lunedì 17 gennaio 2022

La crisi dei conservatori (2)

Torno su quanto pubblicato la scorsa settimana.

Fanno bene gli autori a sottolineare che non c'è solo una crisi della sinistra, su cui si dice e si parla spesso.

La destra "classica" è stata travolta dallo tsunami populista quanto la sinistra è stata travolta dalla globalizzazione e dal trionfo del mercato.
Quest'ultimo sembrava aver dato ragione alla destra liberale, poi si sono viste tutte le contraddizioni ed è esploso un sentimento di populismo diffuso che ha favorito soprattutto lo sdoganamento di una destra retriva e intollerante (non so perché, questa cosa andrà indagata dagli studiosi, ma probabilmente c'entra qualcosa il linguaggio "violento" usato da indignati e populisti vari).
Oggi non ci si vergogna più a declinare tematiche di destra in termini non moderati.

Ma rinunciare al moderatismo e al liberismo, cioè alle ricette della destra istituzionale fino a 20 anni fa (prima di Berlusconi, in Italia; fino a Cameron, in Inghilterra), innesca un corto circuito per cui la reazione al liberismo (i ceti disagiati che votano a destra in una lotta tra poveri, e una certa richiesta di intervento statale a protezione) mette in secondo piano il liberalismo, e la destra populista non più liberista finisce per essere anche illiberale*. Questo lo leggo anche nella conclusione di Orsina.

Quando invece una destra moderata, liberale e non liberista non è impossibile: è quella che ha fatto l'Europa ai tempi dei padri fondatori.

Ho trovato interessante approfondire il conservatorismo nell'analisi di Orsina:

È possibile sostenere che il conservatorismo abbia una robusta componente opportunistica e reattiva: è un pensiero del limite, del contrappeso, del riequilibrio, si fonda sullo scetticismo, sulla prudenza, sulla consapevolezza che la condizione umana ha dei confini stretti e impossibili da superare. Il suo obiettivo non è negare o eliminare il mutamento, ma temperarlo quando si fa troppo rapido o troppo radicale e mette in pericolo i sempre delicatissimi equilibri storici. Il conservatore è tendenzialmente pessimista: del cambiamento vede più facilmente i rischi delle opportunità; non lo avversa a priori, ma lo maneggia con estrema cautela.

Questo è un conservatorismo moderato: chiedere ragione delle cose che si fanno o si propongono, interrogarsi se sono tutte giuste o meno, discernere se nelle varie proposte di cambiamento ci sono parti utili e necessarie o altre peggiorative. Il radicamento, la vicinanza alle radici, è motivata dalla prudenza prima di allontanarsi, non dal partito preso.

E' una posizione basata sulla razionalità, e non sul senso comune; quante volte invece sentiamo i politici populisti ammantarsi del "buon senso", che invece a volte è contrario - in questioni complesse - alla realtà fattuale?

Ma c'è spazio per posizioni come queste, razionali ma prudenti?
Rispettose dello status quo, che non è di per sé brutto e da buttare, ma non immobiliste?

In giro ne vedo molto poche, a meno di non considerare conservatore Macron. Liberale forse, conservatore non direi, anche se la posizione tesa a difendere un certo assimilazionismoin campo migratorio potrebbe tradursi in questa direzione.

* In realtà, a ben vedere, i vari Trump, Orban e Salvini sono un po' ircocervi, favorevoli ai dazi ma anche ai tagli di tasse (flat tax) e contrari a lacci e lacciuoli (tipo quelli ecologici).
Sono dei "liberisti in un solo Paese"...

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