giovedì 29 ottobre 2015

La metamorfosi della domanda

Mi è capitato di leggere questo pezzo sul Movimento 5 stelle. Il pezzo è interessante, anche se tanto critico da essere ingeneroso, secondo me. Ma non è tanto su questo pezzo che voglio concentrarmi.

Mi è venuto da pensare che l'ultimo lustro ha portato una notevole evoluzione nella "domanda" di politici. Immagino che la crisi abbia avuto un bel peso in ciò: quando le cose vanno male si chiedono soluzioni anzitutto alla politica.

Rispetto a cinque anni fa abbiamo avuto il tramonto di un'intera generazione di politici: Berlusconi, D'Alema con Bersani, Bossi, Casini. Tutti protagonisti degli Anni Novanta e degli anni Zero, tutti eclissati nel giro di pochissimo tempo. La storia ormai giudicherà il loro agire, temo non bene.
Negli ultimi anni però la sostituzione di questi vecchi politici ha preso strade molto divergenti tra di loro.

Prima c'è stata la stagione dei "tecnici": ci vuole gente competente, basta con le Minetti e i paracadutati sulle poltrone! I politici devono essere preparati!
L'ubriacatura per Mario Monti è durata fino a metà 2012. Poi ci siamo accorti che non basta conoscere bene le cose in teoria, ma ci vuole anche un collegamento con la realtà, con il sentire popolare. Monti ha pagato questo riflusso alle elezioni del 2013, e ancora oggi parlare di tecnici desta sospetto. Anche il buon Padoan si mostra spesso molto disponibile alle richieste politiche del suo presidente del Consiglio.

Ci siamo accorti che non bastano i tecnici, i dottoroni, ci vogliono quelli che capiscono la gente! Ed ecco il boom del Movimento 5 stelle. Gente "come noi", magari laureati ma non è necessario: l'essenziale è che siano onesti. Ecco Pizzarotti a Parma, Nogarin a Livorno, ma soprattutto il M5S primo partito sul territorio nazionale.
Poi però i problemi non mancano. Ci si accorge che i duri e puri funzionano bene in teoria, ma la politica ha altre necessità, come evidenziava il pezzo de Linkiesta. Magari non proprio di competenza tecnica, ma sicuramente di abilità politica, persino di esperienza.
I grillini sono fortunati perché (per ora) possono limitarsi a fare opposizione, e non sono stati messi alla prova, a differenza dei tecnici. Laddove è successo le cose sono andate o stanno andando un po' diversamente dalla teoria dei duri e puri. A suo modo succede lo stesso a Roma: Marino è stato eletto con criteri "grillini" (perché non era un politico, ma una persona comune e onesta) e ci si è accorti - comunque la si pensi - che lì serve un politico.

Quindi non basta essere competenti, non basta essere uomini della strada, non basta essere onesti. Alla fine del giro il politico più di successo ora come ora è Renzi: uno che prima di tutto è un politico abilissimo. Lui ha giocato la carta della novità, ma non potrà giocarla in eterno. Fra cinque anni vedremo cosa succederà. Per ora mi sta abbastanza deludendo dal punto di vista economico (sono un adepto di Seminerio: sta facendo continuamente il gioco delle tre carte scommettendo su una ripresa internazionale).

Comunque, ricapitolando, mi pare che oggi ci siano moltissime richieste, diverse e a volte contraddittorie, rivolte ai politici. Devono essere competenti, estremamente onesti, alla mano, sobri ma incorruttibili, nuovi ma già capaci di muoversi in politica,  abili ma non professionisti: caratteristiche difficilissime da ritrovare in una persona sola.
Da una parte mi fa piacere che si alzi l'asticella delle aspettative: è giusto dare il giusto peso alla politica, e rendersi conto che questa è un mestiere difficile. D'altra parte, però, se l'asticella si alza troppo allora è inevitabile che le aspettative vadano deluse, e questo genera sfiducia, la sfiducia globale di cui parlava l'articolo iniziale.

