venerdì 5 novembre 2010

Quattro novembre



  • In vista delle celebrazioni per il 4 novembre, che qui a Ospitaletto si terranno domenica, a mio padre (ex bersagliere) è stato chiesto di scrivere un pensiero per Ospitaletto.org, che però non è stato pubblicato sul giornale per mancanza di spazio. Volentieri lo ripropongo di seguito.



Ormai da molti anni partecipo alle celebrazioni per la ricorrenza del 4 novembre, e per quest’anno mi è stato proposto di mettere per iscritto una riflessione, e volentieri ne parlo.

Il 4 novembre, come tutti sappiamo, è l’anniversario della vittoria dell’Italia nella I guerra mondiale, ma è nel contempo la festa delle nostre Forze Armate.
Io non ho esperienza diretta della guerra, perché per fortuna la nostra Italia ha attraversato molti decenni di pace, ma tutte le volte che penso a queste ricorrenze il pensiero, più che agli eroismi e alla retorica, corre alla vita delle povere persone semplici di casa nostra e a quello che hanno dovuto sopportare servendo nell’Esercito in periodo di guerra.

Il ricordo più vivido che ho al riguardo sono i racconti di mio padre, che – come molti ragazzi della sua età – uscì per la prima volta dalla nostra provincia quando fu chiamato a fare il servizio militare a Roma, durante il fascismo. Ricordo quando mi parlava delle adunate di piazza Venezia: loro, i giovani di leva, costretti a stare inquadrati in piazza già dalle prime ore del mattino, in attesa che il Duce si affacciasse. Saranno fischiate le orecchie, a Mussolini, “con tote le madone che ga tiraem”, mi diceva mio padre!

Poi il congedo, e il ritorno a casa. Tranquillità interrotta una decina di anni dopo: richiamato alle armi per andare a combattere in Jugoslavia. Possiamo immaginare lo stato d’animo di tutta la famiglia, con tre figli piccoli a casa da tirare su e l’azienda agricola gestita da mio padre con i suoi due fratelli da portare avanti, con due dei tre fratelli nell’Esercito. Erano periodi di stenti, ma anche i militari non se la passavano meglio: mio padre conduceva i cavalli, e per un pezzo di pane barattava la biada con le popolazioni del posto.

I disagi per i civili non si limitavano alle privazioni: nei territori attraversati dagli eserciti a volte avvenivano soprusi da parte di alcuni soldati, anche commilitoni di papà, che approfittavano della loro posizione per vessare ulteriormente la popolazione. Mio padre mi raccontava sempre un episodio che l’aveva particolarmente impressionato di cui fu testimone nell’attuale Bosnia, dalle parti di Srebrenica, dove un milite delle camicie nere uccise a freddo due contadini che, al passaggio di un convoglio, si rifiutarono di fare il saluto fascista.

E mio padre fu ancora uno dei più fortunati, perché tornò a casa. Quanti soldati, impegnati in guerre che non capivano, sono rimasti sui campi di battaglia! In questa ricorrenza intendo proprio ricordare non i generali o gli eroismi, ma tutti i soldati che hanno servito le Forze Armate in tempi difficili, in particolare i caduti, che giustamente onoriamo nel corso delle manifestazioni annuali.

                                                                                                   Angelo Libretti

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