venerdì 2 agosto 2019

Democrazia avvelenata (1)

Sto leggendo questo libro.
Per ora ne ho letta solo una piccola parte, iniziando con l'intervento di Antiseri. Si tratta di una specie di bigino di Popper. Interessante, per avere tutto in breve e a portata di mano. In particolare non credo di aver mai realizzato che i filosofi presocratici non solo proponevano le loro visioni sull'arché, ma si confutavano tra di loro. Un esempio (il primo?) di pensiero critico, di dibattito scientifico. Per Antiseri, i presocratici desacralizzano il divino (le spiegazioni magiche e fideistiche dei fenomeni) e la natura, aprendo la strada al pensiero critico, alla discussione, alla speculazione, basi per la democrazia e il metodo scientifico.
Appare vagamente contraddittorio quanto scrive l'autore sul cristianesimo. Da una parte, gli dei che sono arrivati a noi non sono quelli greci - cioè di coloro che hanno aperto la strada - ma il Dio cristiano, perché è il Dio che desacralizza l'Autorità e lo Stato (il re non è Dio, la laicità eccetera) e la natura (no a fenomeni panteistici, animisti, magici). Ecco che secondo l'autore, corroborato da varie altre citazioni, il cristianesimo è la rivoluzione liberale, che apre la strada sia all'individualismo personalistico che alla scienza. Mi pare che si dimentichi che il cristianesimo rifiuta di adorare Cesare (desacralizzazione dell'Autorità) ma per secoli tenta di sostituirsi a Cesare, come fonte di assolutezza (o di assolutismo). Un'interpretazione come quella di Antiseri presuppone la libertà religiosa, un passo che come cristiani abbiamo fatto solo da 50 anni.
C'è poi la denuncia dei rischi correlati alla perdita delle radici cristiane dell'Europa. Una conseguenza, secondo me, di quanto si diceva sopra: la desacralizzazione dell'Autorità è se è desacralizzazione di ogni autorità, compresa quella cristiana.

Mi ha fatto riflettere una frase: "Rimane l'idolatria del potere sugli altri, considerati e trattati come oggetti delle proprie voglie".
Mi ha fatto pensare alla pornografia. Finora ho sempre trovato difficilmente contestabile la pornografia: si tratta di un'attività di adulti fruita da adulti.
Però è difficile negare che chi guarda uno spettacolo pornografico (in gran parte maschi) non abbia pensieri tipo "Mi piacerebbe avere qui una donna che mi faccia questo e quello", o "a cui fare quest'altro". L'altro come oggetto per il proprio godimento. A piena disposizione. Sotto il mio comando. Una mentalità di sfruttamento. Mi pare che ci sia una certa parentela con i casi di femminicidio: l'altra a mia disposizione, non libera di uscire dalla mia disponibilità.
Non sto creando connessioni causali. Entrambi i fenomeni possono essere conseguenze di una radice comune, l'egoismo individualista. Oppure potrebbero essere scorrelati.
Forse sto rampognando come quando una volta si diceva che i fumetti, o i cartoni giapponesi rincretinivano i bambini, o portavano alla violenza. Però il meccanismo mi sembra diverso. Anche io ho giocato a Wolf3D e a un mucchio di giochi in cui è necessario ammazzare i nemici. Però non per questo ho sviluppato l'impulso a uccidere. L'impulso a uccidere il prossimo non è naturale, o perlomeno è ben vincolato da un tabù tra i più profondi della nostra specie.
La pornografia invece fa leva sull'impulso sessuale, che è uno dei più naturali del mondo. Mi paiono due piani di "influenzabilità" ben diversi.

Nessun commento:

Posta un commento