Quindi stiamo attenti: cerchiamo di chiedere tanto ma non troppo, ai nostri politici, e cerchiamo di essere realisti anche nel giudicarli. Non dico troppo indulgenti, ma almeno realisti. Altrimenti contribuiremo ad avvelenare ancora di più il clima.

mercoledì 21 ottobre 2015

Racconti da mondi ideali

In questo ultimo periodo sono stato prima a Expo, poi a Roma, per visitare il Senato e il Vaticano con la SFISP (a proposito, sono aperte le iscrizioni per il nuovo anno).
Secondo me le tre esperienze hanno un tratto in comune: mostrano il bello che c'è intorno a noi, anche in situazioni dove meno te lo aspetteresti. Il mondo come vorresti che fosse, in un certo senso.

Sono stato a Expo giovedì 8 ottobre, assieme ad altre 150mila persone. Secondo me eravamo ai limiti della capienza ragionevole, in modo che l'esposizione sia ancora (parzialmente) fruibile.
A me e mia moglie è piaciuto: è vero che c'è tanta architttura e tanti effetti speciali, ma non è vero che non si parla di cibo (specie nei cluster). Noi abbiamo imparato qualcosa. Inoltre è stato bello fare un "giro del mondo virtuale": ogni nazione, anche e soprattutto tra le più piccole, ha voluto evidenziare le sue bellezze, i suoi punti di forza. C'era persino un depliant dell'ufficio turistico palestinese (!!) che magnificava la bella spiaggia di Gaza (!!!!).
Il mondo ha messo in mostra tutte le sue potenzialità, tecniche e paesaggistiche: ha mostrato quanto potrebbe essere un posto meraviglioso se non ci fossero le guerre, la fame, le tragedie che tutti conosciamo. Allora anche sulla spiaggia di Gaza si potrebbe fare il bagno.

Siamo stati in Senato giovedì scorso, in compagnia del senatore Paolo Corsini. La presenza di Ban Ki-Moon alla Camera ci ha impedito di assistere ad una seduta, ma abbiamo visitato la struttura accompagnati dagli inservienti di Palazzo Madama.
Il personale del Senato si è mostrato molto dispiaciuto della diminutio che aspetta la Camera Alta in futuro, e addirittura i camerieri del ristorante interno si sono lamentati della trasformazione in tavola calda a buffet, dettata - immagino - da volontà di risparmio.
Il senatore Corsini si è poi intrattenuto con noi discorrendo di alcune questioni di attualità e di politica. E' stato veramente interessante. Fa piacere sapere che ci sono persone che ragionano con profondità, soppesando i problemi anche da un punto di vista di "filosofia politica" e avendo la competenza per farlo, ma al tempo stesso sanno sporcarsi le mani e giocare con le regole della politica, senza chiudersi in torri d'avorio.
Anche qui, sono le istituzioni come vorremmo che fossero: con una loro solennità, e amate da chi le fa funzionare.

Infine abbiamo visitato il Vaticano, accompagnati dal cardinale Giovanni Battista Re e poi da monsgnor Vincenzo Peroni, cerimoniere pontificio. Al di là delle bellezze di San Pietro e del Palazzo Apostolico, ovvie ma non per questo meno splendide, è stato rassicurante toccare con mano un ambiente in cui gli uomini non pensano secondo il mondo, ma si preoccupano del "tramite" tra lo Spirito e il mondo. A suo modo, nelle intenzioni, il Vaticano ha un ruolo non dissimile da quello di certi monasteri di clausura.
Certo alcune cose fanno ancora un po' troppo "corte", vecchi retaggi del Papa Re, ma sappiamo che il tempo è galantuomo.

giovedì 8 ottobre 2015

Dopo l'assemblea parrocchiale

Domenica sono stato all'assemblea parrocchiale. E' un vero peccato che ci fosse poca gente, perché è stato un momento veramente interessante. E' un'occasione per chi - come me e mia moglie - non appartiene (o quasi) a gruppi parrocchiali di restare aggiornato.

I temi principali sono stati due: i profughi e le missioni.

Riguardo ai profughi, la parrocchia si sta iniziando ad attivare per trovare delle soluzioni. Le possibilità secondo me sono tre:

  • un'accoglienza in una struttura parrocchiale;

  • un'accoglienza in un appartamento privato, magari sfitto;

  • un'ospitalità da parte di qualche famiglia.


