sabato 3 ottobre 2015

Sulle missioni popolari (2)

(Seconda parte, prosegue da qui)

Mi spingo ancora oltre, e faccio un ragionamento un po' ardito. Tra i primi secoli e oggi ci sono in mezzo duemila anni, di cui millesettecento con il cristianesimo come religione dominante.
Secondo me il fatto che la nostra religione ha "vinto" così tanto tempo fa ha una conseguenza che a volte sottovalutiamo: la nostra società è impregnata di valori cristiani. Non penso solo a discorsi teorici come nel Non possiamo non dirci cristiani di Benedetto Croce, ma anche a tanti elementi di vita quotidiana. L'attenzione ai poveri e ai bisognosi è entrata nel patrimonio di un'intera parte politica, la sinistra (papa Francesco dice "è il comunismo ad aver rubato la bandiera dei poveri al cristianesimo, non io che sono comunista!") ma non solo (Bush proponeva un "capitalismo compassionevole", per esempio). Il perdono è considerato una cosa auspicabile. Tantissime persone fanno volontariato ("fai agli altri ciò che vorresti gli altri facessero per te"), che non ha senso in un approccio solamente utilitarista e pragmatico.

Secondo me, se ci pensiamo, tutti noi conosciamo un sacco di "cristiani in incognito": persone che stimiamo e apprezzimo anche se non si dichiarano credenti e non vanno a Messa la domenica, e che nonostante ciò si comportano in gran parte come cristiani. Ricordo una testimonianza di padre Sorge su Sandro Pertini e il suo rapporto con papa Giovanni Paolo II e con la religione, in cui il gesuita raccontava che nel corso di un pranzo al Quirinale Pertini gli confidò: "Padre io sono ateo, ma se Dio c’è io non sono lontano da lui".
I problemi rispetto alla religione "canonica" o "praticata" sorgono di solito per quanto riguarda il sesso (su cui anche tanti cristiani praticanti hanno poco da insegnare, per la verità) e per la frequenza alla Messa. Per quest'ultima, però, siamo ancora nell'ambito delle scelte personali: vogliamo fare missione invitando questi cristiani latenti a venire in Chiesa la domenica? (Forse sì, eh: non ho una risposta scontata a questa domanda).
Ricordiamoci comunque sempre che "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21).

Con questo voglio dire che essere cristiani praticanti è inutile, o addirittura una fregatura? Non dico questo. Certamente non è un prerequisito esclusivo per la salvezza: probabilmente è la via maestra, ma non vorremo certo sottrarre alla misericordia di Dio la facoltà di salvare tanti esseri umani indipendentemente dalla loro professione di fede formale.
Il nostro professarci cristiani - in cui anch'io, faticosamente e da peccatore, cerco di riconoscermi - è un di più: come diceva don Pierino in una occasione, noi abbiamo la consapevolezza della salvezza che ci è stata donata. Ricordo la chiosa di don Nicola alla parabola dei dieci lebbrosi (Lc 17,11-19): noi dovremmo essere come il decimo lebbroso, il samaritano, l'unico che si rende conto della fortuna che ha, e per questo rende grazie.

(continua e finisce qui)

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