lunedì 6 maggio 2019

Mali d'Africa

Sabato ho partecipato all'ultimo incontro della SFISP 2018-19, prima della conclusione con il Vescovo.
Brava come sempre Milena Santerini, è sempre interessante un contributo dall'"interno" delle questioni che si trattano, e la comunità di S. Egidio è sicuramente in prima linea nella gestione dell'immigrazione.
Ma sicuramente il pezzo forte della giornata è stata la testimonianza dei due migranti, provenienti dal Gambia e dalla Guinea. Storie diverse, ma con tratti simili, che non ripercorro per filo e per segno. Ne ho ricavato alcune impressioni sui mali dell'Africa e sulle storie di migrazione.
  • Sempre lotte etniche. Quasi tutte le storie che si sentono cominciano da lì. Dall'Etiopia al genocidio ruandese, dalle tribù libiche alla guerra contro i berberi, dovunque ci sono conflitti tra etnie, tra maggioranze e minoranze. Possibile che siamo sempre lì? Anche dopo 60 anni di indipendenza? Possibile che non si capisca che non si va da nessuna parte, in questo modo? Si dice che, tra di loro, gli africani siano parecchio razzisti. A giudicare dai continui conflitti etnici, sembra che ci sia del vero.
  • Certo, gli europei hanno le loro colpe. Quei confini tracciati a tavolino, senza tenere conto di nulla, sono stati un enorme errore. Però è anche vero che l'Africa non ha mai conosciuto secoli di formazione degli Stati nazionali, come invece è accaduto in Europa, anche al di là dei confini tirati col righetto.
    E lo Stato nazionale, da noi (ma praticamente ovunque) è stato un veicolo di sviluppo e di progresso. L'Africa è quindi di fronte alla sfida di inventare una nuova via per lo sviluppo, che non passi per lo Stato-Nazione (che ormai non va più tanto di moda nemmeno da noi).
  • Dittatori, problemi politici, guerre civili...
    L'Africa non ha nemmeno una classe dirigente affidabile. Quando in Europa (Tajani mi pare sia stato l'ultimo) si parla di "piano Marshall" per l'Africa, mi chiedo chi dovrebbe gestire quei soldi. Tanto più che ci sono delle belle differenze, rispetto ai 13 miliardi di dollari del 1950: l'Africa ha una struttura produttiva ben più arretrata dell'Europa occidentale di allora, pur con tutte le distruzioni belliche, e il numero di persone da aiutare è molto più elevato. Chi paga?
    Per qualcuno dovremmo andare noi in Africa a gestire i soldi. Ma non è una sorta di neocolonialismo? Un po' quello che fa la Cina...
    Mi chiedo invece perché in Africa le dittature non "funzionino". In Corea del Sud o a Singapore, dittature decennali hanno costruito società prospere e relativamente democratiche. Forse perché erano "eterodirette"?
  • Alla fine si passa sempre dalla Libia. E lì succede di tutto. A qualcuno va "bene", se la cava con un po' di sfruttamento lavorativo e poi riesce a partire. Qualcun altro viene schiavizzato e torturato. Non mi capacito di come si possa non credere che queste cose succedono davvero.
  • Allo stesso modo, però, mi stupisce molto che chi parte - persone che hanno qualche soldo in tasca, che hanno qualche forma di studio, che hanno gli smartphone con accesso a Internet, magari che lavorano, insomma gente che non esce dalle capanne sugli alberi -  dica: "Ci dicevano che in Libia si sta meglio, si può lavorare". Come è possibile credere a queste cose? Dopo anni di drammi e di tragedie? 
  • Forse scommettono sul fatto che a qualcuno tutto sommato va bene? Forse ormai non esistono strade alternative, perché tutti fanno quella via, perché l'assenza di uno Stato in Libia permette ai trafficanti di agire indisturbati mentre altrove gli Stati rendono più difficile il passaggio? Perché faccio fatica a credere che uno scappi da casa propria dicendo "Non avevo intenzione di venire in Italia". Cos'è, poi ci si trova in una specie di "corrente"?
In ogni caso, si tratta di situazioni di non facile - anzi: di impossibile soluzione. Ci vorranno decenni, durante i quali - come per l'Italia e l'Europa durante la faticosa crescita economica - l'emigrazione non si fermerà.
Resta l'incognita culturale: credo di averlo già scritto, si tratta della prima migrazione da un posto meno popolato a un posto più densamente popolato.

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