venerdì 4 aprile 2014

Un altro incontro sull'omosessualità (2)

Prosegue da qui.

Infine, il quarto “mito” della propaganda gay, che è anche il più controverso. Don Funazzi sostiene che non si possa affermare che essere omosessuale è una cosa assolutamente normale.
E’ chiaro che questa affermazione è alquanto controversa. Per qualcuno è “solo” politicamente scorretta, qualcuno potrebbe definirla omofoba. Certamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità non è d’accordo: come ci dice lo stesso relatore, l’omosessualità è oggi classificata come una variante naturale del comportamento umano.
A favore della differenza tra omosessuali ed eterosessuali sono state portate alcune statistiche: tra i gay ci sarebbe una maggiore propensione alla depressione e ai suicidi, oltre ad un’incidenza maggiore del virus HIV.
Mi sembra che queste argomentazioni siano un po’ povere. Come dicono i gay, le difficoltà psicologiche possono essere dovute a fattori ambientali (stigma sociale, discriminazione, difficoltà ad accettarsi), e non all’omosessualità in sé. Don Maurizio osserva che le malattie psichiatriche incidono anche in Paesi gay-friendly come l’Olanda, perciò non è colpa dell’ambiente. In realtà per valutare se ciò è vero bisognerebbe confrontare l’incidenza delle patologie tra vari Paesi, e non solo la loro presenza o assenza: se in Olanda esse ci sono, ma sono meno che in Italia, potremmo dire che forse hanno ragione gli attivisti LGBT, visto che anche in Olanda la mentalità sarà più aperta, ma immagino che ci sarà ancora strada da fare anche lì.
L’argomentazione della maggiore incidenza di HIV mi pare davvero una sciocchezza: è ben noto che l’atto omosessuale maschile è più traumatico e a rischio sanguinamento dell’atto eterosessuale; inoltre gli omosessuali – culturalmente meno inibiti, proprio perché al di fuori dalla mentalità più tradizionalmente perbene – vivono statisticamente una maggiore promiscuità. La maggiore esposizione all’AIDS è dovuta quindi a un fatto meccanico e culturale, non intrinseco all’omosessualità. Sostenere che l’omosessualità non sia normale per questo è come sostenere che avere la pelle bianca e non nera non è normale perché tra i bianchi c’è un’incidenza molto più alta di scottature: certo che si è naturalmente più esposti, ma non mi pare una motivazione per dire che si è anormali! A ulteriore riprova che correlare l’HIV all’omosessualità in quanto tale è falso, le omosessuali donne (lesbiche) non hanno questo problema. Il fattore di rischio è il sesso anale, da chiunque sia praticato.

Con tutto ciò, l’omosessualità è normale? Credo che si debbano distinguere gli omosessuali dall’omosessualità come concetto. Gli omosessuali, o l’essere omosessuale per una persona secondo me può essere assolutamente normale. Se questa persona sta bene con sé stessa non vedo fattori di anormalità, non me la sento di chiamarla “anormale”. Se una persona poi non sta bene con sé stessa, non si accetta, allora questo non è normale, ma è un problema di egodistonia, come ci ha spiegato anche don Maurizio. Egodistonia che può interessare anche gli eterosessuali e che può avere mille cause.

Amo usare al riguardo l’esempio dei mancini, che ho già introdotto prima: il mancinismo è un comportamento “non normale” nel senso statistico del termine (i mancini sono una minoranza), ma nessuno al giorno d’oggi (dopo secoli d’intolleranza verso la “mano del diavolo”) si sognerebbe di considerare i mancini anormali.
E però mi rendo conto che il paragone, che secondo me per molti versi calza a pennello, non è perfettamente adatto. Mentre il mancinismo è anormale solo da un punto di vista statistico, l’omosessualità in sé può essere considerata naturale? Secondo me, da un punto di vista strettamente evoluzionistico, questa è un’affermazione rischiosa: è evidente che l’aumento dell’incidenza dell’omosessualità in una popolazione va a discapito delle sue prospettive di espansione e, al limite, di sopravvivenza, e di solito la natura evolve in modo da evitare queste situazioni. Forse è in questo senso che va letta l’affermazione della Chiesa secondo cui l’omosessualità è contraria alla legge naturale e fuori dal progetto di Dio (ma su questo tornerò poi).
D’altra parte è evidente dalla storia che gli omosessuali sono sempre esistiti. Forse possiamo considerare naturale e normale una percentuale limitata di omosessualità tra gli esseri umani, e la natura pensa da sola ad autoregolarsi in questo senso.

Mi rendo conto però che si tratta spesso di “giochi di parole”: cosa intendiamo per naturale, cosa intendiamo per normale (intendiamo la norma statistica, ossia il valore più frequente? Oppure intendiamo qualsiasi cosa non sia patologico?) e via dicendo. Anche don Maurizio asserisce che non si parla assolutamente di omosessualità come malattia, ma – se non ho capito male – rivendica la possibilità di considerarlo un “disturbo”: e quindi giochiamo ancora sulle definizione di malattia, disturbo, farsi “curare”, farsi “aiutare” eccetera.

Don Maurizio ha infine accennato alla teoria del gender, secondo cui l’orientamento sessuale è pienamente nella disponibilità dell’individuo, che lo sceglie e lo può cambiare a piacimento (o quasi). Ha spiegato che questa è una posizione alla moda negli USA, non ancora in Italia dove si preferisce rimanere dell’opinione che “gay si nasce”, e che naturalmente come cristiani è una posizione inaccettabile, perché presuppone una completa separatezza tra la fisicità e l’emotività, mentre per il cristiano l’uomo è creato in spirito e corpo, inscindibili.

Da questa osservazione posso quindi intuire (con una deduzione mia, non esplicitata dal relatore) che l’opinione di don Maurizio sembra essere la seguente: non esiste l’omosessualità innata, ma il fattore ambientale-culturale ha un’importanza decisiva; quindi è possibile fare un percorso per modificare il proprio orientamento; visto che però non è accettabile scegliere in distonia con il proprio corpo, andando per esclusione l’unica possibilità “ammessa” è che i gay facciano un percorso di fuoriuscita dalla loro omosessualità. E in effetti ha insistito molto sulle varie esperienze e testimonianze in questo senso.

Don Funazzi, molto correttamente, ha comunque sempre ribadito che le sue esperienze e conoscenze non sono onnicomprensive, non esauriscono l’argomento, e che l’approccio con le persone gay va caratterizzato anzitutto dall’amore e dal rispetto, sempre senza forzature e giudizi. E questo – all’interno di un’esposizione in cui non mancano i punti critici – mi pare il vero punto di partenza da tenere a mente.

Visto che ne è uscita un’altra “articolessa”, tornerò una prossima volta sull’atteggiamento della Chiesa e del Catechismo sull’omosessualità.

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