giovedì 9 maggio 2019

Fascismo, neofascismo e ur-fascismo

In questi ultimi mesi, come sappiamo, è stato spesso alla ribalta il discorso riguardante il fascismo e il neofascismo. Tajani che dice che "Mussolini ha fatto anche cose buone", il 25 aprile, il libro di Salvini per Casapound, la questione del Salone del libro di Torino.
Alla presentazione del libro sulla Resistenza a Ospitaletto, di cui ho già parlato, Elia Ravelli ha stigmatizzato le parole di Tajani, ricordando tutte le malefatte del fascismo, il prezzo pagato per le bonifiche e le altre "cose buone".
Ad un incontro del corso di politica della diocesi c'è stato uno scambio al riguardo tra alcuni corsisti e l'europarlamentare uscente Oscar Lancini, sul rischio di recrudescenza del fascismo.
Lancini disse qualcosa tipo: "Ma andiamo! Vi pare che ci sia il fascismo? Potete andare in giro, andare in vacanza, fare quello che volete, nessuno vi viene a prendere a casa!"
Questi fatti mi hanno dato da pensare, riguardo alla percezione del fascismo.

Io sono tendenzialmente un "nominalista", cerco di stare attento alla correttezza del linguaggio e a diffidare dalle amplificazioni di significato. "Fascismo" è il nome di un fenomeno storico ben definito, che ha avuto alcune caratteristiche (la violenza, il carattere discriminatorio, l'intolleranza verso l'opposizione, l'essere di destra, il militarismo, il plebiscitarismo e il rifiuto della democrazia elettiva e rappresentativa, il nazionalismo, il centralismo...). E' difficile definire quali di questi elementi siano quelli che definiscono il fascismo, in modo tale da poter applicare la definizione ad altri fenomeni che presentino questi stessi elementi. Le dittature franchista e salazarista sicuramente hanno presentato tutti questi elementi, perciò l'assimilazione al fascismo è comunemente accettata. Il nazismo ha sviluppato anche altri fattori specifici (la componente razziale, l'efficientismo, il totalitarismo). Il comunismo aveva elementi propri a livello di ideologia (nel senso che il comunismo un'ideologia ce l'aveva, il fascismo no), ma senz'altro ha condiviso gran parte delle caratteristiche di cui sopra. In generale, invece, diffido da chi usa "fascista" in modo allargato, affibbiando questo epiteto qua e là a Berlusconi, Renzi, Grillo eccetera. Preferirei che si usasse una definizione più specifica, legata a quale delle caratteristiche ci si riferisce: "intollerante", "populista", "violento" o che altro.

Passiamo ora alla questione del "fascismo ha fatto anche cose buone".
Tecnicamente è un'ovvietà. Come si dice anche di Hitler, "avrà pur detto buongiorno a qualcuno, qualche volta". E' impossibile che un regime durato vent'anni non abbia combinato nulla di buono. Il fascismo ha fatto quello che hanno fatto altre nazioni nella stessa epoca (infrastrutture, welfare), anche per rispondere alla crisi mondiale del 1929. Anzi, il fascismo ottenne una crescita del PIL in linea col resto d'Europa, ma con una prima esplosione del debito pubblico. Potremmo dire che le bonifiche, le autostrade, le pensioni arrivarono nonostante il fascismo, non grazie ad esso.

Però spesso anche solo nominare quelle cose è tabù. Il fascismo è il male assoluto, come disse Gianfranco Fini.
Mi chiedo però se capiamo cosa vuol dire "male assoluto". Io posso essere d'accordo perché il fascismo agisce negativamente su quello che è un "bene assoluto" per la persona: la sua libertà e la sua capacità di pensiero critico. Queste non possono essere barattate nemmeno per un benessere materiale diffuso, in linea di principio.
Però ho paura che descrivere il fascismo e Mussolini come Belzebù, come l'uomo nero dei bambini, come male assoluto in ogni senso, porti con sé il rischio di immaginarsi una faccia del fascismo "troppo brutta per essere vera". Un po' quello che fa Lancini nel ragionamento che citavo in apertura: il fascismo è qualcosa di così brutto che non si può andare in giro, che ti controllano e ti bastonano ogni volta che esci di casa, eccetera. Se l'immagine è questa, allora certo che non c'è il fascismo. Ma se l'immagine è questa, allora nulla si spinge tanto avanti da arrivare lì, forse solo il genocidio in Ruanda o il fronte di Stalingrado. Se l'immagine è questa, allora nulla è fascismo, e magari il fascismo non è mai esistito. Non è che nel Ventennio non si potesse uscire di casa. Si lavorava, si facevano compere, si andava in vacanza, si leggevano i giornali, si comprava l'auto nuova. Il fascismo agiva su campi ben specifici, come ho scritto prima: sul potere e sulla libertà di opposizione (vedi Matteotti). Questo articolo, che offre molti spunti - seppure io non lo condivida al 100% - usa del fascismo questa definizione, tratta da Roland Barthes:
Il fascismo è obbligare a dire.
E' "facile" opporsi al fascismo quando degenera in guerra, o nelle sue rappresentazioni più estreme. Bisogna invece prestare attenzione al fascismo quotidiano, che non è Belzebù. E' più subdolo. Bisogna fare attenzione ai rischi di fascismo anche in mezzo alle bonifiche, ai treni vacanza, al sabato non lavorativo, alle vittorie della Nazionale di calcio. In questa interessantissima discussione ho letto una citazione di Pasolini:
Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.
Qui si suggerisce una riflessione in più: il fascismo come sdoganamento dell'egoismo. Non credo che le due cose coincidano, se no saremmo all'ur-fascismo di Umberto Eco, per cui il fascismo è una specie di condizione connaturata all'uomo. Non sono mai stato d'accordo, nel senso che allora va a finire che tutto è fascismo - e quindi nulla è fascismo.
Però penso che si possa dire che lo sdoganamento dell'egoismo è un prerequisito del fascismo.
Ma penso anche che finché non c'è coercizione, allora non c'è fascismo.

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