martedì 11 gennaio 2022

La crisi dei conservatori (1)

Dopo lo scorso pezzo, proseguiamo sulla falsariga delle crisi, ma passiamo a un argomento meno ludico. Segnalo due lunghi articoli che ho trovato molto interessanti e che sembrano rispondere l'uno all'altro. Per oggi mi limito a una breve sinossi, poi ci tornerò sopra con alcune riflessioni mie.

Il Mulino, a firma Steven Forti, propone un'analisi dello stato attuale del mondo conservatore in Occidente.

Il Partito popolare europeo (Ppe), pur essendo ancora il primo partito a Bruxelles nonostante l’espulsione dei tredici deputati di Fidesz, ha ottenuto il 21% dei voti alle elezioni europee del 2019, quando nel 2014 era al 29,4% e cinque anni prima sfiorava il 36%. Ha praticamente dimezzato i suoi voti in appena un decennio. Per di più, con la formazione dell’esecutivo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz in Germania, ha perso anche l’ultima presidenza di un governo importante dell’Unione europea. [...] una profonda debolezza che non è solo elettorale. Riguarda in primis il progetto politico.

Secondo Forti, i conservatori

sono poco a poco rimasti schiacciati tra l’incudine di quella che Ronald Inglehart ha definito la «rivoluzione silenziosa» e il martello della «contro-rivoluzione silenziosa» delineata già una trentina d’anni fa da Piero Ignazi. Ossia, da una parte la diffusione dei valori progressisti e post-materialistici; dall’altra, la reazione nativista e autoritaria rappresentata dalle nuove estreme destre.

Questa situazione fa dire all'autore che

I conservatori sono il vero anello debole delle nostre democrazie. [...] il rischio di una radicalizzazione del centrodestra è uno dei maggiori pericoli per la democrazia occidentale nel XXI secolo.

Quasi a rispondere a questi timori, il politologo Giovanni Orsina (Luiss) scrive il policy brief Un conservatorismo per il XXI secolo? Spazio politico e sfide obbligate. Orsina osserva che

potrebbe essere in corso – il condizionale è d’obbligo – un processo di rientro della protesta cosiddetta “populista” contro la globalizzazione, che ha segnato l’ultimo decennio, nei ranghi di un’ideologia più strutturata e tradizionale quale quella conservatrice.

L'articolo analizza le traiettorie sociali degli ultimi decenni, soffermandosi sulla accelerazione dei cambiamenti, la radicalizzazione del progressismo e un certo ottimismo per cui ogni cambiamento è di per sé positivo.

Questi tre processi hanno aperto spazi importanti a una reazione conservatrice. Più in positivo, l’integrazione del Pianeta sta riportando in superficie, in segmenti consistenti delle opinioni pubbliche occidentali, quello che in altra epoca Simone Weil ebbe a definire «il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana»: il radicamento.

C'è quindi spazio per una posizione politica conservatrice, a patto che si affrontino tre questioni:

1. Reagendo alla radicalizzazione del progressismo, il conservatorismo rischia di radicalizzarsi a sua volta.

2. Un conservatorismo che abbia a cuore il radicamento (e la democrazia) non può fare a meno di valorizzare la dimensione nazionale. Deve però avere la consapevolezza che qualsiasi mossa de-globalizzante potrebbe avere effetti negativi considerevoli [e che] ri-nazionalizzare potrebbe significare indebolire i valori occidentali.

3. La terza e ultima sfida riguarda l’economia [...] il mercato è un potentissimo dissolutore di radicamento. Forse il più potente che ci sia. Far convivere il radicamento con il mercato è la terza grande sfida alla quale il conservatorismo del XXI secolo è chiamato a rispondere.

 

 

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