domenica 24 novembre 2019

Comunicazione politica e fake news

Nei giorni scorsi mi sono imbattuto nel profilo Medium di Fabrizio Martire.
Segnalo in particolare due articoli, che parlano di fake news e comunicazione politica a Brescia.
Ragioniamo sulle notizie false. Martire fa un encomiabile lavoro di decostruzione della notizia. E' un esempio di quello che si chiama fact-checking.
Però sono piuttosto scettico sul fatto che questo abbia un qualche impatto.
Dirò di più: io mi sono "raffreddato" parecchio al riguardo. Anni fa invocavo il fact-checking (d'ora in poi FC) anche in diretta nei talk show. Oggi sono molto più scettico.
Non perché non serva: servirebbe tantissimo, smontare le bugie. Il problema è che è complicato, più di quanto sembri a prima vista, e spesso bisogna poi controllare se il FC è fatto bene. Io personalmente cerco di farlo, ma so che è una cosa che non posso verosimilmente chiedere alla "massa". Inoltre dopo qualche anno di tentativi il FC è un po' screditato, come elemento "risolutivo" nei dibattiti, per molti motivi.

martedì 19 novembre 2019

Millenarismi politici

Domenica sono stato a Messa a Marcheno. La celebrazione era presieduta da don Maurizio Rinaldi, direttore dell'area pastorale per la società, in occasione dell'inaugurazione del centro d'ascolto Caritas.
Nella lunga e articolata omelia, don Maurizio ha fatto riferimento ai millenarismi, collegandoli ad alcuni avvenimenti politici: "Ogni tanto saltano fuori dei movimenti che dicono: Ho io la soluzione".
Questa similitudine mi ha dato da pensare. Credo che don Maurizio abbia ragione quando denuncia la semplificazione insita nei millenarismi: va tutto male, sta per crollare tutto, fate come dico io*. Rubo da qui questa frase:
il proscenio della politica è battuto da molti Cavalieri dell’Apocalisse che si sentono investiti da una funzione salvifica; demiurghi di una palingenesi che con la politica seria fa a pugni.
Ma credo che ci sia anche un ulteriore spunto di riflessione. I millenaristi sono convinti di vivere in tempi "speciali", particolarmente cupi, in cui non funziona niente. Mi tornano alla mente alcune conversazioni con dei testimoni di Geova, al riguardo. In ambito politico, questo si può rispecchiare in due cose: 1) nella convinzione che tutto quanto sia sbagliato, tragico, da rifare; 2) nelle previsioni catastrofistiche sull'andamento dell'ambito di discussione (che sia il paese o il Paese). "Se ci teniamo questo governo / Se sale al governo XXX l'Italia fallirà in sei mesi!".

Quali insegnamenti si possono trarre, allora, da questo parallelismo?
Per quanto riguarda l'interpretazione dei segni dei tempi, ho letto da qualche parte che è naturale per ciascuno sopravvalutare i propri tempi, e avere anche l'ambizione o la speranza che questi siano tempi speciali. E' un meccanismo psicologico. Politicamente, i tempi sono di solito speciali in negativo: "Ai miei tempi...", per non parlare di "Si stava meglio quando si stava peggio". Questo ci insegna a stare attenti alla laudatio temporis acti.
Per quanto riguarda i profeti di sventura, per stare al lessico biblico, bisogna sempre pesare queste previsioni catastrofiche. E' da un bel po' che sento che l'Italia non può sopportare i governi di Berlusconi / dei comunisti / dei grillini eccetera, eppure non siamo ancora qui. E come dimenticare le previsioni di Confindustria sul crollo del PIL con annessa invasione delle cavallette in caso di no al referendum costituzionale di Renzi?
Questo ci consola fino a un certo punto: se vogliamo essere ottimisti, diciamo che tutti i governi cercano di agire senza strafare, con un certo grado di prudenza, e pensando al bene del Paese, perciò se fanno danni sono limitati. Se invece vogliamo pensar male, può essere che le cose non crollino nonostante i governi, perché il sistema ha una sua resilienza (pensare bene) oppure perché la democrazia è così vuota che il sistema è indipendente da elezioni e politica (pensar male). Come diceva Mussolini, governare gli italiani non è difficile, è inutile...
Ciò non ci deve distogliere dal pericolo della brutta china, o della rana bollita**: se ci si abitua pian piano al male, può essere difficile percepire la soglia dell'intollerabile.
L'equilibrio tra millenarismo e apatia può essere complicato.

