sabato 30 maggio 2020

Di lotta e di...

Sono giorni di anniversari. Piazza Loggia, l'omicidio Tobagi, lo statuto dei lavoratori.
I primi due sono legati a un'epoca passata, che chi ha meno di 50 anni non ha vissuto e non può capire. Non riusciamo a capire come potesse essere il clima degli anni tra il '68 e gli anni di piombo, la situazione di conflitto permanente, il fatto di poter essere pestati per un vestito sbagliato. Senza parlare degli eccessi peggiori, la lotta armata.
Lo statuto dei lavoratori è ancora precedente, e oggi sopravvive, seppure sempre più invecchiando.
Qualcuno in questi giorni osservava che oggi non ci sono più le lotte di 50 anni fa. Né in termini di mobilitazione, né in termini di estremismi armati. "Oggi non si lotta più", ho letto.
C'è del vero, decisamente. Mi chiedo perché.
E' stata colpa della lotta armata? Questa ha creato un rigetto, il rigetto dell'impegno tipico degli edonisti anni '80?
So troppo poco della lotta armata. Come può essere esplosa? In fondo le conquiste come lo statuto dei lavoratori sono state frutto di una lotta dura ma disarmata. Perché si è andati oltre?
Forse è stato il frutto inevitabile della lotta? Se si porta avanti un programma di lotta - legittima - ci saranno sempre delle frange estremiste? Cioè l'estremismo è l'effetto collaterale della lotta?
Forse c'entra il fatto che con la crisi petrolifera non c'era più trippa per le concessioni? Ma allora gli ultimi 10 anni sarebbero un periodo simile.
Comunque resta la domanda: perché adesso non si lotta più? Siamo più "politicamente corretti", aborriamo il conflitto, aneliamo la pace sopra ogni cosa, abbiamo attraversato troppi anni di pancia piena? E' l'individualismo galoppante? Non siamo più capaci di fare un fronte di lotta? Siamo rassegnati, percepiamo la lotta come inutile?
Mi vengono in mente i movimenti ecologisti dei ragazzi, travolti dalla pandemia (ci tornerò).
Non c'è più lotta. Con cosa l'abbiamo sostituita? Con le tweetstorm?

lunedì 25 maggio 2020

Un'altra destra è possibile? No

Sono abbastanza convinto di avere già lamentato su queste pagine la mancanza, in Italia, di una destra moderata, euopea, liberale in Italia.
Ho letto questa intervista a Flavia Perina, vecchia finiana, che fu protagonista illo tempore di un tentativo interessante e fallito di incarnare qualcosa del genere.
L'intervista è parechio autoassolutoria, con una lettura della storia molto pro domo sua. Che un certo cattivismo non sia nel DNA della destra è vero per quella di Perina, ma per gran parte dei movimentisti MSI non lo direi. La storia della foto di Fini con la bimba eritrea, poi, è spiegata dalla stessa Perina come strategia di uscita dal ghetto, non la sfrutterei come un manifesto antirazzista. Interessante invece la nota su Buttafuoco.
Ma la parola definitiva di quest'intervista è alla fine:
A questo punto le chiedo: può esistere, nascere, una destra diversa?
Adesso no. Adesso la destra è questa.
Perché?
Ogni tentativo in questa direzione è fallito. Bisogna prenderne atto. Siamo un Paese anomalo, siamo un Paese dove hanno vinto le formule populiste. Una destra sul modello di quello tedesco o francese è inimmaginabile. Come è difficilissimo trovare lo spazio per un altro tipo di sinistra, o di centro. La chiave di questo Paese è la competizione populista.
Perina accomuna anche la sinistra a questo discorso, ma per la destra l'evidenza è lampante.

venerdì 15 maggio 2020

La rinascita del religioso? Ma anche no

E così, da lunedì si potrà tornare a Messa.
Sento parlare e leggo in giro di un ritorno al sacro, alla religione. Di medici che pregano, di persone che si ricordano di Dio. Gente che segue la preghiera del Papa, la Messa in streaming. In parte può essere un fenomeno già noto: anche in passato nei momenti di crisi (guerre, siccità, malattie) si facevano voti e processioni. Però fino a 50 anni fa la società era ben diversa, anche chi non si curava di andare in chiesa era in modalità "scherza coi fanti ma lascia stare i santi".
Io sono piuttosto scettico.
Mi sa che di gente in chiesa ne vedremo sempre meno, con la riapertura.

