sabato 5 aprile 2014

Omosessualità, catechismo, laici, Chiesa

Terzo capitolo dell'analisi iniziata qui e qui.

Era rimasto in sospeso il tema dell’atteggiamento della Chiesa rispetto alla omosessualità. Al riguardo don Maurizio Funazzi ha citato il catechismo della Chiesa Cattolica: al punto 2357 si legge che
la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale

Secondo la ben nota regola che prevede di distinguere il peccato dal peccatore, gli articoli seguenti parlano delle persone omosessuali. Al numero 2358 si legge che
Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

e al numero 2359 che
Le persone omosessuali sono chiamate alla castità

L'articolo 2357 è certamente il passaggio più duro, il più dibattuto. Ho già scritto nello scorso post che riesco a intuire cosa significa “contrari alla legge naturale”. Però la tendenza omosessuale, seppure “oggettivamente disordinata”, è sempre esistita. Da dove viene, se non viene dalla legge naturale e/o dal progetto di Dio?

Qui ci avviciniamo alla teologia, o forse alla teodicea. Io non sono un teologo, e mi vengono in mente solo due possibili risposte.
Ciò che è fuori dal progetto di Dio può nascere dal libero arbitrio di cui è dotato l’uomo: liberamente scegliamo di non aderire a questo progetto. Mi sembra però che nel caso dei gay questa cosa faccia a pugni con la questione dei condizionamenti ambientali o addirittura della predisposizione genetica all’omosessualità: che grado di libertà c’è in chi è condizionato?
Un’altra possibile risposta è che ciò che è fuori dal progetto di Dio viene dal Maligno, e dal suo intervento nella storia e nel mondo. Questo approccio definirebbe chiaramente l’omosessualità come male, come diabolica. Non mi sembra una posizione facilmente sostenibile al giorno d’oggi (sicuramente non è politicamente corretta), e non è una cosa che mi sentirei di esprimere a cuor leggero nel costruire una relazione con una persona gay. Con i discepoli mi viene da dire che “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” [Gv 6,60]. E’ anche vero che sappiamo che la Parola può essere scomoda e che la testimonianza non è sempre popolare.

Lasciamo allora la teologia (su cui magari chiederò qualche delucidazione a chi di dovere) e concentriamoci sui passi successivi. Con il punto 2359 torniamo laddove don Maurizio era partito: ai gay possiamo solo dare qualche pacca sulla spalla e l’esortazione “sii casto”? Pare di sì, a leggere qui.
Ma il passaggio fondamentale è nella prima parte dell’articolo 2358. Essa contiene quel rispetto, quell’amore, quella fratellanza e vicinanza che il relatore citava come necessari nell’approccio a una persona omosessuale (esattamente come ad ogni persona, tra l’altro). A domanda specifica don Funazzi ha spiegato che non si sentirebbe nemmeno di consigliare a un gay di farsi aiutare per eventualmente valutare un percorso di fuoriuscita dall’omosessualità: semmai questo potrebbe essere una proposta da fare dopo aver costruito una relazione, aver approfondito una conoscenza, aver percepito un bisogno. Mi sembra un approccio equilibrato: star loro vicini e affidarli alla grazia di Dio, che conosce l’uomo (e il proprio progetto) meglio di tutti noi.

Al termine di questa lunga dissertazione, due altre considerazioni. Durante l’incontro si è fatto notare che la Chiesa fa fatica ad esprimersi, nella sua componente consacrata, su questi temi, che spesso sono affidati ai laici.
Don Maurizio ha spiegato che il nostro Vescovo ha costituito un gruppo che si occupa di questo argomento, di cui tra gli altri fanno parte lui (responsabile della pastorale della salute) e don Giorgio Comini (responsabile della pastorale familiare). Mi chiedo: ha senso questa scelta? Pensare alla salute significa associare – volenti o nolenti – l’omosessualità a una malattia; sulla famiglia inoltre sappiamo qual è l’opinione della Chiesa.
Mi sembra insomma che affidare queste ricerche a dei sacerdoti, per di più “specializzati” soffra di un vizio in partenza: i sacerdoti potranno trarre delle conclusioni diverse da quelle che devono insegnare, a maggior ragione come responsabili di quegli ambiti della pastorale? Si rischia di lavorare avendo già in mente dove si vuole andare a parare, e quindi di scegliere ed analizzare i dati che servono a quello. Lungi da me pensare che don Maurizio Funazzi manchi di onestà intellettuale, ma c’è un oggettivo “conflitto di interessi”.

Mi sembra quindi doveroso che ci sia un’elaborazione su questi temi anche e soprattutto da parte dei laici, naturalmente alla luce del Magistero e magari insieme ad alcuni sacerdoti (vedrei bene dei parroci o curati che hanno esperienza “sul campo” ma che sono, per così dire, meno “esposti” a livello ufficiale).

Preghiamo lo Spirito perché illumini tutti noi, laici e consacrati che formiamo la Chiesa, e ci aiuti a declinare il comandamento dell’amore anche in queste situazioni impegnative.

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