* So che il Vangelo di domenica era un annuncio degli ultimi tempi "serio", quindi sembra che don Maurizio ce l'avesse con Gesù, ma vi assicuro che non è così :-) Il discorso filava bene, solo non fatemi riportare mezz'ora di predica...
** che, ricordiamolo, non è scientifico, è una metafora.

venerdì 15 novembre 2019

Legge morale e cielo stellato

Nel libro che ho appena finito di leggere, Contro la democrazia, a un certo punto l'autore espone un parallelismo tra il voto e l'ecologia.
La sua intenzione è dimostrare che non ci sono incentivi al voto informato e responsabile: se uno vota "male", le probabilità che il suo voto conti qualcosa - ovvero che lui ne abbia delle conseguenze - sono bassissime. Allo stesso modo, se uno si impegna e spende tempo e impegno per informarsi, il suo sforzo non sarà gratificato da un effetto diretto.
Come esempio, Brennan parla della responsabilità ambientale. Lui dice: "anche se io domani mattina cominciassi a lasciare a casa l'auto, differenziare ogni virgola, tenere il riscaldamento a 18°, comportarmi da perfetto ambientalista, l'inquinamento globale non diminuirebbe per nulla".
Questo è vero. E' il problema di tutte quelle questioni in cui il contributo singolo è infinitesimo, e l'effetto globale è dato dal cumulo di infinitesimi per un numero altissimo di contributi. Un liceale può spiegare che zero per infinito può dare un risultato molto grande. In un certo senso è come quando tagli le tasse: tagliarle di pochissimo, di un'inezia a ciascuno costa molto caro all'erario.
Ma allora significa che per mantenere un atteggiamento ecologico bisogna cercare un'altra motivazione.
A volte possono essere le sanzioni, ma - per i comportamenti di ciascuno - quanto spesso? Qual è la probabilità che prendiamo una multa per non aver differenziato? Chi viene a controllare a quanto è impostato il termostato di casa? Mi pare che non ci sia molto spazio per agire in questo senso, a meno di trasformarci in uno Stato di polizia.
Dunque, l'ecologia dei piccoli gesti si basa solo su un rinnovato impegno morale di ciascuno.
Forse sarebbe meglio dire "etico", ma preferisco "morale": ci vuole la convinzione di fare qualcosa di buono. Questo buono è solo marginalmente per noi: seppure anche noi stessi possiamo godere dei miglioramenti ambientali, i tempi del cambiamento sono tali che si lavora soprattutto per le generazioni future. La morale dell'ecologia ci fa pensare agli altri.
E' interessante questo ritorno di moda dell'etica della responsabilità sociale.
La legge morale in me preserva il cielo stellato sopra di me, per parafrasare quello famoso.

