lunedì 17 febbraio 2014

Su proibizionismo e antiproibizionismo

Negli ultimi tempi, qua e là, sulla scia delle legalizzazioni in Colorado e Uruguay e dela bocciatura della legge Fini-Giovanardi, c'è stato qualche ritorno del dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere.
Nello stesso tempo si moltiplicano le prese di posizione contro il gioco d'azzardo, compresa quella del nostro Comune.

Io non ho una posizione definitiva sulla questione del proibizionismo/antiproibizionismo. Si tratta di rispondere alla domanda: "è giusto lasciare la libertà a chi vuole di farsi del male?". Una domanda che mette in gioco un valore positivo (la libertà personale) e uno negativo (l'autolesionismo), che vanno pesati a seconda (anche) della sensibilità personale.
Eticamente credo che mi darebbe fastidio un approccio antiproibizionista: è giusto che sia lo Stato a permettere - o addirittura vendere - sostanze che fanno male? Per me no. Però con alcool e tabacco lo si fa. Per questi prodotti si invocano ragioni culturali ed economiche (i proventi dei monopoli di Stato).

C'è anche chi sostiene che la gente deve essere libera di farsi del male finché i costi non ricadono sugli altri (la versione economicistica della "libertà di ciascuno finisce dove inizia la libertà altrui"). Sorvolando sul cinismo, certamente c'è del vero in quest'approccio.
Però è altrettanto vero che è molto difficile stimare i costi, sociali ma anche meramente economici, dei danni provocati dalle droghe e del loro peso sul sistema sanitario, che paghiamo collettivamente. C'è chi sostiene che anche il fumo, a conti fatti rispetto ai costi dei malati di tumore in Oncologia, non è un affare economicamente vantaggioso per lo Stato.

Forse è corretto non pretendere una risposta "di principio" al dilemma proibizionismo sì-proibizionismo no, ma distinguere caso per caso, senza fare paragoni e sovrapposizioni. In fondo se ragionassimo per principi, chi sostiene la depenalizzazione delle droghe leggere non avrebbe motivo di essere contro per le droghe pesanti, che invece godono di molto minor favore (a dimostrazione di una punta di ipocrisia nelle motivazioni libertarie?).

Per quanto riguarda le droghe leggere, però, un punto a favore della liberalizzazione è senz'altro sempre stato l'evidenza pratica dell'inefficacia del proibizionismo: i divieti non ne hanno mai stroncato l'uso, anzi hanno creato cartelli malavitosi che con quest'attività si arricchiscono. Sono sempre stato abbastanza sensibile a questo argomento: che senso ha incaponirsi su una strada provata per decenni, e lungo la quale non si sono fatti passi avanti? Forse è il caso di provare un approccio nuovo. Di conseguenza, fra mille dubbi e tentennamenti, sono sempre stato abbastanza possibilista al riguardo.

Però quello che è successo e che sta succedendo con il gioco d'azzardo mi fa molto pensare.
Per il gioco si è percorsa - essenzialmente per motivi economici - la strada della liberalizzazione, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. L'impressione è che ci siano danni sociali diffusi, e che però sia ormai impossibile tornare indietro: lo Stato va rapidamente in "assuefazione" da incasso facile, come dimostrano varie situazioni anche recenti.
Mi astengo dal dare un giudizio definitivo, perché purtroppo per renderci conto davvero dell'incidenza del fenomeno avremo bisogno di più tempo e di più dati sulle ludopatie. C'è anche chi nega il loro aumento, nel senso che non ci sono dati certi per affermarlo (è tutto un "sembra, forse, bisogna aspettare").

Per ora è certo che la raccolta lorda (=le giocate della gente) è più che raddoppiata in pochi anni, e questo mi pare in ogni caso un dato preoccupante. E'vero che circa l'80% delle giocate poi ritorna indietro sotto forma di vincite, ma è il discorso del pollo di Trilussa: vincono in pochi ma spendono in tanti.

Ma la cosa che più mi interessa è che due effetti sono innegabili: una diffusa percezione di degrado sociale (motivo del fatto che non si vogliono sale slot vicino a luoghi sensibili) e, soprattutto, un'impossibilità pratica di fare marcia indietro una volta intrapresa la strada della liberalizzazione.
Per questo è necessario andarci veramente con i piedi di piombo.

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