mercoledì 10 luglio 2013

La durata della Santa Messa e le ricchezze della Chiesa (locale)

Domenica mi è capitato di partecipare alla celebrazione di una S. Messa nella nostra Chiesa parrocchiale, al termine della quale don Renato, come sua abitudine, ha tenuto un breve intervento prima della benedizione.

Più volte il Parroco ha detto a chi gli rimprovera questa abitudine che dovrebbe essere bello passare qualche minuto in più nella casa del Padre, e che a un cristiano non possono pesare quei due-tre minuti. Anzi, sarebbe giusto passare almeno un'ora in Chiesa nel giorno del Signore.

Io sono abbastanza d'accordo con queste affermazioni. Però mi sembra che si debba anche stare attenti al perché la Messa si allunga. A me piacerebbe per esempio - ne parlai a suo tempo con il mio padre spirituale - che la Messa si allungasse perché il sacerdote ne spiega in due parole qualche parte (intento pedagogico), perché si sceglie una preghiera eucaristica più adatta o più "bella" anche se più lunga, perché ci si concede un minuto o due di silenzio dopo l'omelia o la Comunione.

Se l'unico motivo di allungamento dei tempi è la parola del sacerdote, durante la predica o in altri momenti, credo che lo stesso prete debba saper valutare con umiltà se le sue parole sono davvero necessarie, o se invece non si tratti di un eccesso di protagonismo.

Non credo che sia il caso del nostro Parroco, intendiamoci: la maggior parte dei suoi interventi sono costruttivi e fanno riflettere. Quello di questa domenica, che invita a leggere e meditare le parole del Papa oltre i titoli ad effetto, ha tolto un alibi a noi cattolici: l'alibi della notizia appariscente, che ci esime con la sua "notiziabilità" che cattura l'attenzione dal lasciarci provocare dalla radicalità del messaggio.

A questo proposito, spero che queste parole di papa Francesco:
Quanto al primo, ha spiegato che l’annunzio del vangelo deve passare per la strada della povertà, per la testimonianza di questa povertà. «Non ho ricchezze, la mia ricchezza è soltanto il dono che ho ricevuto da Dio. Questa gratuità è la nostra ricchezza». Ed è una povertà, questa, che «ci salva dal diventare organizzatori, imprenditori»

spingano anche il nostro Consiglio Pastorale a meditare sul da farsi riguardo al patrimonio immobiliare della Parrocchia. Non sarebbe ora di liberarsi di tutte le proprietà improduttive, mettendole in vendita anche a prezzo basso?
Si tratta di proprietà che per ora sono sempre state solo un costo, in termini di tasse: si vendano, e si usi il ricavato per ripianare una parte dei mutui debitori in carico alla Parrocchia. Oppure se non ci sono acquirenti si vendano a prezzo simbolico al Comune, con un vincolo ad uso pubblico (parchi? appartamenti per disagiati?).

Sarebbe una buona occasione per ritirare le vecchie richieste fatte sul PGT. Smettiamola di fare gli imprenditori immobiliari...

Anche perché se il motivo che ci spinge a comprare gli immobili è che "se no ci arrivano i marocchini e gli albanesi", come sostenne un esponente del CPAE in una memorabile (in negativo) seduta del CPP per propugnare l'acquisto della casa confinante con la canonica, forse le parole papali di lunedì a Lampedusa potrebbero far venir meno questa nobile motivazione...

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