martedì 12 maggio 2020

La storia di Silvia Romano

La liberazione e conversione di Silvia Romano è la notizia del giorno.
Alcuni appunti al riguardo.
Ci sono tre questioni grosse: il mettersi in pericolo, il pagamento di un riscatto e la conversione.
Le prime due sono questioni già viste. Silvia Romano va a fare cooperazione in Africa. Viene rapita. Lo Stato paga. Cosa pensare di questa catena di eventi?Innanzitutto il volontariato/cooperazione. Non riesco a pensare male di chi lo fa.
Richiedo che sia fatto con i crismi, con la massima prudenza possibile, con organizzazioni serie, non allo sbaraglio (come sembrava il caso delle "due Simone" in Siria). Ma se diciamo "aiutiamoli a casa loro", allora bisogna pure farlo. Certo si può fare cooperazione in posti più o meno sicuri, ma è anche vero che 1) i posti meno sicuri spesso sono anche quelli che hanno più bisogno e 2) credo proprio che non ci sia la fila per andare in posti pericolosi, credo che la cooperazione si distribuisca naturalmente secondo scale di rischio. Tra l'altro il Kenya non è la Somalia, pur confinando; conosco anche personalmente gente che aiuta in Kenya.
In ogni caso bisogna ricordare (come per gli stupri, mutatis mutandis) che la colpa di un rapimento è dei rapitori, mai del rapito, anche se questi ha il dovere morale di fare il possibile per essere prudente.
Passiamo poi al riscatto. Pagare vuol dire cedere al ricatto morale dei rapitori. Questo è odioso e può indurre meccanismi di reiterazione del gesto. Detto ciò, finché i numeri sono quelli che sono (non più di uno-due casi l'anno) personalmente sono dell'idea che sia giusto preservare la vita umana.
Mi chiedo se non sia possibile richiedere per certe attività o certi Paesi indicati dalla Farnesina la stipula di un qualche tipo di assicurazione, tipo la tessera CAI per l'elisoccorso. In modo discreto, s'intende, perché anche questo può essere un incentivo.
Mi viene in mente infine che molte aziende private pagano, in varie forme, per la loro tranquillità in certi contesti (tipo le aziende petrolifere in Libia). Questo come è moralmente configurabile? E' foraggiamento del terrorismo? Va bene perché sono soldi privati? (che poi, privata l'Eni...) Va bene perché il petrolio è necessario e la cooperazione no?
Detto tutto ciò, sinceramente io se fossi liberato con soldi pubblici un po' mi sentirei in colpa. O quantomeno a disagio.
Ultimo passaggio, e vera novità della faccenda, la conversione. Di questa si può dire molto poco. Libera scelta? Plagio? Sindrome di Stoccolma? Che altro?
Prendiamo per buona la libera scelta. Diciamo che mi pare strano che un prigioniero di un gruppo che si caratterizza religiosamente abbracci quella religione. Posso leggere libri, sentire spiegazioni, ma l'immagine - anzi, la testimonianza - che mi stanno dando i miei carcerieri è quella di una religione che in qualche modo giustifica o tollera il rapimento di altre persone. Ok, se è così quella non è la mia religione.
D'altra parte dipende da molti fattori. Probabilmente se avessi come compagno di prigionia un san Massimiliano Kolbe potrei convertirmi al cristianesimo anche se i mie carcerieri fossero cristiani. Sarei convinto che il vero cristianesimo è quello del santo, non dei nazisti. Ma è anche vero che in quel caso i nazisti non si piccavano di essere veri cristiani combattenti di una guerra santa. Al-Shabaab invece sì.
Certo la gestione mediatica della cosa è stata sbagliata.
Proprio a questo riguardo, spero molto di non sentire più parlare di lei.
Niente interviste, niente comparsate. Niente foto in moschea a casa sua. Se invece dopo un percorso psicologico o interiore si "deconvertisse", niente notizia a nessuno. Non deve diventare un simbolo.

