mercoledì 28 gennaio 2015

Libertà di espressione, libertà di religione, responsabilità

Perciò io vi dico: ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini
(Mt 12,31)

Ho riletto in questi giorni questo passaggio del Vangelo, mi sono venute in mente le vignette di Charlie Hebdo e in particolare l'ultima. Da qui mi è venuto lo spunto per mettere per iscritto qualche pensiero sparso e confuso su quanto accaduto in Francia ormai qualche settimana fa, su cui non sono ancora riuscito a farmi un'idea compiuta.

Diciamo che la cosa che - fin da subito - mi ha convinto poco è l'interpretazione dell'attacco alla libertà d'espressione.
Mi spiego: gli attentatori, i fratelli Kouachi, erano ex combattenti in Siria, persone abituate a uccidere, che avevano vissuto dalla parte dell'ISIS il conflitto in cui è impegnata anche la Francia.
Erano quindi persone abituate ad uccidere, ma non a organizzare "di fino" le azioni: si è visto che la fuga non era stata programmata e che hanno commesso alcune ingenuità come lasciare in giro i propri documenti.
Secondo me l'intenzione dei terroristi era quella di colpire genericamente la Francia, e hanno scelto l'obiettivo più facile. Se avessero potuto colpire qualche obiettivo più grande (un politico di punta, per esempio, o una caserma, o compiere un attentato su vasta scala) secondo me avrebbero scelto quello, ma non ne avevano le forze e le capacità, quindi hanno scelto l'obiettivo più fattibile.

Comunque, questa è solamente un'impressione, e sta di fatto che Charlie Hebdo è entrato in questa ipotetica lista di obiettivi per le sue vignette, quindi per un motivo che tira in ballo la libertà di espressione.
Sull'argomento io la penso come il Papa: la libertà di espressione non è libertà di offendere, specie quando le offese sono gratuite e di cattivo gusto. Sì: esiste anche la categoria del buon gusto e del cattivo gusto.
La quale non è un fatto legale, certo, quindi non posso denunciare Charlie Hebdo per cattivo gusto. Ma l'offesa invece lo è, così come l'oltraggio (in questo caso alla religione).


Qui si apre tutto il filone che riguarda i reati di opinione: il rispetto di un'idea vale come il rispetto di una persona? Questione difficile. Tendenzialmente sono contrario ai reati di opinione, ma se qualcuno si sente personalmente offeso, nel suo intimo, da un'idea espressa in modo poco rispettoso, probabilmente è giusto che possa adire al giudice.
Secondo me questo va visto più nell'ottica di un singolo che viene offeso, che non di un'idea: sarà il musulmano - per esempio - a denunciare Charlie Hebdo perché si sente offeso, e il giudice deciderà se il messaggio presunto offensivo e soprattutto il modo è un'esposizione argomentativa di un pensiero liberamente espresso o una offesa punibile. Tra l'altro in questo modo si evita di compiere pericolose generalizzazioni ("La Francia offende i musulmani!"), e si delinea molto meglio la responsabilità personale che ciascuno si deve prendere per quel che sostiene.

Quindi: no ai reati di vilipendio e oltraggio, sì alla possibilità di chiamare in giudizio qualcuno se ci si sente offesi nelle proprie convinzioni personali, e che sia la giustizia a soppesare i singoli casi, i toni, i modi e i contesti: trovo difficile che si possa tipizzare, bisognerà distinguere caso per caso.

Poi è chiaro che nessuno può comunque essere ucciso per questo. Se Je suis Charlie vuol dire rivendicare la libertà a non subire punizioni al di fuori della legge per le proprie espressioni, e in questo caso la libertà di non essere addirittura uccisi, allora posso essere d'accordo.

Se vuol dire libertà di dire tutto e di tutto, senza nemmeno prendersene la responsabilità (nei modi stabiliti dalla legge) allora non sono d'accordo. E se ne è accorta anche la Francia, con il caso Dieudonné.

Tra l'altro non capisco come ci possa essere consonanza tra i vari Je suis Charlie di casa nostra e i sostenitori della legge sull'omofobia, e più in generale della legge Mancino.
Non vedo perché qualcuno dovrebbe avere il diritto di non vedere dileggiato il proprio orientamento sessuale, mantre qualcun altro possa veder dileggiata la propria religione.

Altra cosa che mi lascia un po' interdetto è la timidezza su quella forma della libertà di espressione che è la libertà di esprimere la propria religione.
Non vedo perché non ci si indigni allo stesso modo per Asia Bibi, o per quei musulmani che non vedono riconosciuto il diritto a costruirsi una moschea con tutti i crismi.
Si dirà: perché nel caso Charlie sono state uccise un sacco di persone, è tutta un'altra cosa!
Va bene, allora indignamoci e facciamo manifestazioni per le stragi di Boko Haram, o le vittime della rabbia contro le chiese in Niger.

Queste cose sono meno gravi? Forse sì. O forse no.
Se si risponde di no (anzi!) allora devo pensare che semplicemente facciano meno notizia. E allora dovremmo interrogarci sulla nostra coscienza, sulla nostra capacità di difendere i diritti e di indignarci in maniera uguale per tutte le violazioni dei diritti.
Però capisco anche chi dice che un attacco portato nel cuore di Parigi è più grave, perché mette in discussione certezze laddove la libertà è - più o meno - già conquistata, mentre in Niger, Camerun, Nigeria, Siria la libertà è ancora di là da venire. Insomma, Charlie Hebdo sarebbe la spia di un arretramento, per questo sarebbe più grave.

Sulla libertà d'espressione avevo già scritto qui e qui.

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