Secondo me si possono adottare tutti e tre gli approcci, però bisogna organizzarsi bene, perché l'accoglienza non è solo vitto e alloggio, ma anche assistenza legale, sanitaria, di mediazione culturale, e per questo ci vuole qualcuno di preparato.

In questo senso lo stesso Don Renato ha fatto notare che la prima soluzione sarebbe la più praticabile. Certo che l'accoglienza in casa sarebbe più "accogliente", ma sarebbe necessario affiancare le famiglie, anche solo nel trovar qualcosa da fare per occupare il tempo dei migranti, che non possono stare chiusi in casa a far nulla per tutto il giorno.
Comunque anche il samaritano soccorse il viandante, e poi lo affidò a una struttura (la locanda) predisposta per un'accoglienza di professione, mettendo a disposizione le risorse: non credo ci sia da vergognarsi.

Per quanto riguarda le missioni popolari, secondo me non abbiamo ancora ben chiaro cosa si dovrebbe andare a fare durante le visite alle famiglie: da una parte don Renato dice che non dobbiamo convertire nessuno, d'altra parte don Renato dice che dobbiamo portare il Vangelo nelle case.
Quindi andiamo a parlare della religione, magari chiedendo alle famiglie un parere? Cosa ne pensano, come la pensano loro? Magari a qualcuno chiederemo perché si sono allontanati dalla Chiesa? Potrebbe essere interessante...

Secondo me corriamo l'altissimo rischio che i momenti siano purissima retorica, che muore lì in un'imbarazzata cortesia. Io ricordo le missioni del 2000: già al tempo, pur avendo i padri oblati che le predicavano, il coinvolgimento dei parrocchiani fu ampio, anche allora per l'elementare osservazione che i padri non potevano visitare tutte le famiglie. Se non ricordo male, quindi, organizzammo dei momenti in casa di molte persone (tra cui casa mia) in cui i padri incontravano tutto insieme il vicinato, e fu mia madre ad andare a bussare alla porta delle persone per invitarli. Quindi il coinvolgimento dei fedeli "missionari" ci fu già allora, anche se non predicavano loro.
Io ricordo che la cosa fu un sostanziale fiasco: molte persone vennero solo perché in obbligo per via della conoscenza con mia madre, mentre non venne nessuno di quelli che non conoscevamo di famiglia.

Io resto dell'idea che raggiungere tutte le famiglie a prescindere sia sbagliato, per i motivi già esposti. Secondo me è giusto rispettare le scelte di tutti, incontrando solo coloro che lo desiderano. Potremmo fare la proposta a tutti via telefono, o via lettera, e poi incontrare solo chi risponde positivamente, o non negativamente. Almeno non suoniamo ai campanelli, che fa veramente testimoni di Geova importuni.

E comunque resto dell'idea che andare nelle case a parlare fa troppo "maestri", e non abbiamo bisogno di maestri, ma di testimoni. Si potrà obiettare che chi va a parlare nelle case già fa testimonianza. In parte è vero, ma la vera testimonianza - ci siamo sempre detti - è la propria vita, mentre fare il missionario parrocchiale è una parentesi estemporanea, "una tantum".

Nel senso della vita, sarebbero molto più testimoni i cristiani che aprissero la loro casa ai rifugiati. Se penso ai miei vicini, sarebbero molto più colpiti se io alloggiassi un rifugiato (magari qualcuno anche scocciato: "questo ci tira qui i giargianesi!") piuttosto che se li invitassi a una preghiera o andassi da loro a parlare a nome della parrocchia. Sicuramente sarebbero molto più provocati dalla scelta.

La vera missione si fa con le opere di misericordia. Secondo me abbiamo parlato di missione più quando abbiamo parlato di rifugiati che dopo.

domenica 4 ottobre 2015

Sulle missioni popolari (3)

(Terza e ultima parte, prosegue da qui e qui)

Questa consapevolezza ci dovrebbe quindi rendere gioiosi, positivi, in modo visibile. Gli Atti degli Apostoli descrivono così i primi cristiani, a cui ritorniamo: " Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo" (At 2,46-47). Se noi cristiani fossimo così, le missioni sarebbero già fatte, ogni giorno.

