martedì 31 marzo 2020

Lazzaro

Negli ultimi giorni sono stato "tempestato" di analisi sul brano del Vangelo domenicale, Gv 11,1-45: la resurrezione di Lazzaro. Don Giacomo ha tenuto la sua lectio, come sempre, sul Vangelo domenicale. Don Renato l'ha analizzato in predica. Don Federico ha aperto gli esercizi spirituali con questo brano.
Don Federico ha sottolineato il fatto che Dio non salva dalla morte biologica: lascia che le cose seguano il corso naturale. Questo ricorda ciò che scrivevo qui. La mentalità del taumaturgo (quasi "magica", ha detto don Federico) è quella di Marta, che dice "se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto".
Gesù parla di una vita altra, di una nuova vita, di risurrezione. Anche l'accenno alle "dodici ore" è indice che il tempo di Dio è diverso da quello dell'uomo.
Però è difficile non farsi prendere dalla sensazione che, in quello specifico caso, Gesù alla fine dia ragione a Marta: alla fine Lazzaro è vivo. L'impressione è quella di un Gesù che ripara al fatto di non essere stato lì "prima" come voleva Marta, ottenendo "dopo" lo stesso effetto pratico da lei desiderato.
Forse Gesù non ha voluto interferire con la natura, per donare una vita dopo: una prefigurazione di ciò che avverrà nell'ultimo giorno.
Questo sarebbe praticamente il contrario dei miracoli che avvengono al giorno d'oggi, quando Dio interviene prima della morte delle persone, non certo dopo quattro giorni. I miracoli moderni sono tutti guarigioni da malattie inspiegabili, non - che io sappia - resurrezioni. L'intervento sulla natura è limitato al "prima" della morte fisica.
Tutto ciò fa parte della grossa difficoltà che personalmente riscontro con i miracoli. E' colpa della mia formazione logica, certamente: i miracoli non rispondono a una logica. Preferisco continuare a scommettere sulla resurrezione nell'aldilà, piuttosto che in quella dell'aldiquà.

Trovo invece più interessante - e meno problematico - osservare un paio di atteggiamenti presenti nel brano. Il primo è quello di Gesù, che prima ha un atteggiamento (dal suo punto di vista) "razionale" sulla malattia e morte di Lazzaro, e poi passa a un atteggiamento "emotivo". Prima ritarda la sua presenza a Betania, e dopo la morte dice: "Lazzaro è morto, e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate." Gesù, ancora a distanza, inquadra gli avvenimenti (compreso, apparentemente, il lasciar morire Lazzaro) secondo il disegno di salvezza, secondo una certa utilità per l'annuncio, per la sua missione*. Ma quando tocca con mano la morte, allora scoppia a piangere.
Questo è un atteggiamento in qualche modo simile a quello di tanti di noi rispetto all'epidemia. Si fanno numeri, analisi, grafici, si guardano notizie, si ragiona, ma quando la morte arriva vicino l'atteggiamento cambia. O, più in grande, è l'atteggiamento di alcune nazioni, come la Gran Bretagna: prima la risposta "fredda" del calcolo costi-benefici, non chiudiamo e cerchiamo l'immunità di gregge. Poi, all'arrivare dei morti, la risposta più emotiva.

Altro punto interessante è la gente: prima "Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?". Questa frase riconosce il potere di Gesù, in un certo qual modo. Ma poi, dopo la risurrezione di Lazzaro, ancora non tutti credono (molti sì, ma non tutti), e qualcuno va dai farisei a denunciare la cosa. Negando, in un certo senso, che Gesù abbia fatto un miracolo, negando la sua divinità, la sua potestà, considerandolo un pericoloso sobillatore, un falso profeta.
C'è gente che fa la bastian contraria in ogni caso, prima per un verso, poi per l'altro. C'è gente che non crederà neppure se risorgessero i morti. Questo ha qualcosa a che fare con i "segni" che Gesù fa - o non fa - anche ai nostri giorni.

* Anche questo è un ragionamento difficilmente comprensibile. E' qualcosa di simile alla logica di Gesù che chiede il sacrificio di Isacco: qualcosa di dis-umano, di non umano. Qui da una parte Dio si spinge oltre, fino alla morte dell'uomo, ma poi si riscatta con il suo pianto. Ecco, al Dio di Abramo manca questa nota umana portata da Gesù.

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