lunedì 29 aprile 2013

When in Rome

...do as the Romans do, dicono gli anglofoni.

Sono di ritorno da un ponte a Roma, prestando servizio presso S. Pietro per l'incontro mondiale dei cresimandi con Papa Francesco. Era la prima volta che prestavo servizio presso la basilica. L'impressione è stata che sia un mondo certamente esperto nella gestione dei grandi eventi, ma allo stesso tempo molto "italiano", seppur extraterritoriale, per molti versi.
Il sabato mi è capitato di vedere uno dei responsabili della Fabbrica di S. Pietro (quelli che lavorano in Vaticano) intrattenersi amabilmente con un ragazzotto che mi hanno detto dovrebbe essere suo figlio (o il figlio di un collega) e un'altra persona. Un bel quadretto rilassato e familiare, che però avveniva proprio di fronte a uno dei passaggi chiave del flusso di persone, che stavamo regolando per tenere distinti i turisti dai ragazzi in pellegrinaggio. Dopo qualche minuto di chiacchiere importanti discussioni, alla richiesta di spostarsi un metro più a lato, dietro una colonna invece che in mezzo al flusso, la risposta è stata: "Ahò, ma che vuoi, qui stiamo a lavorà! Trentasei anni di servizio e vuoi venire a dirmi quello che devo fare?".
La domenica, invece, dopo che la Polizia aveva chiuso i varchi di ingresso a piazza S. Pietro perché troppo piena, senza guardare in faccia nessuno e dividendo anche gruppi metà dentro e metà fuori, dietro la folla in coda che premeva (e protestava) per entrare si è presentata una giovane donna. Questa ha richiamato l'attenzione di un responsabile del colonnato, che evidentemente conosceva, e gli ha chiesto "Non si può proprio passare?". Questi le ha fatto cenno di presentarsi a un altro varco (quello per gli handicappati) e si è allontanato, immagino per andare a prenderla. Visto che la gente non è scema, alla donna si sono accodate una decina di persone: non so come sia andata a finire - io ero fermo a chiudere il mio varco - ma se queste hanno fatto un po' di casino, avevano ragione da vendere.

Più in generale, mi è parso che ci fosse una certa confusione in merito alle regole, a ciò che si poteva fare o non fare: le disposizioni cambiavano spesso, magari per iniziativa del singolo addetto all'organizzazione, che magari ne contraddiceva un altro, e venivano fatte spesso eccezioni. Anche a Brescia nei nostri servizi facciamo le nostre belle eccezioni, perché ogni regola va applicata con buon senso, ma abbiamo dei referenti che possono decidere e gestire le singole situazioni e una "scala gerarchica" a cui riferirci, non ognun per sé con la sua testa.
Inoltre ci è sembrato che chiunque fosse lì sul posto per lavoro si sentisse molto "compreso" nel suo ruolo e desideroso di far valere e notare la sua autorità (per quanto piccola). Molti atteggiamenti da "lei non sa chi sono io", insomma.

Per quanto riguarda invece la nostra esperienza di servizio, è stata bella. Anche ripensandoci a mente fredda, "bella" è l'aggettivo che la descrive meglio. E' stata una sintesi di tante esperienze di volontariato dello stesso genere svolte negli anni: la folla, il Papa, il gruppo di volontari.
Con il gruppo ci siamo trovati bene. Ormai siamo rodati, ci conosciamo alla grande, e anche chi si affaccia per la prima volta al servizio con noi non fatica ad inserirsi.
E' stato significativo a suo modo anche il fatto che le nostre mansioni - come capita spesso al volontario "generico", da manovalanza - non fossero note: la mattina venivamo assegnati ad un compito, che poi poteva cambiare secondo le necessità. Potevamo finire a fare servizio sul palco del Papa come fuori dalla piazza. Domenica è successo così, e qualcuno di noi, tra cui io e Francesca, non ha nemmeno intravisto il Papa. Ma poco importa: questo è lo spirito del volontario, "servo inutile", a disposizione per fare qualsiasi cosa serva.

Mi sono spesso chiesto come funziona questa cosa per cui fare volontariato mi riempie di soddisfazione. Solletica il mio ego (cosa a cui tendo a indulgere)? Può essere, laddove io sono uno dei responsabili, ma non dovrebbe funzionare così quando invece sono - come ieri - l'ultima ruota del carro, lì per ore a sopportare la folla che è stanca, accaldata, assonnata, vuole entrare in piazza, si accalca e perde la pazienza anche con te volontario.
A questo punto posso sperare che si tratti di qualcosa di più nobile, legato alla gioia che è nel dare più che nel ricevere.

Se l'esortazione evangelica è quella di spendere la vita donando e donandosi, io mi sono reso conto che effettivamente ho trascorso una vita donando. Non la mia, però, di vita: sull'autobus facevo il conto che i ragazzini che sono scesi con noi (di Erbusco, per la cronaca) erano del 1999-2000. Io faccio volontariato in questi ambiti ecclesiali proprio dal 2000 (e proprio da Roma, tra l'altro), perciò posso ben dire che faccio volontariato da tutta la loro vita. Cominciano a essere tanti anni :-)

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