lunedì 16 giugno 2014

Sulla corresponsabilità laicale

Lunedì scorso c'è stata l'assemblea della Comunità Educativa dell'Oratorio. La settimana precedente c'è stata la riunione di segreteria. Ieri si è riunito il Consiglio Pastorale Parrocchiale per la verifica di fine anno.

Durante l'assemblea CEO, il parroco ha invitato i presenti a esprimersi, a intervenire, a mostrare le perplessità che eventualmente hanno. Don Renato ha detto che gli pare strano che in privato molti parlino con lui e gli esprimano dei dubbi, dei pareri, mentre in pubblico nessuno interviene.

Mi dicono che la stessa cosa accade in Consiglio Pastorale, in cui i contributi da parte dei laici sono pochi, persino in sede di votazione, quando si vota sempre a favore delle proposte avanzate. E' la stessa esperienza che ebbi io nel mio mandato di consigliere.

Perché queste difficoltà negli organi di corresponsabilità laicale?

Un po' ha ragione don Renato: non c'è il coraggio di metterci la faccia. Parlando con alcune persone, che sapevo avrebbero avuto qualcosa da dire in merito alle questioni dibattute, queste mi hanno detto che non se la sentono di parlare in assemblea, o che "no no, io non dico nulla, se no poi non mi guardano più in faccia" oppure "non voglio litigare col prete" o cose simili.
Secondo me questo è un atteggiamento che sottovaluta profondamente la maturità della comunità e del sacerdote. Si teme una reazione piccata, da bambini piccoli. A me pare invece che tra persone adulte ci si possa dire le cose, argomentando, spiegandosi, anche senza essere per forza d'accordo e restando delle proprie opinioni. Io (proud winner of the Rompi of the Year 2012 award) sono la prova provata di quello che scrivo.

Un po' c'entra la natura stessa degli organi parrocchiali (o oratoriani), che sono consultivi e non decisionali. La Chiesa - giustamente - non è una democrazia, e per quanto si possa discutere alla fine se il prete dice A è A, anche se il consiglio dice BCDEFGHZ. Alla fine qualcuno si sente meno stimolato a discutere, percependo il proprio intervento come inutile.
Per questo sarebbe importante il modo di porre le questioni. Per la mia esperienza, quando si deve decidere qualcosa o trattare un argomento nelle assemblee di solito viene portata dal sacerdote una proposta preconfezionata, che dovrebbe fare da base di discussione, ma che finisce per essere approvata così com'è perché è la proposta del prete.
Non mi pare di ricordare molti casi in cui l'approccio sia: "Consiglio, c'è questo problema/questione/argomento da affrontare, e io non so bene cosa fare al riguardo. Voi che suggerimenti mi date?". Potrebbe essere un tentativo.

Certo non mi sfugge la necessità di garantire un'efficienza ai vari Consigli: a fine serata bisogna arrivare a definire le cose. Però a questo punto se la spinta della necessità di decidere porta al funzionamento che conosciamo tanto vale evitare le riunioni.
Probabilmente è proprio per questioni di praticità che alla fine non ha funzionto nemmeno l'idea di don Renato di affidare a un laico la vicepresidenza del CPP: mi pare che col tempo si sia perso il suo coinvolgimento nella parte preparatoria, e di fatto il suo ruolo sia stato abbastanza trasparente.
Per migliorare un po' l'efficienza del CPP, secondo me, potrebbe aiutare il fatto di renderlo più snello. Meno persone invece della trentina di attuali potrebbero discutere con più costrutto, con meno vergogna (una platea più piccola), avendo il tempo di intervenire tutti. Inoltre forse sarebbero elette persone più motivate, e non solo cooptate spesso controvoglia per tappare "buchi" di rappresentanza (mi servono più giovani, o più donne, o più gente di questa-quella zona). Per lo stesso motivo sono contrario ad ampliare il CDO.
Certo, questo vuol dire che il CPP o il CDO non possono essere intesi come un bacino d'utenza per trovare gente che "fa" qualcosa, che deve anche realizzare le iniziative proposte. In questo senso capisco che avere meno gente non è utile. Però, per evitare la spremitura dei soliti noti, in vista anche delle costituzioni degli organi di Unità Pastorale, sarebbe utile dimezzare i componenti a ciascun organo.

Altra cosa importante potrebbe essere attenuare la sensazione d'inutilità dovuta alla funzione solo consultiva, dimostrando per esempio da parte del sacerdote di essere capace di cambiare idea su qualcosa (magari di non fondante per la pastorale), in accoglimento del suggerimento dell'assemblea. In cinque anni di CPP io non ricordo di aver mai visto i parroci cambiare idea. Magari ho visto scenate perfino eccessive sul "Consiglio che non ha fiducia nel parroco", ma mai un'idea cambiata.

A questo proposito, nella mia esperienza ho notato che il concetto del sacerdote di "corresponsabilità" è - secondo me - un po' particolare. Il sacerdote è pronto a dare al laico carta bianca, a patto che il laico faccia quello che vuole il sacerdote e persino nel modo in cui lo farebbe lui.
Su questa cosa bisogna camminare. Capisco che il sentiero è stretto, e che il responsabile ultimo (legale, ma soprattutto pastorale) è il prete, o il parroco stesso. Però se si chiede corresponsabilità bisogna anche lasciare una certa libertà. Libertà d'azione all'interno di una cornice scelta insieme, ma in quella cornice libertà vera, non "marionettismo".

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