martedì 31 gennaio 2023

Garantismo, antimafia, caso Cospito

In questi giorni infuria il dibattito sulla vicenda Cospito, l'anarchico condannato al 41-bis.

Di quello parlerò più sotto.

Mi piace iniziare invece segnalando questo podcast di Oscar Giannino con Alessandro Barbano, sulle storture dell'antimafia.

Lo introduco con una vignetta di Zerocalcare (la versione intera del fumetto si trova qui). E' sulla vicenda Cospito, ma mi interessa di più il discorso sull'antimafia.



"Mafiosi".

"Mafia".

Una parola-passepartout, che tronca ogni discussione. Come si fa a non essere contro la mafia?

Con questo criterio si giustificano cose discutibili, quando non ingiustificabili.

Rocco Riccardo Greco, vittima del pizzo, denuncia le estorsioni. Un mafioso, per ritorsione, fa il suo nome. La sua ditta viene interdetta per mafia. Nonostante tutte le assoluzioni, l'interdizione rovina la ditta. L'imprenditore vorrebbe ritirarsi e lasciare la ditta ai figli, ma l'interdizione passerebbe a loro.
Quindi il problema è lui.
Rocco Riccardo Greco si suicida.
Una vittima della mafia, e dell'antimafia.

Per combattere la mafia si accettano presunzioni di colpevolezza, reati vaghi come il concorso esterno, intercettazioni a strascico, istituti come il 41-bis.
Attenzione: non sto dicendo che non servano.
Il mondo reale purtroppo non è l'uperuranio dei princìpi.

Però bisogna avere ben chiaro che si tratta di eccezioni, che vanno usate il meno possibile e in modo ben circostanziato.

Parlando del 41-bis: ha senso che esista un istituto del genere?
Per me sì: è dimostrato che alcuni boss hanno fatto danni e dato ordini anche dal carcere.
Un regime restrittivo è quindi utile, forse necessario.
Però bisogna andare a vedere i contenuti: io capisco le limitazioni sulla comunicazione, e pure l'isolamento; ma che senso ha impedire di leggere un libro o studiare? Quella è alienazione, tortura psicologica con l'obiettivo di far cedere il condannato e convincerlo a parlare.

Sul caso Cospito: ha senso il 41-bis applicato a lui?
Secondo me no. Gli anarchici non hanno una struttura organizzata e verticistica come la mafia: per me già questo deve far sorgere più di un dubbio.
Inoltre non mi pare che ci siano prove del fatto che sia il capo di alcunché o che abbia organizzato atti da dentro il carcere. So che ha pubblicato scritti deliranti inneggianti all'azione violenta, ma incitare genericamente alla lotta, anche armata, non è la stessa cosa di dare istruzioni operative, come purtroppo riescono (riuscivano?) a fare alcuni boss mafiosi dal carcere.
Per far sparire l'incitamento bastava qualche misura specifica per limitare la pubblicazione di quegli articoli.

E, in ogni caso, dovrebbe valere il principio per cui in dubio pro reo. Preferisco essere garantista, preferisco un colpevole impunito che un innocente condannato.

Già che ci siamo, qualche appunto anche sull'ergastolo ostativo.
A me non è chiaro perché l'ergastolo ostativo sarebbe un problema per la rieducazione del detenuto.
Se il carcere tende costituzionalmente alla rieducazione, la rieducazione si fa in carcere per definizione. Non può essere che il fatto di stare in carcere invece che fuori la impedisca, varrebbe per tutti.
Un carcerato a cui sia data la possibilità di studiare, seguire corsi, vedere film, avere una biblioteca, magari scrivere - perché no? - un libro, partecipare a concorsi di poesia... (tutte cose che in alcune carceri si fanno, non abbastanza spesso ma si fanno) ha molte occasioni di rieducarsi pur stando in carcere.
L'ergastolo ostativo impedisce il reinserimento in società, questo è vero, ma di per sè la Costituzione parla di rieducazione, non di reinserimento.
L'obiezione può essere che allora spendiamo soldi in corsi eccetera in modo inutile, perché il rieducato non rientra in società. Può essere, ma questo è un altro ordine di discorsi (il raporto costi/benefici) rispetto ai diritti costituzionali.

