venerdì 12 giugno 2020

Di statue e di morale

La polemica di questi giorni riguarda l'abbattimento delle statue.
Mi pare che sia un discorso che ritorna ciclicamente. Onestamente mi sembra che gli si dia troppo spazio.
Le statue, le vie sono simboli dal valore relativo; se c'è una statua o non c'è non è che mi cambia la vita.
Da una parte è vero che le società hanno bisogno di simboli, dall'altra parte non credo che uno diventi razzista perché in una cittadina inglese, Bristol, c'è una statua di tale Colston. Probabilmente questi simboli hanno senso al momento della deliberazione, della costruzione, ma poi man mano che passa il tempo diventano degli "elementi d'arredo". Tantissime persone vivono in vie dedicate a personaggi storici "minori" di cui non sanno nulla. Allo stesso modo, la demolizione può essere importante al momento, ma non cambierà la società a lungo andare.
Fatta questa premessa relativizzante, dico che per me la via migliore è sempre quella della contestualizzazione e della problematizzazione. In Italia abbiamo esempi illustri, dalla casa della GIL a Roma al Monumento alla Vittoria di Bolzano. Esempi ben riusciti di come si possa usare un monumento discutibile per fare una riflessione.
La statua di Colston raffigura(va) una persona che diresse una compagnia che trattava schiavi e, contemporaneamente, un benefattore e filantropo. La si poteva usare per chiedersi "com'è possibile che le persone considerassero normali sia lo schiavismo che la filantropia?", magari con delle scolaresche in visita. Questo potrebbe stimolare molte riflessioni. Chiedersi: "perché lui non applicava la mia morale?" serve per esempio a interrogarsi onestamente su quanto la morale sia universale.

La risposta potrebbe essere: "perché la nostra morale non ha un valore al di fuori del nostro tempo". Oppure qualcuno potrà rispondere: "perché come nei secoli capiamo molte più cose di medicina, di scienza; come la medicina e la scienza di oggi sono migliori di quelle di secoli fa; lo stesso vale anche per la morale".
Allo stesso modo, ho visto questa bellissima foto del monumento (rimosso) al generale Lee di Charlottesville.


Questo monumento ha già cambiato senso, con tutte quelle scritte. Anche con la statua al suo posto, pensiamo come potrebbe essere affidando a degli street artist la decorazione del basamento e magari con un palco, un luogo per eventi, affidato a qualche associazione di promozione della black heritage. In quel modo due parti della tradizione, della storia della Virginia si sarebbero trovate a dialogare. Senza ingiuste equidistanze, ma senza rimozioni che sanno di negazione.
Come successo per il monumento all'Armata Rossa di Sofia.

Probabilmente in Italia c'è una mentalità diversa, dovuta alla minore attitudine alla lotta cruenta (che necessita di momenti palingenetici come l'abbattimento di statue) e anche alla cultura del monumentale, per cui qualsiasi cosa più vecchia di 50 anni è intoccabile.
Ma la furia iconoclasta ha anche un lato oscuro perché giustificata da una forma di morale che non per forza può essere condivisa. Sempre da qui:
Proust aveva una discreta gamma di perversioni sessuali; le dovete accettare in blocco prima di leggere la Ricerca? Oppure potete leggere l’Opera indipendentemente dal vostro personale giudizio morale sulla sessualità del poeta? Picasso, Hemingway, per citare i primi due che mi passano in mente, sono stati maschilisti a tutto tondo, che oggi sarebbero screditati, rovinati dalle nazi-femministe di #MeToo. Sputiamo sulle opere di Picasso e chiediamo il ritiro del Nobel al secondo?

Ciascuno degli artisti nominati in questo paragrafo viveva la sua epoca secondo condizioni, possibilità, vincoli (o assenza di vincoli) differenti da quelli contemporanei, misurava il mondo con altri pesi e misure, e semmai viveva con dramma interiore le sue debolezze, lacerandosi semplicemente nelle contorsioni dell’esistenza umana, della sua condizione, certamente dilatata dalla sua stessa genialità.

Cosa succede, quindi, abbattendo la statua di Colston oggi, semmai distruggendo le tele di Picasso domani, o mettendo all’indice le opere di qualche autore considerato indegno secondo criteri morali di una parte di opinione pubblica? Succede che apriamo le porte per la dittatura della morale. O meglio: apriamo le porte per la dittatura degli interpreti di una determinata morale, che decideranno chi è giusto e chi reprobo, decideranno come riscrivere la storia passata e quindi quale storia futura sia giusto perseguire, decideranno cosa leggere, cosa mangiare, come scrivere in modo “corretto”, come comportarsi, e scopriremo che la scalata al potere dei giusti porterà a sempre maggiori divieti, alla restrizione degli spazi, perché i giusti troveranno il male in zone sempre più ampie ed estese della nostra vita.
Chiaro que questa è una slippery slope, non sarà una singola statua (come scrivevo all'inizio) a instaurare la dittatura della morale. Ma è sempre buona cosa chiedersi se i principi che guidano le nostre azioni potrebbero essere universali, o se invece ci stiamo prendendo una deroga ai principi universali di tolleranza e libertà di espressione.

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