mercoledì 17 febbraio 2021

Fratelli tutti

Come detto, ho letto l'enciclica Fratelli tutti.

Mi sono fatto una serie di appunti, per lo più slegati tra di loro.

C'è stata qualche polemica, all'uscita dell'enciclica, da parte dei soliti ambienti conservatori perché papa Francesco avrebbe parlato poco di Dio, di Gesù, di religione.
Non si può dire che non sia vero, ma intanto non sono per nulla assenti, e poi bisogna sempre tenere presente che papa Francesco usa le encicliche per parlare a tutti. Non per nulla ha scritto solo encicliche sociali. Se vuole parlare ai cristiani scrive altri tipi di documenti.

Ma non bisogna trascurare che un intero capitolo è dedicato alla parabola del Samaritano, e che gran parte della trattazione ruota intorno a questo. Dire che manca Dio mi sembra ingeneroso.
Tra l'altro la memoria mi riporta a Luciano Monari, che in una bella catechesi sulla politica aveva scelto di partire proprio dalla parabola del Samaritano.

L'enciclica, specialmente nella prima metà, è un sunto di posizioni già espresse dal Papa in varie circostanze. Infatti si cita tantissimo, è un po' un collage.
Comunque, di seguito i miei appunti.

  • Nel primo capitolo si sottolinea l'importanza di mantenere le radici, la tradizione, e di rifuggire dall'imitazione culturale che diventa colonizzazione. Detta così la cosa sembrerebbe fare a pugni col rifiuto del relativismo (che è trattato più avanti, per esempio al punto 206). Ma nella testa di Francsco il discorso è chiaro: è quello del "poliedro", un unione di elementi che mantengono la loro specificità senza omogeneizzarsi ma non per questo non stanno insieme.
  • Interessante, ai punti 44 e seguenti, l'osservazione che i social e il processo di disintermediazione digitale ha finito per sdoganare cose prima indicibili: "Quello che fino a pochi anni fa non si poteva dire di nessuno senza il rischio di perdere il rispetto del mondo intero, oggi si può esprimere nella maniera più cruda anche per alcune autorità politiche e rimanere impuniti." (Sorvoliamo sull'italiano zoppicante di quel "per" al posto di "da parte di").
  • L'esegesi sulla parabola (capitolo secondo) è molto interessante. Mi è piaciuto il passaggio (69) in cui il Papa dice che man mano ci immedesimiamo con tutti i personaggi della parabola: il ferito, il samaritano, gli indifferenti, e anche i briganti.
  • Il terzo capitolo, che parte da un amore "personale" per allargarsi a un amore "universale", mi è piaciuto molto. Interessante la parte sul "mondo di soci" (101-102), indovinata la declinazione della triade liberté-egalité-fraternité che avevo già letto in Sturzo, in cui Francesco recupera l'importanza dell'aspetto morale, in consonanza con Benedetto.
  • Al punto 117 c'è il legame più esplicito con Laudato sì: la cura ecologica è intrinsecamente attenzione ai lontani. E' così ovvio da diventare una cosa a cui non si pensa.
  • La quinta parte riguarda la politica. Si comincia con un parallelo tra populismo e liberalismo (155), che poi viene fortunatamente corretto in liberismo o neoliberismo. D'altra parte è lo stesso Papa che rifiuta l'assistenzialismo (i piani assistenziali devono essere a termine, 161, perché il superamento dell'inequità richiede lo sviluppo dell'economia).
  • Al punto 168 c'è un pungente accenno alla presunta "fine della storia" di Fukuyama.
  • Più in generale, Francesco sottolinea la naturale tendenza dell'uomo all'egoismo (166). E' vero che questo si inserisce pienamente nella tradizione cristiana sul peccato e - come scrive il Papa - la "concupiscenza", ma fa un certo effetto vederselo squadernato davanti. E' pure un po' controcorrente.
    Politicamente, non ho mai capito se considerare l'uomo intrinsecamente buono è di sinistra ("buon selvaggio", il fatto di fidarsi che nessuno si approfitti della disponibilità eguale comunista) o di destra (basta lacci e lacciuoli, fidiamoci del mercato e della beneficenza).
    All'atto pratico però entrambe le parti finiscono in un sistema di controllo e "legge e ordine", quindi poco cale.
  • La parte sulla governance internazionale è nel solco della storia della dottrina sociale della Chiesa, da Giovanni XXIII in poi (ma anche prima, in alcuni auspici di Pio XII dopo la guerra).
  • Più originale è invece l'accostamento del popolo al concetto di "mito", che ricorre in tutto il capitolo (e che non credo di aver capito bene, se non nel senso di "mito fondativo", di "cultura popolare locale" che dice un'identità, ma chissà se è giusto).
  • Francesco scrive che la carità deve essere incardinata nella verità (184), e che la verità è garanzia di universalità dei diritti. Come sosteneva Benedetto, che richiama spesso.
  • Mi è piaciuto molto il punto 197, a chiusura del capitolo sulla politica, con le domande che un politico si porrà in una prospettiva di valutazione della vita. Queste sono da tenere a mente.
  • Il discorso sulla verità prosegue poi in un certo senso nel quinto capitolo, in cui dice che la verità va ricercata nel dialogo: escludiamo tutto ciò su cui non siamo d'accordo, ciò che resta deve essere vero (almeno io leggo questo nei punti 211 e seguenti). Ma così non diventa una verità per sottrazione?
  • Interessante il passaggio (209) in cui il relativismo è inteso come possibile elemento di sopraffazione da parte delle élites.
  • Il settimo capitolo è molto interessante per inquadrare meglio Francesco, che non è così "buonista" come viene dipinto alcune volte (pensiamo a quelle parole sul "se insulti la mamma ti arriva un pugno"). Il papa non rifiuta il conflitto, anzi lo trova fecondo e alcune volte inevitabile per stare dalla parte della giustizia (come nella citazione di Centesimus Annus al numero 240).
  • Al punto 250 Francesco declina a modo suo l'espressione "perdono ma non dimentico", che di solito ha una connotazione negativa. Invece la memoria di quanto accaduto, purificata dal perdono, è condizione per un perdono sincero; così come è prerequisito per il perdono il fatto che l'oppressore smetta di opprimere l'oppresso (241).
  • Sulla parte riguardante pena di morte ed ergastolo ho già scritto.
  • L'ottavo capitolo, quello sulle religioni, è probabilmente quello che piace meno ai tradizionalisti. Da una parte Francesco ribadisce che non si tratta di nascondere le proprie convinzoni (282), e rivendica con una certa forza l'identità cristiana (277 segg.).
  • D'altra parte però evita di proporre questa identità come modello per tutti. Noi ci abbeveriamo al Vangelo, ma "altri bevono ad altre fonti" (277). Questa è probabilmente la frase "simbolo" delle contestazioni che vengono da parte tradizionalista: accostare il Vangelo ad "altre fonti", apparentemente senza una preferenza. L'interpretazione che Francesco dà del termine "cattolico" è "aperto alla comunione universale" (277-278).

Nota di colore: nella prima parte ho notato un uso curioso delle avversative e dei "ma". A volte il testo è scritto in modo che si afferma una cosa, poi ci si aspetta una riflessione di segno diverso, e invece si conferma.
Si veda ad esempio il punto 42, che parla dei difetti della comunicazione digitale. Il numero 43 inizia con "D'altra parte", e prosegue... parlando ancora dei difetti dei media digitali. Lo stesso effetto si ha in altri punti, che purtroppo non riesco ora a ritrovare.

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