mercoledì 9 ottobre 2019

Ricostruiamo la politica (1)

Sto leggendo Ricostruiamo la politica di padre Francesco Occhetta.
Ho letto solo la prima parte, per ora: quella in cui l'autore analizza le caratteristiche dei populismi.
Si tratta di un bel riassunto delle analisi che si fanno di solito sull'argomento. Le caratteristiche rintracciate sono quelle classiche: disintermediazione, accento sulla democrazia diretta, comunicazione emozionale, leaderismo carismatico.
Forse ho trovato poco approfondimento sulla caratteristica della ipersemplificazione, mentre ho trovato sorprendente - ma tutto sommato centrata - l'analisi sul populismo come subdola via per sostituire le decisioni politiche con decisioni "tecniche".
Ma la caratteristica su cui sono più d'accordo - e che mi preoccupa di più - è il fatto che i populismi escludono e negano legittimità a delle parti (politiche, del popolo), alle minoranze. Il populista rappresenta "il popolo", e quindi chi non è d'accordo si pone fuori dal "popolo", e quindi non è titolare di sovranità.


Mi è piaciuta la definizione, citata dall'autore, di "Populismo come malattia senile della democrazia". Mi ha ricordato il discorso di Bobbio che lessi in Democrazia avvelenata sul paradosso della democrazia: i regimi democratici creano aspettative crescenti, in termini di servizi, di "influenza" del proprio voto, di partecipazione alle decisioni; e queste aspettative sono sempre più difficili da mantenere, e vengono facilmente deluse.
Allo stesso modo mi è piaciuto l'accenno all'ambiguità politica come strada verso l'autoritarismo. Credo che ciò sia vero in più modi: quello più ovvio è che i politici incoerenti e voltagabbana danno adito all'antipolitica. Ma è anche vero che se i politici possono dire tutto e il contrario di tutto, diventano indistinguibili, quindi si finisce per votare il più leader, il più comunicativo, il più carismatico, il più simpatico, quello che ha più presa sulle folle. Lo stesso effetto ha il fatto che gli spazi di manovra dei politici - soprattutto per motivi economici - sono molto ristretti (il famoso TINA): allora uno vale l'altro, e ricadiamo nei criteri di scelta alternativi appena elencati.

Non mi è piaciuta invece la parte sull'Europa, richiamata quando si citano alcuni antidoti al populismo. Andare verso una struttura più federale è contro i populismi nel senso che è contrario alle politiche dei partiti populisti, ma non garantisce contro il fenomeno del populismo. L'autore si chiede: cosa succederà se nel Consiglio europeo i populisti dovessero diventare maggioranza? Bisogna avere contrappesi democratizzando l'Unione. Però se i populisti saranno maggioranza in Consiglio, probabilmente lo saranno anche in Parlamento...
Poi ci sono delle uscite francamente eccessive. In un passaggio si legge "E' la comunità politica organizzata in partiti democratici con vocazione europea che può certificare e scegliere la classe dirigente [...]". Questo squalifica di base un sacco di posizioni più sfumate, non necessariamente populiste, ed è parecchio sospetto di contiguità con una specifica parte politica (quando nella prefazione Marta Cartabia ha scritto che l'autore assume l'idea che i cattolici debbano evitare ogni contiguità e che si sostiene il pluralismo delle posizioni politiche).
Trovo puttosto debole anche la parte che parla di democrazia diretta e rappresentativa: l'autore sostiene che può funzionare solo un equilibrato mix delle due, ma come esempio cita la nostra Costituzione, che è molto sbilanciata da una parte. Molte delle critiche portate contro la democrazia diretta sono applicabili anche alla democrazia rappresentativa.
Anche la parte su destra e sinistra mi è parsa rivedibile. Interessante l'excursus storico, ma secondo me padre Occhetta sottovaluta l'attualità che le categorie di destra e sinistra hanno ancora oggi (almeno per come le intendo io: la sinistra crede che sia giusto promuovere/imporre comportamenti virtuosi per legge, la destra crede che sulla virtù sociale prevalga la libertà individuale). Certo, l'unica cosa che davvero non è né di destra né di sinistra è la dottrina sociale della Chiesa: forse per questo Occhetta si tiene così alto.

In altri passi - quando parla della Lega o del governo M5S-Lega - il libro è inevitabilmente invecchiato con gli avvenimenti degli ultimi due mesi. Mentre su Salvini si dice solo male, sul M5S si dice che è un errore non parlarci: un libro profetico?

In ogni caso, il libro mi sembra profondamente conservatore. Per ora propone le misure che (come cattolici) abbiamo sempre proposto: la Costituzione, i corpi intermedi... Ma nel mentre il panorama sociale, volenti o /per lo più) nolenti, cambia ed è già cambiato profondamente. Non sono in crisi solo i partiti, ma tutti i corpi intermedi. C'è un individualismo dilagante. Lo stesso Dossetti, di cui si cita un intervento dei tempi della scrittura della Costituzione, parla dei corpi intermedi e del personalismo premettendo che questa è "la sola impostazione conforme alle esigenze storiche".
Ha senso continuare a proporre le soluzioni "classiche"? O sarà il caso di tentare qualcosa di nuovo? Ricordo che la Chiesa ci ha messo secoli a fornire il suo appoggio alla democrazia. Prima si riteneva "naturale" la monarchia, specchio della societas perfecta. Solo con Leone XIII e la Libertas si concede che la Chiesa non sposa alcuna forma di governo in particolare, vanno bene tutte quelle che curano il bene comune. La democrazia viene assunta come la migliore solo da Pio XII nel 1944.
Non sarà che anche stavolta ci stiamo perdendo qualcosa, la comprensione degli avvenimenti epocali, rimanendo ancorati alla visione democratica "classica"? In fondo la democrazia non è uno dei pilastri della dottrina sociale: lo sono solidarietà, sussidiarietà, personalismo e bene comune. Anche l'elaborazione più moderna (Centesimus annus) dice che la democrazia è bene, ma solo se è inclusa in un sistema di valori.


Vedremo cosa proporrà la seconda parte del libro.
Non ho (ovviamente) ben chiaro neanche io cosa si potrebbe provare di diverso. L'"opzione Benedetto" anche in politica? Cioè un nuovo "non expedit", vista la lontananza della politica dai principi cristiani? Al contrario, approfittando della scarsità di interesseverso la pratica politica, una "colonizzazione" della politica in stile crociata? Un'apertura al voto ponderato? Una rivoluzione dei modelli economici, stile teologia della liberazione (che mi tocca scrivere!)?

Per ora mi è balenata alla mente la figura di Occhetta come Maggiorano. Tanti ideali limpidi, cristallini, perfetti, apprezzabili, ma abbondantemente fuori tempo massimo, a buoi già scappati.

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