anche dagli ebrei, solo dopo abbiamo compreso come andavano lette quelle profezie. Magari anche stavolta ogni giorno è buono.

E se per ciascuno di noi il Messia tornasse in modo diverso? E' lui stesso che ce lo dice (Mt 25,40):
ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
 Ogni volta che incrociamo un piccolo, un povero, un debole, quello è Gesù che ritorna.

Alla fine l'unico modo sarà cercare di essere sempre pronti e usare gli occhi del cuore, più che quelli dello studio.

martedì 19 dicembre 2017

La torta dei diritti

Sabato 16 ho partecipato al ritiro natalizio per le persone impegnate nel politico e nel sociale.
Interessante l'intervento di don Bruno Bignami, che ha fornito molti spunti.
Su alcune cose ha sfondato porte aperte, almeno con me. Mi è piaciuto come ha detto che l'etichetta di "argomenti eticamente sensibili" non ha senso:
Perché quando parliamo di lavoro, non è un argomento eticamente sensibile? Quando parliamo di casa, non è un argomento eticamente sensibile?
Ma mi è piaciuto in particolare quando ha parlato di diritti e doveri. Don Bignami ha detto che non possiamo immaginare i diritti come un panettone di cui ciascuno prende la sua fetta che gli spetta, ma invece bisogna pensare che ciascuno si faccia un po' pasticciere e si metta a impastare per fare un panettone più grande.

Ci riflettevo nelle settimane scorse. Una delle accuse che MDP/Articolo 1/LeU (uff uff) porta a Renzi è di aver smantellato i diritti del lavoratori, come voleva la destra.
Renzi replica che nessun governo di "vera sinistra" ha mai fatto di più sui diritti civili.

Qualcuno ha osservato che i diritti civili vengono utilizzati come "specchietto per le allodole" per coprire l'erosione di quelli sociali.

Questa è la visione dei diritti come fette di torta: se ne allargo una, un'altra si restringe.
Don Bruno Bignami ci offre un'alternativa a questo approccio. E aggiungo che il lievito della torta, che la ingrandisce in modo che si possano allargare anche tutte le fette, può essere solamente costituito dai doveri. Senza i doveri, e il loro responsabile rispetto e coltivazione, la torta dei diritti non cresce. Idea non mia, ma mutuata da Novak, che ho appena terminato di leggere.

mercoledì 13 dicembre 2017

Tempi di transizione

In questi giorni pensavo ai tempi di transizione, e ho nominati la caduta dell'Impero Romano.
Mi è capitato a volte di pensare che è possibile che siamo vicini a una situazione che ha degli aspetti in comune con quell'epoca. Veniamo da due secoli abbondanti di cultura anglosassone. Chi lo sa come sarà il prossimo secolo? Predominio cinese? Meltin' pot? Cultura occidentale che invade anche la Cina, modello Graecia capta ferum victorem cepit? Cultura occidentale in declino anche demografico (sia in Europa, che per la componente WASP negli USA) che lascia il posto a una cultura diversa? Cultura musulmana per via della demografia e delle migrazioni di massa?

Non so come, ma a me l'epoca del tardo antico - alto medioevo (diciamo tra il 500 e il 1000, mica bruscolini) affascina tantissimo. Forse sarà per la scarsità di informazioni: pensiamoci, a scuola di quella parte di storia cosa si sa? Tra la caduta dell'Impero e i Comuni è già tanto se si nominano Giustiniano e Carlo Magno. Per qualcuno addirittura quei secoli non esistono...

Inoltre c'è il fascino del "day after": è innegabile che in quel periodo la società e la cultura hanno vissuto in molti campi un certo regresso. Per me è affascinante vedere che la storia non è lineare, può recedere, ma alla fine l'uomo ne viene fuori in maniere sempre creative. L'apogeo del Medioevo (il tredicesimo e quattordicesimo secolo) è un grande periodo, base del Rinascimento, ma completamente diverso dall'epoca antica: la strada verso quell'epoca è stata tracciata nei secoli altomedievali.

Per noi bresciani, inoltre, quello è il periodo dei Longobardi. Invasori spietati, ma anche una gens che avrebbe potuto unificare l'Italia con mille anni di anticipo, se non fosse stato per il Papa. Io e mia moglie siamo appassionati del tema, e partendo da Santa Giulia abbiamo cominciato a percorrere i luoghi longobardi patrimonio UNESCO.
Sono posti bellissimi. Quell'arte geometrica, con figure sbozzate, che anticipano gli stili di Wiligelmo, è affascinante. Si vede il fascino verso l'arte classica, con tentativi di imitazione che sembrano quelli dei bambini ma anche l'influsso dell'iconografia nordica. Un'epoca in cui un medioevo quasi fantasy irruppe in un mondo classico.

Comunque non siamo gli unici appassionati: per la mostra Longobardi ci sono state code fin dal primo giorno, figurarsi quando siamo andati noi, domenica 3, l'ultimo giorno...
Bella mostra, comunque. Fa un certo effetto vedere che tanti reperti ormai li conosciamo, e abbiamo visitato i luoghi da cui provengono (Castel Trosino, Cividale del Friuli, Museo dell'Alto Medioevo a Roma...). Stiamo diventando esperti :-)

giovedì 7 dicembre 2017

Le radici dell'irrilevanza dei cattolici (2)

(continua da qui)

A questo punto è necessario ripartire.
Fa strano dover ripartire da un progetto di un quarto di secolo fa, ma secondo me la strada non può che essere quella. Il collateralismo politico non conduce da nessuna parte, specialmente con una politica povera come quella attuale - cosa su cui la Chiesa non è esente da una certa quota (sia pure minoritaria) di colpa, come ho accennato. E non è un problema di scegliere una parte o un'altra: non va bene in ogni caso. Il lavoro che la Chiesa deve fare è culturale, bisogna scendere nell'agorà pubblica portando i valori cristiani e spiegando che sono valori umani, accettabili anche in maniera laica. Valori ragionevoli per tutti, mi verrebbe da dire.
Per riuscire a fare ciò dobbiamo prima di tutto lavorare su noi stessi, all'interno della Chiesa. Creare cristiani consapevoli, preparati, formati, pronti a «rendere ragione della speranza» che è in noi (1Pt 3,15). Senza nemmeno preoccuparci dei numeri, o del successo. Quello seguirà, se sapremo lavorare su noi stessi. Certo è una prospettiva di lungo periodo, ma questo - come diceva Mauro Magatti alla Settimana Sociale di Cagliari - è il tempo della semina.

martedì 5 dicembre 2017

Le radici dell'irrilevanza dei cattolici (1)

Ritorno su un concetto che ho accennato nell'ultimo post, a commento della Settimana Sociale di Cagliari: l'irrilevanza dei cattolici nel dibattito pubblico.
Mi sono molto interrogato sull'origine di questo fatto. A Cagliari, come ho scritto, questa sensazione era strisciante ma ben presente, come un ospite sgradito. Vedo che anche un altro reduce da Cagliari, Luigino Bruni, ha notato questo fatto. Però mi pare che il sui intervento sia stranamente carente nell'analizzare i motivi di questa irrilevanza.
Io ho le mie idee al riguardo, e - come forse si è capito - ritengo che questo fatto derivi dalla prolungata incapacità di affrontare le mutazioni culturali intervenute nel dibattito pubblico degli ultimi (almeno) 30 anni.