venerdì 8 maggio 2020

Recensioni dalla quarantena: Don Camillo

Nel tempo di quarantena ho letto i racconti di Don Camillo, il primo volume.
Secondo me andrebbero fatti leggere a scuola. La religiosità che ne emerge è semplice, misericordiosa, genuina seppur ortodossa. Certo è una religiosità che permea tutto l'ambiente, le abitudini, l'animo delle persone, di tutte le persone. Una religiosità che non tornerà.
Un po' stranianti, per la mia sensibilità, solo alcuni racconti in cui sembra - sembra - che le grazie piovano "su richiesta". Tra questi c'è anche Cinque più cinque, di cui mi ha fatto sorridere questo passaggio:
Don Camillo andò in sacrestia a prendere dei candelabri e infilate le grosse candele si accinse a disporle davanti al Cristo in croce.
– No! – disse Peppone – quello lì è uno della vostra congrega. Accendetele tutte davanti a quella là che non fa politica.
Don Camillo a sentir chiamare la Vergine: “Quella là”, strinse i pugni e sentì una voglia matta di dargli un cazzotto in testa. Ma tacque e andò a disporre le candele accese davanti alla statua della Vergine.
Quindi ai tempi di Peppone era la Madonna a (absit iniuria verbis) non fare politica.
Oggi mi pare che la situazione sia piuttosto cambiata.
Per fortuna sono fuori dalla bolla dei social, perciò mi risparmio - nel giorno della sua festa - la Madonna di Pompei in salsa politica.

mercoledì 6 maggio 2020

Lo stato d'eccezione

Man mano che passano i giorni e la situazione si "normalizza" si ragiona anche su cose meno sanitarie. Per esempio sui principi.
Un liberale/radicale che mi è sempre piaciuto leggere è Malvino. Nei primi tempi della pandemia, fino ancora a metà marzo, aveva un atteggiamento fastidiosamente confinante con il negazionismo. A sentire lui era solo un cinismo rispetto al trattamento mediatico della pandemia, ma "suonava" male.
Però ho letto il suo utimo intervento (edit: è il penultimo, ormai) e mi ritrovo più d'accordo (tranne per le ultime due righe).
Trovo che in generale un utilizzo più frequente del Parlamento (per quanto svuotato, approvificio, passacarte sia diventato in questi anni) sarrebbe auspicabile. Sono piuttosto affezionato alla separazione dei poteri.
Poi in Malvino c'è anche la sottointesa idea che proteggere la vita sia un valore non così assoluto, ma conti molto anche che tipo di vita si conduce: si intuisce dall'accenno al concetto di "nuda vita". Chiaro che con un'impostazione simile forse preferirebbe un modello svedese. C'è da dire però che lui - al contrario di Confindustria altri - non farebbe una scelta simile per motivi economici, ma ideali: è affezionato alla libertà. Ne subisce il fascino.
Dal mio punto di vista esagera, io oscillo spesso tra il liberalismo e un certo paternalismo culturale (di quello non imposto di legge, come il nudging). Ma non posso che essere affascinato da questo fascino.
La mia posizione è "libertà quanto possibile, costrizione quanto necessario": evidentemente il livello di necessità tollerato da Malvino è più basso del mio.
Toh, mi torna in mente una cosa che pensai il 25 aprile, che chissà se c'entra: il contrario di fascista non è comunista. E' liberale.

lunedì 4 maggio 2020

Fase 2 e congiunti

Così oggi comincia la fase 2.
Tutta la questione sui congiunti mi ha fatto un po' pensare. Scrivo questa riflessione al netto del risultato finale, che è stato l'equiparazione dei "congiunti" agli affetti stabili. Consideriamola una petizione di principio.
Dare evidenza pubblica di una relazione non è lo stesso che non farlo.
Si noti che per "evidenza pubblica" intendo qualsiasi atto pubblico, che va dal matrimonio all'unione civile al trasferire la residenza in comune.
Quando parliamo di legalità è necessario dimostrare delle carte, qualcosa di tangibile. Però qui siamo ancora in un ambito legalistico: in ambiente anglosassone, laddove non esistono nemmeno le carte d'identità, probabilmente funziona in modo diverso. Siamo ancora nell'ambito del "controllo".
Ma c'è anche un altro ambito: una coppia che ufficializza pubblicamente la propria relazione prende un impegno pubblico. Siamo su un livello ancora diverso. Si prende un impegno pubblico che si dice che non si è da soli. Questo comporta un aiuto reciproco e - come in questo periodo - dei rischi reciproci. La presenza di questi rischi ha conseguenze sia sanitarie (se mi ammalo io ti ammali anche tu) sia collaterali (se mi ammalo io tu finisci in quarantena). Chi non ufficializza non corre questi rischi, anche se magari di fatto convive almeno parzialmente.
Mi pare che abbia un senso il fatto che, di fronte a 1) il fatto che la colletività risparmia sull'assistenza e sul welfare, quando c'è un relazione stabile; 2) la relazione stabile e ufficiale comporta degli svantaggi; allora per "compensare" 1+2 lo Stato garantisca qualche vantaggio.
Perché nelle condizioni normali non c'è questa preoccupazione a compensare gli svantaggio a garantire vantaggi? Perché non ci sono limitazioni per nessuno: è il discorso della sospensione delle libertà, su cui tornerò.