Questo non è in contrasto con quanto dicevo sopra sul garantismo: il garantismo e la certezza della pena sono due facce della stessa medaglia, sono indissolubilmente associate.
La pena non deve essere inutilmente afflittiva.

venerdì 20 gennaio 2023

Marcello Pera su Benedetto XVI

Segnalo, sempre a tema Benedetto XVI, l'intervista a Marcello Pera per l'Osservatorio Van Thuan, una specie di think tank cristiano-conservatore.

Io di Pera non ho ancora capito se alla fine sia cristiano o no. Una volta non lo era, nel 2002 si produsse in questo bel "decalogo laico" in memoria di Spadolini, in cui si legge:

Quarto. Spirito laico. E qui bisogna ancor oggi capirci, tanta è la confusione esistente anche fra i laici. Essere laico non significa professare valori diversi da chi è credente, bensì - come diceva Calogero in una garbata polemica con don Sturzo - professare una morale autonoma e non eteronoma, foss''anche quella eteronoma a base teologica, secondo il grande insegnamento di Kant. Insomma, essere laici vuol dire condividere, il più delle volte, con i credenti lo stesso insieme di valori, ma dare ad essi giustificazione, fondazione, o argomentazione, non basate su precetti divini o trascendenti, ma umani e mondani. Ed è qui che, appunto cade il grande insegnamento di Kant, come egli lo espresso soprattutto ne La religione entro i limiti della sola ragione: se anche un Dio mi rivelasse i suoi comandamenti morali, starebbe a me decidere che quelli sono comandamenti morali, e quindi starebbe alla mia responsabilità individuale (donde l''autonomia) applicare alla mia vita tali comandamenti. Tutto il contrario di chi oggi crede che essere laico significa aderire a morali diverse da quelle comuni.

Questo suo essere kantianotorna anche nell'intervista su Benedetto XVI, in cui sembra veramente un cristiano tradizionalista preoccupato che non si parli più di Gesù e dell'insostituibile ruolo del cristianesimo per l'Occidente.

E però si vede che è una testa fina.
L'accento sui doveri è qualcosa con cui la nostra società prima o poi dovrà fare i conti. Se non saranno più i doveri conculcati dalla morale religiosa, dovranno comunque esserci dei doveri da qualche parte. A loro modo forse i giovani delle manifestazioni altruiste possono essere il segno della percezione di un dovere verso le generazioni future.
Trovo particolarmente azzeccato questo passaggio:

Siamo diventati creatori di diritti fondamentali: una bella contraddizione per chi crede in questi diritti, perché se sono fondamentali allora non possono essere creati dalle nostre leggi. Perciò i nostri laici razionalisti devono sciogliere un dilemma e prendere una posizione: o i diritti fondamentali dipendono dalle leggi positive e allora sono convenzionali e interessati, come favori elettorali, e dunque non sono diritti, oppure se sono fondamentali c’è una legge superiore alle leggi positive.

Se tutto è relativo, da dove vengono i diritti?


lunedì 9 gennaio 2023

In anticipo sui tempi

Buon ultimo, aggiungo la mia su papa Benedetto XVI.

Il mio docente di storia della dottrina sociale della Chiesa diceva che se Paolo VI lo capiremo del tutto fra un po', Benedetto lo capiremo fra 100 anni.

A me pare che su alcune cose il suo pontificato abbia anticipato di una decina d'anni problematiche che poi sono riemerse.
Il concetto di verità è tornato di moda con il tema delle fake news. Allora ci si è accorti che l'ancoraggio alla verità è necessario, e sono tornate discussioni sul fatto se sia opportuno limitare la libertà di espressione per difendere la verità.
La critica al relativismo assoluto e all'utilitarismo come unica via è poi emersa in alcune problematiche riguardanti per esempio la guerra in Ucraina: non fa nulla se le sanzioni ci danneggiano, c'è una "giustizia" da perseguire anche se non è utile.
La richiesta di etica pubblica si è imposta con forza in politica e anche nei rapporti interpersonali, anche sessuali: pensiamo al movimento Me too, di cui più di un commentatore ha sottolineato un certo moralismo di ritorno.
La stessa ecologia è connotata da un richiamo "morale" che richiede il superamento dell'individualismo e del "faccio quello che voglio" in nome di un bene futuro. "Tutto è connesso" è uno slogan di Bergoglio, ma era già in Caritas in veritate: Benedetto parlava di "ecologia umana", Francesco di "ecologia integrale".