martedì 7 giugno 2022

A case of conscience

Ho appena finito di leggere A case of conscience, titolo originale del libro tradotto in italiano come Guerra al grande nulla, di James Blish.

Mi sono avvicinato al testo spinto da recensioni molto positive.
In realtà mi pare che, come capita spesso con la fantascienza (ne avevo già scritto un mese fa), il libro sia più significativo che bello.

Il libro parte un po' lentamente per la prima quarantina di pagine, poi c'è una spettacolare accelerazione. Da notare che, come già in Ursula Le Guin, il libro diventa appassionante per le elucubrazioni "ideologiche" e, in questo caso, religiose piuttosto che perché succede qualcosa.

Quando qualcosa comincia a succedere, invece, secondo me il libro si perde un po'. Egtverchi è un personaggio troppo estremo per essere vero, è un personaggio senza morale (gli mancano sia quella lithiana che quella cristiana, forse?), o addirittura antimorale. I suoi metodi di azione sono interessanti, ricordano quelli di "cattivi maestri" come Cirillo in Agorà: non aizza esplicitamente alla rivolta, ma lo fa subdolamente, tenendosi le mani pulite ma creando le condizioni perché le cose vaano in un certo modo.

Quello che manca completamente è però un movente. Sia per lui che per l'altro "cattivo", Cleaver.

La conclusione, che lascia in sospeso ciò che sia accaduto, è invece la scelta giusta per un dilemma etico/teologico che merita di restare irrisolto.
Riguardo a questo dilemma, trovo molto interessante l'approccio usato da Blish, ma non sono del tutto convinto che la impostazione da lui proposta, e messa in bocca a Ruiz-Sanchez, sia l'unica possibile.
La capisco, e non la sottovaluto, partendo dal presupposto che il Maligno agisce; ma non credo che sia l'unica interpretazione possibile.

Nell'introduzione Blish asserisce di essersi informato sulla teologia riguardante i mondi alieni, che prevederebbe solo tre vie (mondi senza esseri razionali con anima; mondi con esseri con anima e peccato; mondi con esseri con anima e senza peccato), e secondo lui Lithia non ricade in nessuna delle tre fattispecie. A parte che secondo me assomiglia alla terza, dubito che le situazioni si possano ipoteticamente incasellare così rigidamente.

Volendo rimanere ai dilemmi teologici spaziali, ho trovato migliore La stella di Arthur C. Clarke (qui in italiano, con una curiosa omissione rispetto alla versione inglese), novella che gode di un finale fulminante.

Ultima nota: come per la citata Le Guin ne I reietti di un altro pianeta, anche in questo caso quando un autore di fantascienza "disegna" una società in qualche modo "ideale" la prima cosa che toglie di mezzo è la famiglia.
Forse perché la famiglia monogamica ha tratti di "chiusura" ed "esclusività" che possono alimentare egoismo e contrasti (chi non lotterebbe per il vantaggio dei propri figli?), che generano comunque un "noi" inevitabilmente contrapposto a un "loro", ma è una cosa che a me pare abbastanza distopica.

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