E a volte questo succede: don Mauro ci ha raccontato che l'ICFR in alcuni casi (pochi, certo, ma buoni) ha fatto conoscere la bellezza dell'esperienza cristiana a genitori che da tempo non pensavano più alla Chiesa come a una casa, tanto che ci sono state persone che hanno ricominciato a frequentare l'ambiente, ad avvicinarsi alla parrocchia, magari anche da situazioni irregolari. Una coppia "avvicinata" con l'ICFR si è sposata quest'anno. Queste sono le vere missioni.

Però non sempre ciò che traspare non è la gioia. Mia moglie una volta intavolò un discorso simile con una persona, che le disse: "Io vedo i cristiani come persone cattive". Non so perché: forse avrà a che fare con l'idea di persone che portano con sé dei divieti, o con l'aria di chiusura dell'ambiente di cui ho spesso sentito parlare. Di certo quella parola, "cattivi", fa male.

Quindi secondo me le missioni non andrebbero fatte "ad extra", ma "ad intra", per rendere più cristiana la comunità che già si dice tale. Per evangelizzare noi stessi, insomma. Prendiamo l'impegno di essere più gioiosi, a costo di fare cose che sembrano infantili come la "buona azione quotidiana" delle Giovani Marmotte: proponiamo una "azione di gioia quotidiana", cercando di farla diventare un'abitudine.
Le missioni potrebbero poi essere rivolte ai giovani e ai giovanissimi, che magari non hanno ancora delibarato la loro libera scelta di abbandonare la vita di Chiesa: cerchiamo di rimotivarli.
Infine, vedrei bene le missioni rivolte agli ultimi, nel solco di quanto dice papa Francesco e di quanto ci ha mostrato concretamente Giovanni Borghetti, che anche l'ultima Voce Amica ricorda. Prendiamo l'impegno di andare a fare qualche visita al ricovero. Invitiamo all'ultimo dell'anno, o - perché no - a qualche altra festa le famiglie di chi ha problemi mentali. Facciamo due parole con lo zingaro che ci chiede l'elemosina alla stazione o fuori dalla chiesa. Non proponiamo solo pellegrinaggi a Roma, ma anche visite molto più vicino, a Canton Mombello o a Verziano, magari per animare la Messa. Portiamo l'Eucarestia nella casa degli ammalati.
Sono impegni che mi voglio prendere personalmente, e che potremmo proporre a tutta la comunità. Credo che una parrocchia grande come la nostra abbia le forze e le risorse per attivare tutti i contatti disponibili, magari anche in CPP. L'importante secondo me è che l'attenzione agli ultimi non sia delegata alla Caritas, pur importantissima e fondamentale, ma che questa diventi strumento di coinvolgimento diretto di chi davvero vuole essere missionario.

Chiediamo al Signore di donarci tramite l'Eucarestia la forza di essere missionari gioiosi verso i piccoli e gli ultimi, noi che siamo consapevoli delle possibilità che ci apre il Sacramento e l'unione con Cristo.
In questo modo potremo essere veri testimoni. Il beato Paolo VI ci ricorda che "L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (Evangelii Nuntiandi, 41), ma non parlava dei testimoni di Geova che suonano i campanelli...

sabato 3 ottobre 2015

Sulle missioni popolari (2)

(Seconda parte, prosegue da qui)

Mi spingo ancora oltre, e faccio un ragionamento un po' ardito. Tra i primi secoli e oggi ci sono in mezzo duemila anni, di cui millesettecento con il cristianesimo come religione dominante.
Secondo me il fatto che la nostra religione ha "vinto" così tanto tempo fa ha una conseguenza che a volte sottovalutiamo: la nostra società è impregnata di valori cristiani. Non penso solo a discorsi teorici come nel Non possiamo non dirci cristiani di Benedetto Croce, ma anche a tanti elementi di vita quotidiana. L'attenzione ai poveri e ai bisognosi è entrata nel patrimonio di un'intera parte politica, la sinistra (papa Francesco dice "è il comunismo ad aver rubato la bandiera dei poveri al cristianesimo, non io che sono comunista!") ma non solo (Bush proponeva un "capitalismo compassionevole", per esempio). Il perdono è considerato una cosa auspicabile. Tantissime persone fanno volontariato ("fai agli altri ciò che vorresti gli altri facessero per te"), che non ha senso in un approccio solamente utilitarista e pragmatico.