mercoledì 13 novembre 2019

Contro la democrazia

Ho finito di leggere Contro la democrazia, di Jason Brennan.
L'ho scoperto qui. Il libro è abbastanza godibile, un po' pedante in alcune parti con asserzioni molto cautelative e spiegazioni molto legate a proposizioni logiche più che a ragionamenti. Comunque direi che alla fin fine la lettura non ha aggiunto molto all'articolo linkato sopra.
Ho trovato particolarmente interessante la scoperta, ripresa nell'introduzione di Sabino Cassese, che l'articolo 48 della Costituzione prevede già delle restrizioni al suffragio universale, e fra queste l'indegnità morale. Considerando che per i costituenti il voto è un diritto ma anche un "dovere civico" (sempre art. 48), direi che nel 1948 il concetto di voto era più equilibrato tra diritto e responsabilità. Oggi ci pare ovvio che sia un diritto, infatti abbiamo tolto praticamente tutti i limiti al diritto di voto, ma una volta c'era qualche traccia "funzionalista" nell'interpretazione della democrazia. Per esempio, fino alla legge Basaglia i disabili mentali non votavano. Oggi possiamo permetterci che votino perchè 1) sono pochi e 2) tra l'altro molti non votano nemmeno, ma se venissero meno queste due condizioni siamo sicuri che non ci porremmo il problema?
Io sono personalmente legato all'idea del voto come diritto inalienabile, ma l'idea di attribuire più voti a qualcuno (invece di togliere il diritto a qualcun altro) mi pare che non leda questo principio.
Tra le debolezze del libro, vedo che - per giustificare un'attribuzione diseguale di voti - spesso si insiste sul fatto che il voto di ciascuno pesa praticamente zero. Ma allora perché scannarsi per regolarlo?
Se il voto vale poco o nulla, inoltre, non è solo un caso statistico: vedo che anche Brennan "ammette" che spesso i governanti fanno un po' quello che vogliono, o meglio: non seguono i programmi e le promesse elettorali alla lettera perché si comportano secondo quello che "bisogna" fare, secondo i vincoli internazionali e di realtà. E questo è un bene, credo.
Però resta il problema che alcune cose di immagine a costo nullo, e quindi non sottoposte ai vincoli di realtà, si sbilanciano molto sul desiderio democratico (leggi: sulla pancia dell'elettorato): si pensi a "chiudiamo i porti", per esempio, o alla questione delle aperture domenicali degli esercizi commerciali.
Ho trovato infine molto chiara l'esposizione del fatto che la politica tende a creare delle tifoserie. Ci divide, ci rende sospettosi l'un l'altro. Più volte ho scritto che questo fatto è ciò che non mi piace della politica comunale e dell'atteggiamento che abbiamo noi cattolici nei confronti della politica / dei politici: si rovinano dei rapporti personali. Su questo dobbiamo crescere tutti, non è solo questione di populisti e democratici "classici".

sabato 9 novembre 2019

Montalbano sono

Lunedì sera ho visto una puntata di Montalbano. Poi ho appurato che era una puntata del 2013, Il gioco di specchi.
Confesso: è la prima volta. Non mi ha mai incuriosito granché.
Oltre che la prima, mi sa che è stata anche l'ultima volta.
Mamma che ciofeca. Non capisco come si possa guardare un prodotto così scadente.
Intanto, mi dà fastidio dover stare concentrato per capire quello che stanno dicendo i personaggi. Non lo trovo godibile. Troppo dialetto, troppa inflessione.
Poi mi fa specie come viene dipinta la Sicilia. Un posto dove tranquillamente si mettono bombe, si spara per strada, si ragiona come se niente fosse di faide, di avvertimenti, di omertà... Delle due l'una: se la Sicilia è veramente così, mi fa specie; se invece è tutto uno stereotipo, una macchietta, allora non si fa un buon servizio a quella terra.
Ma lo stesso discorso vale per tutti gli elementi della sceneggiatura: il carabiniere praticamente analfabeta è un'offesa per l'Arma, gli atteggiamenti delle persone sono delle "terronate" eccessive (vedi la reazione della mamma di Arturo alla sua storia con la malafemmena, o la scenetta col vecchio che non parla con la figlia, ma anche altre). Non si possono perpetuare così questi stereotipi.
Idem per i personaggi maschili: Augello e Montalbano sciupafemmine. Sempre. In ogni caso. Che immagine è? Al di là della discutibile valenza educativa, sembra di leggere del principe del Gattopardo.
Ma parliamo pure della sceneggiatura, infarcita di spiegoni per spiegare l'ovvio, di "misteri" che misteri non sono (senti una botta che fa sobbalzare l'auto, il giorno dopo trovi una pallottola nella fiancata, e non colleghi le cose?), di scenette poco o nulla credibili che risolvono situazioni. Ad esempio quando Montalbano va a pranzo, a un certo punto si affaccia alla finestra del ristorante, con fare da spettatore, e guarda caso proprio in quel momento inizia la scenetta del piatto tra camerieri, che stanno recitando in modo così naturale che sembra di vedere Montalbano a teatro. Oppure quando il collega di Montalbano va al negozio di moda e casualmente la signora Lombardo - che in quel negozio ci lavorerebbe - si mette a truccarsi in maniera vistosa e visibile. Cosa molto credibile, in vista di un incontro clandestino. Così clandestino che avviene dietro a una tenda mezza scostata.
Ma per carità.
E poi case accessibili a tutti, sempre aperte, gente che va e viene notte e giorno. Ma ceeeerto.
Alla fine mi ha preso così poco che negli ultimi minuti mi sono messo a fare i fatti miei, pur con la TV accesa, con solo un occhio a vedere distrattamente dove andavamo a parare.
Che ciofeca, veramente.

