giovedì 2 gennaio 2014

Sul sacramento del matrimonio

La scorsa settimana mia moglie ed io siamo stati a Montecastello per un corso di esercizi spirituali. A margine del discorso principale è capitato che emergesse il tema del matrimonio in Chiesa, che seppure in calo è comunque chiesto da un gran numero di coppie, provenienti da cammini di fede molto diversi.

Va da sé che la situazione ottima è quella di avere coppie consapevoli: coppie consapevoli dell’importanza del sacramento che decidono di sposarsi in Chiesa perché ci credono, oppure coppie consapevoli del fatto di non crederci e di non sentirsi cristiani che decidono di non sposarsi in Chiesa.

Però capita spesso che la questione non sia così bianca o nera: il matrimonio all’altare, con l’abito bianco, il prete, i canti, gli ammennicoli vari del caso è una tradizione lungamente radicata, a cui molti in ogni caso non vogliono rinunciare. Capita quindi che coppie dalla fede cristiana perlomeno saltuaria chiedano al sacerdote di sposarsi comunque in Chiesa. Pensiamo a quelli che “scoprono” in quel momento di dover fare un corso in preparazione al Sacramento, oppure di dover fare la Cresima, mai fatta prima, oppure che si stupiscono perché il prete dice loro qualcosa riguardo al fatto che convivono. Magari la giustificazione è che “la zia suora”, oppure “la nonna” ci tengono tanto.
Io credo che spesso queste persone non siano veramente consapevoli del passo che fanno: probabilmente sottovalutano le risposte date al processicolo, per loro sostenere di credere in Dio equivale a promettere che qualche volta, magari a Natale e Pasqua, si faranno vedere in Chiesa, e impegnarsi a educare cristianamente i figli equivale a promettere di farli battezzare o iscriverli a catechismo. Non siamo insomma di fronte a un “dolo”, gente che sa che non gliene frega davvero nulla e chiede di sposarsi in Chiesa solo per la scenografia.

Si è quindi discusso su quale sia l’atteggiamento più opportuno in questi casi: fermo restando che all’atto pratico un sacramento non si può negare a chi lo chiede e ne abbia i requisiti formali, sarebbe più opportuno continuare a sposare in Chiesa anche quelle coppie di cui il prete intuisce la non consapevolezza o mettere barriere d’ingresso più selettive, e magari non celebrare qualche matrimonio?

Io credo che sia meglio la prima ipotesi. Perché nessuno può guardare dentro il cuore dell’uomo: che ne sappiamo che quel desiderio quasi infantile di sposarsi in Chiesa come mamma e nonna non sia lo strumento che il Signore utilizza per suscitare nell’anima degli sposi una “nostalgia” per Lui, per innaffiare il germe di divinità che è iscritto nell’anima di ogni creatura?
Anche perché dire di no significa non fidarsi del Sacramento, che invece il Catechismo della Chiesa Cattolica (paragrafo 1128) ci insegna agire “ex opere operato”, per il solo fatto di essere ricevuto. Se lo Spirito Santo in cui sono stati benedetti gli sposi li porterà a fare una sola scelta d’amore in più rispetto a quello che sarebbe successo senza il sacramento, questo avrà avuto senso, ne sarà valsa la pena.

Pensare che un sacramento abbia effetto e senso solo quando se ne è consapevoli, in effetti, è una cosa che non ha molto senso: se così fosse non battezzeremmo i bambini in età così precoce, per esempio.
Allo stesso modo, l’anticipo della Cresima di due anni è un’altra prova del fatto che non è la consapevolezza che fa l’efficacia. Il cardinal Martini, a suo tempo, fu un sostenitore dell’anticipo, perché diceva che lo Spirito poteva trovare terreno più fertile, più puro, meno soffocato dal “rumore di fondo” del mondo nei bambini di quinta elementare piuttosto che nei ragazzi di seconda-terza media.

Pretendere la “consapevolezza” per amministrare il matrimonio è come pretendere che lo Spirito per funzionare abbia bisogno di noi: è pericolosamente vicino all’idea che l’uomo si debba salvare con le sue forze. Invece bisogna fidarsi dell’azione di Dio.

Poi è chiaro che il sacramento fornisce gli strumenti per una vita a immagine di Gesù, e starà alla libertà della coppia decidere se usarli o meno. Anche io auspico che il numero di matrimoni in Chiesa diminuisca, ma per un’aumentata consapevolezza generale con conseguente diminuzione delle richieste, non perché siamo noi ad alzare le barriere.

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