Secondo me, se ci pensiamo, tutti noi conosciamo un sacco di "cristiani in incognito": persone che stimiamo e apprezzimo anche se non si dichiarano credenti e non vanno a Messa la domenica, e che nonostante ciò si comportano in gran parte come cristiani. Ricordo una testimonianza di padre Sorge su Sandro Pertini e il suo rapporto con papa Giovanni Paolo II e con la religione, in cui il gesuita raccontava che nel corso di un pranzo al Quirinale Pertini gli confidò: "Padre io sono ateo, ma se Dio c’è io non sono lontano da lui".
I problemi rispetto alla religione "canonica" o "praticata" sorgono di solito per quanto riguarda il sesso (su cui anche tanti cristiani praticanti hanno poco da insegnare, per la verità) e per la frequenza alla Messa. Per quest'ultima, però, siamo ancora nell'ambito delle scelte personali: vogliamo fare missione invitando questi cristiani latenti a venire in Chiesa la domenica? (Forse sì, eh: non ho una risposta scontata a questa domanda).
Ricordiamoci comunque sempre che "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21).

Con questo voglio dire che essere cristiani praticanti è inutile, o addirittura una fregatura? Non dico questo. Certamente non è un prerequisito esclusivo per la salvezza: probabilmente è la via maestra, ma non vorremo certo sottrarre alla misericordia di Dio la facoltà di salvare tanti esseri umani indipendentemente dalla loro professione di fede formale.
Il nostro professarci cristiani - in cui anch'io, faticosamente e da peccatore, cerco di riconoscermi - è un di più: come diceva don Pierino in una occasione, noi abbiamo la consapevolezza della salvezza che ci è stata donata. Ricordo la chiosa di don Nicola alla parabola dei dieci lebbrosi (Lc 17,11-19): noi dovremmo essere come il decimo lebbroso, il samaritano, l'unico che si rende conto della fortuna che ha, e per questo rende grazie.

(continua e finisce qui)

venerdì 2 ottobre 2015

Sulle missioni popolari (1)

Ho appreso la notizia del progetto di missioni popolari.
Lo spirito di queste, a cui faceva riferimento anche don Renato nella sua omelia domenicale, è quello della missionarietà, con riferimento alle prime comunità cristiane. Di queste si dice che la loro gioia di essere cristiani trasparisse nella vita, tanto da aver evangelizzato il loro mondo, in cui erano minoranza. Proprio questo essere minoranza è sempre più tratto comune con i cristiani di oggi.

Secondo me però le analogie tra la situazione moderna e l'evangelizzazione antica si fermano decisamente qui.
Ai tempi delle prime comunità cristiane, infatti, l' impero non aveva mai ricevuto il messaggio di Cristo. I cristiani erano portatori di una proposta rivoluzionaria, nuova. Furono osservati, ascoltati, creduti perché credibili e la loro proposta fu accolta da tante persone.

Al giorno d'oggi, l'essere minoranza dei cristiani praticanti in Italia e a Ospitaletto è ben diverso: la maggioranza infatti ha sempre ricevuto, fin da piccola, il messaggio cristiano. Tanta parte l'ha anche accolto, più o meno profondamente, nell'infanzia, per poi allontanarsene in età più matura e adulta. Il loro non essere cristiani praticanti, quindi, non è frutto di una non conoscenza di Gesù, ma di una libera scelta effettuata avendo davanti tutte le proposte.

Mi chiedo allora se abbia senso andare a suonare il campanello a gente adulta che ha già effettuato una libera scelta per la propria vita. Queste persone, tra l'altro, sono comunque circondate da messaggi cristiani: la nostra Chiesa è sempre lì, al centro del paese, ci sono festività, processioni, volantini, senza contare di tutta l'ampia fetta di popolazione che affronta il cammino ICFR. Poi non è detto che questi messaggi vengano accolti, ma questa continua ad essere una libera scelta delle persone: non si può certo dire che la comunità cristiana non abbia grande visibilità, o che la presenza della Chiesa a Ospitaletto sia nascosta sotto il moggio. C'è veramente bisogno di un'evangelizzazione porta-a-porta? O non dovremmo piuttosto rispettare la scelta di altre persone adulte?

(continua qui)