lunedì 23 settembre 2013

Il marchese di Forlimpopoli

Fin da quando è entrato in carica il governo Letta mi sono stupito della sua capacità di spesa.

Niente di epocale, per carità, ma molti piccoli interventi, molti provvedimenti di rifinanziamento (missioni estere, cassa integrazione), moltissimi rinvii (prima rata Imu, aumento Iva, ora la nuova Imu), nessuno dei quali a costo zero.

Mi ero chiesto come facessero, da dove venissero i soldi. Avevo due ipotesi: che stessero spendendo l'avanzo lasciato da Monti e dal suo rigore, approfittando anche del calo dei rendimenti dei titoli di stato, oppure che essendo un governo politico e non tecnico avessero più accesso ad alcune leve da toccare e ritoccare su cui Monti non aveva "presa".

Ora Saccomanni ci informa che questi si sono giocati tutto quel che c'era in cassa.
Massima solidarietà al ministro, che si trova ad avere a che fare con gente come Epifani e Fassina, ma soprattutto Brunetta e Alfano. Gente che ciancia di abolizioni di tasse, di aumenti congelati, di coperture immaginifiche (consistenti praticamente tutte in spostamenti di soldi da un capitolo all'altro, con le perle degli anticipi a questi mesi di introiti incerti come quelli di dismissioni immobiliari o azionarie).

Nessuno che dica una parola di verità, che il rigore è ancora necessario, non era una fisima di Monti, perché decenni di spesa a debito non si cancellano con un anno di lacrime e sangue.

Letta ormai mi ricorda il Marchese di Forlimpopoli, il nobile ormai spiantato de La Locandiera che pretendeva di andare in giro a millantare credito in forza del suo nome, del suo titolo ("noi abbiamo la credibilità!"). Intanto il deficit è cresciuto oltre il 3%, e Letta ci spiega che non è che si sono mangiati tutto e hanno speso di più, noooo, è colpa dell'instabilità. E l'Europa se ne farà molto della credibilità di chi non mantiene i patti.

Però in fondo tutto questo ce lo meritiamo, con il 55% degli elettori che hanno votato per il populismo di Berlusconi e Grillo a febbraio.

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