mercoledì 6 novembre 2019

Sequela e previdenza

Vangelo di oggi: Luca 14,25-33:
In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?
Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace.Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
A me pare che le due piccole parabole portate a esempio da Gesù siano piuttosto fuori posto.
Se leggiamo i versetti 25-27 e 33, il discorso fila: è un discorso sula necessità della rinuncia radicale per la sequela.
I versetti centrali, 25-32, portano due esempi che sembrano parlare invece della necessità di essere previdenti, prudenti. L'esempio del re e della guerra sembra addirittura un'incitazione al compromesso, altro che radicalità. Non vedo che c'entrino questi esempi col discorso di contesto.
Per il re si può pensare che in un certo senso "rinuncia" a ciò che è nella sua disponibilità, a usare i suoi diecimila uomini, alla guerra. Per il costruttore, invece, mi pare che addirittura si tenga i beni (i suoi soldi), invece di sperperarli.
L'unico nesso che so trovare: forse l'esortazione è a non intraprendere la sequela se non si è sicuri di poter andare fino in fondo, cioè di essere capaci a rinunciare a tutto.

lunedì 4 novembre 2019

Non l'avresti neppure creata

Dalle letture di ieri, 3 novembre (Sapienza 11,23-25):
Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento.Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata.Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza?
Questo passo riassume tutte le mie perplessità sulla dottrina riguardante l'omosessualità. Che posto ha nel disegno di Dio?

domenica 3 novembre 2019

Per cimiteri

In questi giorni, come centinaia di migliaia di italiani, sono stato nei cimiteri a visitare le tombe dei cari defunti.
Il clima non è esattamente quello più adatto al raccoglimento e alla preghiera, per via degli incontri con le altre persone convenute sul posto. Nulla di tragico: in fondo viviamo tutti di relazioni.
Però al cimitero si possono fare anche incontri di un altro tipo. Si incontrano le persone morte. Si vedono le tombe, si ricostruiscono volti, storie.
"Ah, quella dev'essere la mamma di quel mio compagno di classe".
"Questo è morto molto giovane." "Lo conoscevi?" "No, magari chiedo a mio padre, vedo che sono coetanei".
"Questo ha fatto il panettiere per decenni. Era nel negozio dove adesso c'è la profumeria".
Ho sempre pensato che i cimiteri siano una delle cose che ci rendono più umani. Perché il culto dei morti è una delle caratteristiche che ci distinguono dagli animali, pur ricordandoci che - come gli animali - condividiamo il limite della mortalità.
Ma il fatto che il culto sia portato tutti insieme è segno di relazioni, anche nella morte. Del fatto che viviamo in un paese, in una trama di intrecci, conoscenze, incontri. In una parola, di comunità.
Mi dispiace che con l'uso di portare a casa le ceneri di chi si fa cremare questo aspetto venga meno. Il culto è ritirato, personale. Ci saranno senz'altro mille motivi, affettivi, sentimentali... non voglio giudicare, ciascun caso è diverso dagli altri e ciascuno valuta liberamente la sua scelta.
Non posso comunque evitare di pensare che è un altro segno di una società che sceglie il segno dell'individualismo sopra il senso di comunità.