lunedì 17 agosto 2020

Joker vs. Richard Jewell

 Il cinema estivo all'aperto mi ha fatto vedere a breve distanza anche Joker, oltre a Richard Jewell di cui parlavo l'altra volta.

Non mi avventuro in troppe analisi sul film, ce ne sono già una marea. Sicuramente il film intreccia molti temi: la disabilità, l'esclusione sociale, i servizi sociali (o la loro mancanza), la violenza. Arthur diventa Joker per colpa della società o per colpa sua? C'è spazio per entrambe le risposte, ciascun osservatore può scegliere quella che ritiene prevalente.

Mi ha colpito però che i due film abbiano parecchi tratti in comune.
Sia Richard che Arthur sono degli emarginati, delle persone "inadatte" a vivere "normalmente" nella società. Arthur ha una patologia mentale, dei disturbi, prende delle medicine; Richard non arriva a questi livelli ma non mi pare che sia completamente esente da qualche turba (sembra vagamente "autistico", è un po' ossessionato dalla sua idea di ordine).
Entrambi però non sono così "gravi" da non poter tentare di vivere nel mondo: anche Arthur non sta in una struttura, vive a casa e ha un lavoro.
Entrambi sono fissati nel voler fare un certo lavoro (il comico e il poliziotto). Entrambi mi pare che non siano adatti a fare questo lavoro: Arthur ha il problema della risata incontrollata al momento sbagliato, oltre che una certa difficoltà a comprendere ciò che fa ridere e ciò che no con le lenti distorte della sua mente. Richard ha il problema di non sapersi limitare, di rincorrere la visibilità come forza dell'ordine in ogni minima cosa e oltre (come fermare le auto fuori dalla sua giurisdizione o spacciarsi per poliziotto). Eppure entrambi perseguono proprio questa occupazione per cui non sono adatti e che infatti continua a dar loro delusioni, la loro fissazione.

Qui mi è venuto da pensare: cosa dovrebbe fare una società per comportarsi "bene" di fronte a questi casi? Prendersene cura? Penso soprattutto ad Arthur: i servizi sociali avrebbero dovuto instradarlo altrove? Dirgli, con tatto, che se vuole stare nel mondo "normale" non è adatto a fare il comico, ma può avere altre possibilità? Oppure prenderlo in carico e assecondarlo nel suo desiderio, fornendogli un contesto "protetto" (gli spettacolini davanti alla cooperativa, in cui i parenti applaudono)? Non sarebbe come rinunciare a inserirlo?
Purtroppo la disabilità comporta il non poter fare alcune cose. Non è vero che chiunque può fare qualunque cosa, così come non è vero per i normodotati (io non posso fare il fantino perché sono troppo alto, e questo varrebbe anche se lo volessi tanto).

Anche per Richard poteva valere qualcosa del genere: non sei adatto a fare il poliziotto, ti hanno già cacciato da un paio di posti di "vigilanza". Qualcuno ti dice che non è posto per te? Oppure ti diamo un distintivo vuoto di potere, ti facciamo fare il guardiano di un posto deserto (come uno che conosco in Franciacorta)? Poi la polizia USA è fatta in modo tale che non è unitaria, è un insieme di polizie locali, per cui se esci da una puoi farti assumere in un altro posto, come cambiare ditta, perciò Richard continua a girare. Però a fine film lo vediamo poliziotto, ma non sul campo: in ufficio a timbrare carte, che forse, data la sua attenzione, è la cosa migliore.

Invece nessuno, nei due film, si prende la briga di "educare" i due all'accettazione delle loro debolezze, delle impossibilità che queste comportano, men che meno le mamme. La conseguenza è una empatia con i due basata sulla pena, una continua fremdschamen.

Naturalmente Richard Jewell è un film che parla d'altro, del rapporto con l'autorità. Ma trovo che i punti di contatto tra le due situazioni siano molti.
Questo non fa che aumentare il contrasto tra gli esiti delle due vicende: da una parte il turn heel di Arthur/Joker, dall'altra un personaggio che, pur essendo il ritratto di chi ne avrebbe la tentazione (cosa su cui si imbastisce il processo sommario della pubblica gogna) non cede al lato oscuro.

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